ph L'ammore nun'è ammore - Lino Musella

Dall’Early Modern English alla lingua partenopea. Dal ‘500 agli anni 2000. Dario Jacobelli, poeta drammaturgo e paroliere scomparso prematuramente nel 2013, ebbe l’arguto coraggio di mettere mano su alcuni sonetti di Shakespeare (30 per la precisione), per scuoterli e stravolgerli, manomettendone lingua e metrica, per una traduzione in napoletano che è, come tutte le traduzioni, un vero e proprio tradimento, confessato dallo stesso autore e consumato su carta stampata ed edito da Ad Est dell’Equatore nel 2016.

Riprendere quelle pagine, dotarle di anima, voce e gestualità su un palco teatrale, potrebbe, a rigor di logica, rappresentare un ennesimo adulterio nei confronti del Bardo: un tradimento del tradimento da cui non vi è più via di ritorno.

Il fedifrago recidivo, macchiatosi di pluritradimento è Lino Musella, già noto attore del piccolo e grande schermo, al servizio di nomi enormi della regia italiana. Sarà lui a prendere le redini (in regia e recitazione) di “L’ammore nun’è ammore” , a guidarla da un angolo all’altro del Sannazaro, accompagnato dalle sonorità del polistrumentista Marco Vidino.

30 i sonetti protagonisti (è dal sonetto 116 di Shakespeare che prenderà il nome lo spettacolo). 30 le personificazioni di Musella. Così come le ambientazioni sceniche, tra assoli psichedelici e luci cavernose, pennellate energiche su amori febbrili, echi di tempi caduchi su malinconici arpeggi di mandolino. Parrucche, cappelli, candele, tarocchi e specchi accompagnano con tocco esoterico e misterioso i cambi repentini di registro, dall’ironia maliziosa, allo struggente dramma dell’amore ricattatorio.

Lino Musella ha cura di ogni centimetro, così come di ogni verso, dal palco, alla platea, finanche ai palchetti. Dal sonetto segreto, sussurrato alle orecchie di pochi prescelti, al risentimento urlato; dalla rabbia struggente sull’orlo del palchetto più alto, all’amore che difende, protegge, giustifica e legittima alla vita. Coinvolge, Musella, senza mai cadere in ironie ovvie, anima Shakespeare attraverso movenze di quartiere, ora delicate ora irruente, seguendo i dettami di una nuova metrica, scandita dalla pronuncia di una lingua colta e verace, allo stesso tempo.

L’ammore nun’è ammore  è a tutti gli effetti l’unico caso di tradimento reiterato in cui l’adultero Musella restituisce un amore sincero, intellettuale, colto e  viscerale, per i versi di Shakespeare, per la lingua napoletana e per l’arte tutta, in un incantesimo teatrale di rara bellezza.

 

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