Il biopic musicale sembrava morto, e invece si scopre che è più vivo che mai. Nel 2024, infatti, questo genere cinematografico ha conosciuto una delle sue stagioni più fertili di sempre. In particolare, 3 film si sono imposti per originalità, qualità artistica e capacità di riscrivere la narrazione delle vite di grandi icone della musica.
Parliamo di Maria di Pablo Larraìn, Better Man di Michael Gracey e A Complete Unknown di James Mangold. Di chi parlano? Della straordinaria Maria Callas, dell’eccentrico Robbie Williams e del mito Bob Dylan. Tre pellicole dedicate a 3 icone musicali, tutti appartenenti a generi diversi ma con un unico scopo: seguire la propria passione e intrattenere il pubblico.
Maria: l’ultima aria di una leggenda
Con Maria, Pablo Larraín chiude idealmente una trilogia dedicata a tre donne simbolo del Novecento, dopo Jackie e Spencer. Al centro della scena c’è Maria Callas, interpretata da una intensa Angelina Jolie. Il film narra degli ultimi giorni della soprano nella Parigi del 1977, esplorando i suoi ricordi più tormentati attraverso una narrazione frammentata e visionaria, indotta dall’uso di Mandrax, il farmaco che Callas assumeva regolarmente.
Quello di Larraín è un ritratto intimo e disilluso: qui non si vede l’icona della lirica, ma la donna dietro la leggenda, prigioniera dei rimpianti e del dolore per la fine dell’amore con Aristotele Onassis. Jolie si cala con maestria nel ruolo, fondendo in alcune scene la propria voce con le registrazioni originali della Callas, grazie a un training vocale durato oltre sette mesi. Il film è stato accolto con entusiasmo dalla critica e ha ottenuto una candidatura all’Oscar per la miglior fotografia, segnando uno dei momenti più alti del cinema biografico dell’anno.
Better Man: Robbie Williams e l’autoritratto che non ti aspetti
Se Maria si muove nei territori del dramma psicologico, Better Man sceglie la strada opposta per raccontare la storia di Robbie Williams. Diretto da Michael Gracey (già regista del fantastico The Greatest Showman, ndr), la pellicola vede come protagonista una scimmia antropomorfa in CGI. Un’allegoria audace, simbolo delle battaglie interiori di Williams e il suo rapporto conflittuale con la fama.
Una scena di Better Man
La scelta può sembrare bizzarra, ma efficace: Better Man non è una classica biografia musicale, quanto più un viaggio introspettivo e ironico, che mescola realtà e finzione per narrare i momenti più bui e luminosi della vita dell’ex Take That. Il film, infatti, ricalca l’ascesa, la caduta e la rinascita artistica del performer, con particolare attenzione alle sue dipendenze e al legame con il pubblico. Divisiva ma coraggiosa, l’opera è stata accolta positivamente per la sua originalità e per la volontà di spingersi oltre le regole del genere.
A Complete Unknown: il mistero Dylan secondo Mangold
A Complete Unknown di James Mangold è stato il più atteso tra i biopic musicali degli ultimi tempi. Non solo per il suo oggetto (Bob Dylan, artista sfuggente e complesso, ndr ), ma anche per la performance attesissima di Timothée Chalamet. Il film si concentra sul periodo compreso tra il 1961, quando Dylan arriva a New York, e il 1965, anno della controversa esibizione elettrica al Newport Folk Festival.
Chalamet canta dal vivo oltre 40 brani nel film, confermando un lavoro di preparazione maniacale e una dedizione totale al personaggio. La regia di Mangold, già autore del biopic su Johnny Cash Walk the Line, evita la trappola dell’agiografia e preferisce indagare le ambiguità del giovane Dylan. Candidato a 8 Oscar, tra cui miglior film e miglior attore, A Complete Unknown è già considerato un capolavoro del genere.
Il biopic musicale è morto. Viva il biopic musicale!
Negli ultimi anni, il biopic musicale sembrava una formula esaurita: lineare, prevedibile, schiava della cronologia e dei successi in classifica. Un genere ridotto a greatest hits con dramma incorporato. Ma il 2024 ha ribaltato il tavolo.
Tre film, 3 strade divergenti, un solo obiettivo: ridare al biopic musicale dignità artistica e ambizione cinematografica. Non un mero ritorno, ma una mutazione. E forse è proprio questo il nuovo linguaggio che serviva. Non più cronaca, ma interpretazione. Non più fedeltà alla storia, ma fedeltà al senso.
Il biopic musicale è morto, sì. Ma come ogni leggenda che si rispetti, è risorto in forma nuova. Più inquieta, più libera, più vera.
Da bambina mi chiamavano “la piccola scrivana”, forse perché stavo sempre con carta e penna in mano. Soprannome profetico? Chi sa. Intanto porto in borsa biro e taccuino, non si sa mai.