2 agosto 1980: quarantatré anni dalla strage di Bologna

2 agosto 1980: quarantatré anni dalla strage di Bologna

Fonte foto: Associazione 2 agosto 1980. Tutti i diritti riservati. 

2 agosto 1980. Una valigia abbandonata in una stazione gremita di persone spensierate in partenza per le vacanze. La lancetta dell’orologio ferma sulle 10:25. Il boato e i muri dell’edificio che si sgretolano per l’esplosione. L’autobus della linea 37 che funge da ambulanza, perché i mezzi di soccorso non erano sufficienti. 85 morti e più di 200 feriti e mutilati: la più grave strage italiana in tempo di pace.

Cosa è successo?

La bomba, ordigno a tempo, si trovava contro un muro portante, posizione studiata in modo da amplificare i danni, e oltre a distruggere l’ala ovest della stazione, colpì anche il treno Ancona-Basilea che si trovava sul primo binario, radendo al suolo 30 metri di pensilina e il parcheggio dei taxi. Tra paura e sofferenza, la città intera si mobilitò per soccorrere le vittime e lo stesso Sandro Pertini, allora Presidente della Repubblica, giunse a Bologna nel pomeriggio, in lacrime per quella che definì “impresa criminale”.

Altri rappresentanti del governo, presieduto all’epoca da Francesco Cossiga, insieme alle forze di polizia, diffusero invece inizialmente l’ipotesi secondo cui la strage sarebbe stata provocata dallo scoppio di una caldaia ormai vecchia situata nei sotterranei dell’edificio. Ciò impedì che le indagini iniziassero immediatamente e fu in seguito additato come il primo di tanti tentativi di depistaggio. Tentativi che si susseguirono nel corso dei tre lunghi processi, assieme alla disinformazione e alle celebri dichiarazioni fuorvianti di Cossiga sulla pista libica. I depistaggi furono purtroppo molto frequenti anche durante le indagini su altri attentati verificatisi nel corso dei tragici anni di piombo italiani, succubi della strategia della tensione.

I primi condannati come esecutori materiali della strage furono, nel 1995, i membri dei Gruppi Armati Neorivoluzionari di ispirazione neofascista Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini. Dopo quarant’anni, ormai nel 2020, l’ultimo processo condanna all’ergastolo per concorso in strage Gilberto Cavallini, anch’egli ex Nar. È di pochi giorni fa la notizia secondo cui il principale mandante e finanziatore della strage sarebbe Licio Gelli, capo della P2, insieme agli altri membri della loggia massonica Umberto Ortolani, Federico Umberto d’Amato (direttore dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno) e Mario Tedeschi (giornalista e direttore de “Il Borghese”). Cinque milioni di dollari rubati al Banco Ambrosiano e distribuiti, come si evince dall’inchiesta di Paolo Biondani per l’Espresso, con l’evidente complicità di molti apparati dello Stato. I quattro sono ormai tutti deceduti.

Ciò che ancora dopo più di quarant’anni rimane irrisolto è un interrogativo ben preciso: perché noi? Questo è quello che si chiedono i famigliari delle vittime e i sopravvissuti, che mai potranno dimenticare quel maledetto 2 agosto, giorno in cui si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato, giorno che ha cambiato le loro vite e per cui ancora oggi soffrono e chiedono giustizia. Con lo scopo statutario di ottenere questa giustizia tanto agognata con tutte le iniziative possibili è stata fondata anche l’Associazione “Tra i Familiari delle Vittime della Strage alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980”. Nemmeno il coronavirus fermerà le manifestazioni in Piazza Maggiore il prossimo sabato, quest’anno contingentate per la sicurezza dei cittadini, per commemorare le troppe vittime innocenti e per chiedere giustizia, anche se dopo quarant’anni, ormai è troppo tardi.