È fin dalle prime inquadrature, che mostrano in bianco e nero una Roma fatiscente nei suoi anni del secondo Dopoguerra, che “C’è ancora domani” vince e convince. Un film-gioiello che sa essere drammatico e profondo, pur essendo impreziosito da una tenue comicità che lo rende un’opera delicata e leggera.
Le sale italiane, miste di donne e uomini di ogni età, fanno registrare – dopo il suo quarto week-end in sala – quasi 19 milioni di euro ( ovvero 18.905.536 ) che rendono il film, dopo Barbie e Oppenheimer, il terzo incasso del 2023.
Ma da dove nasce l’ispirazione di Paola Cortellesi per un successo simile?
Dopo un’importante carriera da comica, imitatrice ( come dimenticare le sue performance in Mai Dire Goal?) e attrice, Paola debutta alla regia, aiutata nella scrittura da Furio Andreotti e Giulia Calenda, realizzando qualcosa di dichiaratamente femminista, che mira a far riflettere sulla condizione della donna nella nostra società.
Ospite al cinema Modernissimo, a Napoli, lo scorso 18 novembre, lei stessa ha dichiarato:
“ Il gradimento che c’è intorno al film è dovuto all’argomento. Penso di aver toccato un nervo scoperto”
La Cortellesi fa riferimento anche all’ennesimo femminicidio di cui si è saputo proprio il 18 novembre, ai danni della giovanissima Giulia Cecchettin. “C’è ancora domani” in questo senso finisce per rappresentare un film estremamente contemporaneo per i temi trattati, pur essendo ambientato nel passato.
Stranamente, però, non c’era un piano ben preciso per questa pellicola che si è sviluppata in corso d’opera. L’autrice ha ammesso di aver avuto fin dall’origine in mente soltanto la scena iniziale con il “Buongiorno Ivà” più la sberla alla protagonista.
La storia è nata invece a partire dai racconti degli anziani di famiglia, delle sue nonne, e anche di suo padre, i quali riportavano quegli scenari – visti anche nel film – delle comari riunite in cortile che sapevano tutto di tutti nei sobborghi romani.
Non un film autobiografico quindi, ma il racconto di quelle donne che hanno vissuto un rapporto di totale disparità con gli uomini-padroni e che erano rassegnate in un certo senso a questa condizione di inferiorità, relegandosi nel loro focolare domestico. Ma erano anche le stesse che smuovevano mari e monti, facendo grandi cose nel loro piccolo, permettendo di mandare avanti la vita di tutti.
La trama
Delia, la protagonista, è una donna di umili origini sballottata tra i doveri quotidiani, in una cittadina impoverita dalla guerra. Da donna quale è conta poco o nulla per la comunità pervasa dal maschilismo, in primis per il marito Ivano ( Valerio Mastandrea) al quale è completamente asservita. Le giornate per lei passano tutte uguali tra lavoretti, per mettere da parte qualche risparmio, e violenze domestiche, ma ad un certo punto si fa strada in lei la consapevolezza di avere un certo valore e di poter aspirare ad un orizzonte di libertà. Motore innescante nel percorso di redenzione di Delia è anche una misteriosa lettera che ci fa sperare in un futuro migliore per la nostra protagonista.
Con l’aiuto di qualche miracolo (il diritto al voto conferito dallo Stato alle donne), e anche attraverso qualche azione dettata dal libero arbitrio (ad esempio il boicottaggio del matrimonio rischioso della figlia), Delia giunge ad una consapevolezza prima ignorata: la propria libertà.
Paola Cortellesi regista: la leggerrezza nella drammaticità
Il film è scritto e prodotto con grande attenzione ai dettagli e alle caratterizzazioni di personaggi ed eventi, restituendoci una visione carica di umanità e di capacità espressiva, come solo Paola Cortellesi poteva fare.
I rimandi al Neorealismo, di cui spesso si sta sentendo parlare, – dati dall’espediente del bianco e nero, così come dalla rappresentazione di alcuni scenari – sono in realtà quasi una casualità. Non ci sono riferimenti voluti a dei film precisi, piuttosto l’autrice ha dichiarato:
“Tutto il cinema di Scola, di Rossellini, di De Sica, il Neorealismo e il Neorealismo rosa, è il cinema che mi ha ispirato non quando ho cominciato a scrivere questo film ma quello che era la traduzione della mia immaginazione riguardo ai racconti che mi facevano le nonne e le bisnonne”.
“C’è ancora domani” è una pellicola che cerca di fare luce sulle disuguaglianze di genere del passato, alcune delle quali persistono nel nostro presente. E lo fa in maniera intelligente, a tratti schietta e pungente ma con una grazia ed un’eleganza che sono proprie dell’autrice.
Raffinata anche la soluzione adottata per rappresentare le scene di violenza: una violenza non esibita o didascalica, ma paradossalmente una danza che Ivano e Delia iniziano sulle note di “Nessuno” (nella versione di Petra Magoni e Ferruccio Spinetti) quando il marito picchia brutalmente e immotivatamente la moglie. Una canzone tra l’altro che conosciamo come una promessa d’amore, ma che stride con le immagini mostrate a suggerire che quello “stare insieme per l’eternità” diventa una condanna.
A questo proposito la Cortellesi ha spiegato:
“Non ce n’era bisogno (di mostrare la violenza ndr.) perché non volevo che andare a guardare il dettaglio splatter togliesse importanza al cuore della scena”.
Nel suo complesso il film riesce nell’impresa difficile di risultare sia commovente che divertente, la Cortellesi regista sperimenta, sia con scelte musicali originali, sia inserendo con coraggio alcune sequenze buffissime (basti pensare alla scena del cioccolato che annerisce i denti).
Complice del riuscitissimo capolavoro anche il cast corale, composto, tra gli altri, da un Valerio Mastandrea da odiare come mai prima, una Emanuela Fanelli (l’amica fruttivendola) adorabile e genuina, un innamorato Vinicio Marchioni (l’amante segreto di Delia) e un patriarcale Giorgio Colangeli (il suocero di Delia).
Il messaggio finale
Alla domanda “Cosa succede alla fine a Delia?”, Paola Cortellesi ha risposto:
“La rivincita totale è solo dei supereroi: questa donna è anche una supereroina, però lo è a modo suo. (…) Vi dico che Delia secondo me a casa continua a fare una vita simile a quella che ha fatto, la grande differenza sta nell’aver acquisito una consapevolezza: la libertà, l’idea di poter dire la sua e di poter contare qualcosa”.
È per questo che il messaggio del film è da ricercare nella frase di Anna Garofalo, citata alla fine del film, che recita:
“Stringevamo le schede come biglietti d’amore”
In questa frase, che ha dato anche l’idea agli sceneggiatori per costruire l’inganno della fuga amorosa, è racchiuso forse il significato complessivo: il viaggio nella coscienza di una donna la quale realisticamente non può salvare se stessa e il mondo da tutti i mali, ma che riesce a conquistare la libertà di pensiero, ponendo un piccolo “mattoncino” per il futuro di quelle donne che ancora oggi fanno fatica a difendere i diritti che qualcuno ha conquistato prima di loro.
Laureata in Archeologia, Storia delle Arti e Scienze del Patrimonio Culturale alla Federico II di Napoli. All’età di 5 anni volevo fare la “scrittrice”, mentre adesso non so cosa di preciso mi riserverà il futuro. Ma una cosa certa è che la scrittura risulta essere ancora una delle mie attività preferite, una delle poche che mi aiuta di tanto in tanto ad evadere dal mondo.