Fino al 22 giugno 2025, Palazzo Reale di Milano ospita Io sono Leonor Fini, una delle retrospettive più complete mai dedicate all’enigmatica e affascinante figura di Leonor Fini (1907–1996), artista italo-argentina tra le più anticonvenzionali del Novecento. Curata da Tere Arcq e Carlos Martín, la mostra riunisce oltre cento opere, tra dipinti, disegni, fotografie, costumi teatrali e oggetti d’archivio, offrendo un’immersione totale in un universo visionario dove si fondono arte, psicoanalisi, mito e ribellione.

Oltre il Surrealismo

Leonor Fini è stata spesso collocata nell’alveo del Surrealismo, ma la sua opera, per quanto affiancata a figure come Max Ernst, Dalí e André Breton, sfugge a ogni classificazione. «Sono una pittrice. Quando mi chiedono come faccia, rispondo: “Io sono”», dichiarava, rivendicando la propria identità libera e irriducibile. Ed è proprio questa affermazione di sé il cuore pulsante della mostra: un’indagine sull’individualità, il corpo, la metamorfosi, l’erotismo e la potenza simbolica del femminile.

Nove sezioni tematiche per una visione totale

Il percorso espositivo è scandito in nove sezioni che esplorano i nuclei tematici ricorrenti nella sua produzione: il macabro, la sessualità fluida, il ruolo del maschile, il mito della sfinge, le metamorfosi e il rito come forma di conoscenza. Ogni sala si configura come uno spazio iniziatico, dove l’artista racconta – e si racconta – attraverso immagini perturbanti e sensuali, cariche di simbolismo.

Tra le opere chiave, Le Bout du Monde (1948), autoritratto visionario in cui Fini emerge come sopravvissuta da un’apocalisse acquatica, e Femme assise sur un homme nu (1942), ribaltamento radicale dei ruoli di genere nella tradizione pittorica. In La Bergère des Sphinx (1941), Fini si rappresenta come pastora di sfingi: creature femminili, ambigue, predatrici e sacre, emblema della sua poetica dell’identità fluida.

Vita e maschera

Nata a Buenos Aires e cresciuta a Trieste, Leonor Fini fu segnata sin da bambina da un trauma familiare: la fuga della madre da un marito violento. Travestita da maschio per proteggerla, Fini sviluppò fin da giovanissima un profondo interesse per il camuffamento, il travestimento, il doppio. La sua identità di artista prende forma da qui: dalla tensione continua tra essere e apparire, tra io e l’altro da sé. «Mettersi in costume è un atto di creatività», scrisse, «l’esteriorizzazione delle fantasie che ci si portano dentro».

La sua formazione avviene a Parigi, dove si lega all’élite culturale del tempo, da Jean Cocteau a Giorgio de Chirico, da Elsa Morante a James Joyce, ma mantiene una voce indipendente, capace di attraversare il secolo senza mai piegarsi alle mode o ai dogmi.

Il corpo, il desiderio, la scena

Nel mondo pittorico di Fini, il corpo è sempre luogo di transizione, di conflitto e di potere. Il maschile è spesso rappresentato come fragile, dormiente, inerte; il femminile, invece, è forza generatrice, sessualmente ambigua, sovrana. L’artista mette in scena una nuova mitologia del desiderio, dove il letto diventa palcoscenico di intimità e rivoluzione, e l’identità non è mai fissa ma in continuo divenire.

Significative sono le sue riflessioni sulla famiglia non normativa, sulle relazioni queer, sull’androgino come archetipo di libertà. Un messaggio che oggi risuona più che mai attuale e urgente.

Arte totale: tra moda, teatro e cinema

L’ultima sezione della mostra documenta la versatilità di Leonor Fini, che seppe trasformare la sua visione anche in costumi per il Teatro alla Scala, disegni scenografici, collaborazioni con il cinema (memorabile il suo contributo a Otto e Mezzo di Fellini) e dialoghi fertili con la moda d’avanguardia, da Elsa Schiaparelli a Christian Dior.

Attraverso tutto ciò, Fini si pone come una figura ponte tra cultura alta e popolare, tra spiritualità e carne, tra poesia e provocazione.

Un’eredità viva

Io sono Leonor Fini è più di una mostra: è un atto di restituzione, il riconoscimento postumo di un’artista che ha saputo interpretare il femminile come forza primigenia, come rituale di conoscenza e resistenza. Un’opera che parla con forza al presente, che interroga e scuote, e che mostra come l’identità possa essere arte in sé, metamorfosi, favola e verità insieme.

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