Casa che eri è l’opera di Giorgio Ghiotti su Roma, sul rapporto tra la città e i suoi abitanti, sulle disillusioni di una generazione e, soprattutto, sui sentimenti. Tutti. Anche quelli più scomodi. Ne ho parlato con l’autore in questa intervista per Hermes Magazine.
La trama
Una storia di quarantenni sospesi in una Roma immobile, senza prospettive. Ma soprattutto, una storia di tradimento—vero o percepito—nell’amicizia tra Aldo, voce narrante, e Luisa, incrinata dall’arrivo di Alessio Patriarca. È una vicenda di gelosia, di legami complessi e di personaggi tutt’altro che marginali: Vittorio e Michel nella stanza dei colombi, Caterina che fuma rovinandosi il canto mentre sorveglia la figlia Dacia, in bilico tra nascere o no, e Patrizia, sola a difendere una villa a Tivoli, circondata dagli uccelli. Sullo sfondo, una Roma che conserva solo echi di borghesia, mentre case e palazzi diventano prigioni.
Giorgio Ghiotti
Ha conseguito la laurea in Lettere presso l’Università La Sapienza di Roma e collabora con il quotidiano «L’Unità» e la rivista «Nuovi Argomenti». Ha fatto il suo debutto nella narrativa con la raccolta di racconti Dio giocava a pallone (nottetempo, 2013) e successivamente nella poesia con Estinzione dell’uomo bambino (Perrone, 2015). Tra le sue altre opere figurano la raccolta di interviste a scrittrici e poetesse italiane Mesdemoiselle. Le nuove signore della scrittura (Perrone, 2016), Rondini per formiche (nottetempo, 2016), Via degli angeli (Bompiani, 2016, scritto con Angela Bubba) e la raccolta poetica La città che ti abita (Empirìa, 2017).
“Giorgio Ghiotti è uno dei prodigi della nostra letteratura. Ha iniziato prestissimo e subito si è dimostrato all’altezza delle aspettative. Porta con sé da
anni il bagaglio della nostra scrittura del Novecento da cui si fa sempre accogliere e sorprendere. In questo ultimo romanzo raggiunge uno stadio nuovo. La scrittura feroce e onirica a tratti dei racconti si scioglie nella malinconia. Una malinconia terribile perché riguarda i giovani mentre la loro gioventù è ancora qui, presente. La sparizione di un amico porta le aspettative dei venti anni a scolorire e perdersi nei rimpianti degli adulti. Ghiotti ha il passo sicuro e racconta con la sua solita eleganza schietta sessualità, dolore, rancori e fallimenti.” — Giulia Caminito
L’intervista
La gelosia è al centro della storia: cosa pensi di questo sentimento spesso demonizzato?
“Penso che nessun sentimento debba essere demonizzato, perché fa parte dell’essere umano. Nel romanzo, Aldo dice che la gelosia, come l’ipocondria, è un eccesso di immaginazione. Può essere un motore, la gelosia, se la si vede in questo modo. Certo, parlo di una gelosia non ossessiva, non morbosa; una gelosia che non ha a che fare col possesso. È possibile? Forse sì. Però bisogna imparare a educare i sentimenti, educarci ai sentimenti. Rimuoverli è più pericoloso – la rimozione forzata crea voragini entro le quali si generano mostri di simile o altra natura. Un’educazione alla gelosia significa essere in grado di capire cosa attiva in noi questo sentimento. Non credo infatti che sia la gelosia al centro della storia, ma la paura della solitudine. Quello che Aldo chiama ‘l’idea di perderti’.”
Oltre ai sentimenti oscuri, anche il valore dell’amicizia viene messo in risalto: che ruolo ha il legame affettivo non amoroso nella vita degli adulti? È solo una parentesi legata all’adolescenza?
“Se l’amicizia fosse una parentesi legata esclusivamente all’adolescenza saremmo morti e sepolti. Di sicuro, saremmo persone infrequentabili, tristissime e incazzate con la vita. L’amore amicale rende la vita adulta sopportabile. Non solo, la rende degna di essere vissuta. Mi si chiede che ruolo ha, e io vorrei rispondere consigliando due libri che per me sono l’esempio più felice e anticonformista di quel che può fare, non solo da adulti, ma anche da vecchi, l’amicizia: Il terzo tempo di Lidia Ravera (un gruppo di ex amici del liceo, allora inseparabili, decidono da vecchi di passare un po’ del tempo che resta insieme) e, appena uscito, Libere e un po’ bastarde di Rossana Campo (un gruppo di amiche sessantenni vitalissime, libere da ogni condizionamento sociale, fedeli solo all’amore che le lega, si muovono in una Parigi che rispecchia la loro forza).
La grande amicizia, quella di una vita intera, non si differenzia quasi in nulla dal sentimento amoroso, se non che statisticamente l’amicizia può essere anche più duratura dell’amore. Perché è meno tirannica, meno esposta alla tirannia dell’assoluto. L’amicizia nasce sul territorio del compromesso, mentre il compromesso nell’amore è un punto di arrivo.”
Roma vista con occhi adulti: è il disincanto a prendere il sopravvento oppure mantiene il mistero magico della città eterna?
“A Roma il disincanto è comunque un sentimento struggente, capace di incantarti di nuovo. L’una e l’altra cosa insieme. In una città come questa, perfetta per nascondersi, per farsi dimenticare, il sentimento più diffuso è l’insofferenza, un’insofferenza pigra e tutto sommato bonaria, che perdona e si fa perdonare. Le città sono sempre coprotagoniste dei miei romanzi. Lo è stata Bologna, e anche Milano (più in poesia che in prova, a dire il vero). Ma il sentimentalismo decadente di Roma è un’iniezione che, per chi è nato qui, difficilmente smaltisci – e invece, certi giorni, sarebbe anche bene farlo.”
Cos’è cambiato per questa generazione di adulti rispetto al passato: è vera l’accusa secondo cui sfuggiamo dal crescere realmente?
“È cambiato, prima di tutto, il concetto di generazione. Non più così rigido, non più così nettamente rintracciabile, scandito temporalmente. L’idea di generazione, a me pare, è scivolata più su un piano sentimentale che cronologico. Ed è qualcosa che mi piace. È ciò che permette il dialogo tra le generazioni. Io spessissimo avverto molto più prossimo il sentire di una scrittrice di ottant’anni che non quello di un autore coetaneo. (E lasciatemi dire che ancora, in letteratura, le vecchie – che bella parola, la adoro – stanno scrivendo con una freschezza, con una forza che spesso gli scrittori più giovani si sognano.)
Non sono attendibile, interrogato sulla questione “adultità” e crescita, perché per me la vecchiaia è quella cosa che inizia quando finisce la giovinezza. Ed è una stagione lunghissima e piena di vita. Soffro ancora tanto la definizione di “giovanissimo scrittore”, “scrittore dell’adolescenza” con la quale sui giornali si riferivano a me quando esordii. La soffro perché dal mio esordio sono passati tredici anni (io ne avevo appena diciotto) e nel frattempo ne ho compiuti trentuno e ho scritto, tra prosa poesia e saggistica, diciassette libri, credo. Ho parlato di diciottenni, certo, ma – soprattutto nei racconti – di cinquantenni, di vedovi settantenni, di ragazzini, di universitari e, in questo nuovo romanzo, di neo-quarantenni. Continuare a sentirmi chiamare “scrittore dell’adolescenza” mi fa credere che, dopo il mio esordio, abbiano smesso di leggermi.
Non abbiamo smesso di crescere, è che siamo cresciuti in un paese (l’Italia) che ha allungato la giovinezza all’infinito come una gomma da masticare per smarcarsi dalle responsabilità che un paese ha nei confronti dei suoi cittadini – e che investono qualunque questione sociale, dal lavoro all’economia alla cultura.
Ci vogliono far crepare con il ciuccio in bocca? O liquidandoci come corpi vecchi svuotati di desiderio? E noi ribalteremo l’una e l’altra immagine, dimostrando che nel mezzo c’è un oceano e nell’oceano ci nuotiamo noi.”
Qual è il messaggio chiave del libro?
“Non credo che i libri debbano veicolare messaggi. Se sono dei buoni libri, se è buona letteratura, hanno già compiuto il loro dovere. Ecco, forse l’unico compito della letteratura, se proprio vogliamo accollarle un compito, è quello di generare e accrescere l’empatia del genere umano. L’empatia è l’unica possibilità di salvezza a questo mondo.”
Chi è il lettore ideale dell’opera?
“Non mi piace l’aggettivo “ideale”. Esistono le lettrici e i lettori. Quindi, spero chiunque.”
Sono in programma presentazioni?
“Sì, presenterò il libro a Roma, a Monza, a Milano e in parecchie altre città. Ma ho dovuto posticipare gli incontri rispetto all’uscita per un risolvere prima un piccolo problema di salute che mi sto finalmente lasciando alle spalle.”
Giornalista, lettrice professionista, editor. Ho incanalato la mia passione per la scrittura a scuola e da allora non mi sono più fermata. Ho studiato Scrittura e Giornalismo culturale e, periodicamente, partecipo a corsi di tecnica narrativa per tenermi aggiornata.
Abito in Calabria e la posizione invidiabile di Ardore, il mio paese, mi fa iniziare la giornata con l’ottimismo di chi si ritrova la salsedine tra i capelli tutto l’anno.