Il tempo è un elemento costitutivo dell’esperienza umana, ma nella società contemporanea si è trasformato in una risorsa da ottimizzare, un flusso da accelerare. In netto contrasto con questa logica, l’artista svizzero-americano Christian Marclay costruisce opere che ci costringono a rallentare, a sintonizzarci con la durata, a riscoprire il valore della percezione temporale. Tra suono, cinema e installazione, Marclay non rappresenta semplicemente il tempo: lo attiva, lo modula, lo trasforma in spazio esperienziale.
Dal vinile al montaggio: un’estetica del frammento
Formatosi come musicista e artista visivo, Marclay inizia la sua carriera esplorando il potenziale espressivo del giradischi e del vinile graffiato. I suoi primi esperimenti negli anni ’80 e ’90 lo vedono impegnato nel cosiddetto turntablism, una pratica che tratta il disco come strumento musicale, enfatizzandone il deterioramento fisico, l’errore, l’interferenza.
Questa poetica del rumore e della ripetizione viene poi trasposta nel linguaggio visivo: frammenti di film, serie televisive, documentari e pubblicità vengono campionati e montati in modo tale da generare nuove connessioni semantiche e sonore. L’atto del montaggio diventa un gesto musicale, un ritmo visivo che trasforma il passato culturale in presente esperienziale.
“Non è nostalgia. Non è una celebrazione del passato. È un modo per prendere il passato e farlo funzionare nel presente.”
— Christian Marclay, catalogo White Cube, 2010
The Clock (2010): un’opera totale
Con The Clock, Marclay firma un’opera monumentale: un video di 24 ore composto da migliaia di clip cinematografiche in cui appaiono riferimenti temporali espliciti. L’opera è sincronizzata con l’orologio reale, per cui ogni scena viene mostrata nel momento esatto del giorno a cui si riferisce. Questo meccanismo crea un effetto di tempo reale dilatato, dove la realtà e la finzione si intrecciano.
“Volevo creare qualcosa che ci ricordasse costantemente dove siamo nel tempo. Non solo nello spazio della galleria, ma nel tempo reale.”
— Christian Marclay, The Guardian, 2011
La sua fruizione è immersiva e potenzialmente illimitata. In galleria, si entra in una stanza buia, si prende posto su un divano, e si viene catturati da una narrazione che non ha un inizio né una fine, ma si regge sullo scorrere dei minuti, sulla varietà dei generi, sulle connessioni tematiche e visive tra le clip. È un’esperienza ipnotica e riflessiva.
Lavorare con l’archivio
Il lavoro di montaggio per The Clock è durato tre anni. Marclay e il suo team hanno visionato migliaia di film, annotando ogni inquadratura contenente riferimenti temporali. Questo gesto ha un’importante implicazione critica: ci mostra come il tempo sia una delle ossessioni costanti della cultura visiva. Gli orologi nei film scandiscono drammi, incontri, catastrofi, rivelazioni. In The Clock, questi momenti perdono la loro funzione narrativa e diventano unità ritmiche, battiti in un organismo visivo più ampio.
Il tempo come corpo visivo e sonoro
Marclay trasforma il tempo in oggetto artistico, dotato di una sua fisicità. Il passare dei minuti non è più astratto, ma scandito da suoni, gesti, movimenti, luci. Il sonoro ha un ruolo cruciale: ogni clip mantiene la sua colonna audio originale, ma il montaggio crea continuità tra una scena e l’altra, generando una composizione sinfonica che abbraccia decenni di cinema.
“Il suono è sempre in movimento. Non lo puoi congelare. È per questo che mi affascina — è il tempo reso udibile.”
— Christian Marclay, ArtForum, 2005
Questa dimensione sinestetica è evidente anche in opere precedenti come:
- Video Quartet (2002), in cui Marclay crea una partitura visiva su quattro schermi simultanei, componendo un collage di azioni musicali tratte da film.
- Crossfire (2007), una composizione di spari tratti da film d’azione, trasformati in percussioni visive.
Una critica alla temporalità digitale
In un’epoca dominata dallo scrolling, dal multitasking e dalla distrazione permanente, Marclay ci impone un tempo contemplativo e profondo. Le sue opere si oppongono alla logica dell’immediatezza digitale e propongono un’estetica della lentezza. Non possono essere fruite “a pezzi” o condivise online senza perderne il significato: vanno vissute nella loro durata reale, all’interno di uno spazio espositivo che diventa camera del tempo
Il tempo come linguaggio artistico
La forza del lavoro di Marclay sta nella sua capacità di trasformare il tempo da cornice invisibile a protagonista assoluto dell’esperienza estetica. I suoi lavori non raccontano storie: sono tempo. Ci pongono domande profonde: Come viviamo il tempo? Quanto ne sprechiamo? Quanto ci sfugge? L’arte di Marclay ci invita non a guardare, ma a sentire il tempo.
Christian Marclay ci ricorda che il tempo, prima ancora che una misura, è una esperienza soggettiva, fluida, musicale. Le sue opere ci restituiscono uno spazio per sostare, per ascoltare, per sentire il presente che scorre. In un mondo che corre, Marclay ci invita a fermarci.
“L’arte non deve solo rappresentare il mondo: deve farlo sentire. Io voglio che il tempo diventi qualcosa che puoi percepire, minuto per minuto.”
— Christian Marclay, 2012