“To fall in love with you” è la canzone “perduta” di Bob Dylan del 1986, improvvisata sul momento durante le sessioni in studio di “Hearts of fire” del Never Ending Tour.
Il pezzo è solo una “demo” appunto, ed è possibile ascoltarla tramite una registrazione di bassa qualità di tanti anni fa. Non fa parte di nessun album ufficiale proprio perchè Dylan non ha mai completato il pezzo e molte parole/frasi sono messe solo per prova, senza un significato ben preciso, ma per creare un “suono”. Lui stesso ha dichiarato che se avesse finito la canzone avrebbe naturalmente modificato alcuni versi, che non hanno molto senso col resto della canzone. Ovviamente non è la classica poesia con la classica struttura metrica ben definitiva e con le rime ben ordinate, però sta proprio qui il suo particolare “tipo di scrittura”, tanto che nel 2016 e’ stata eletto vincitore del Premio Nobel per la Letteratura (premio che tra l’altro non ha mai ritirato). È una canzone-poesia in cui emerge tutto il suo romanticismo ripreso, rielaborato e messo nell’ epoca contemporanea in cui viviamo. Epoca in cui certi valori stanno scomparendo, o sono quasi scomparsi.
Probabilmente è stato fatto di proposito “l’improvvisare” emozioni, vere e nate dal cuore, senza ragionarci troppo e buttate lì di getto per poi giustificarsi con “sono frasi che non hanno senso”, ma sicuramente danno ampio spazio a concetti puri e di alto valore emotivo, oltre che personale, capaci di creare in maniera completa e ben definita lo scenario che vuole descrivere la canzone completa come se fosse finita.
Il brano
Nella prima strofa sentiamo la parte in cui Dylan si accompagna con la chitarra in maniera semplice e quasi “scarna”, cantando e sussurrando la prime strofe che interpreto come una ricerca di pulizia di se stesso e per se stesso. Come se si stesse “pulendo” da ricordi e brutte esperienze vissute. La caonzone continua, entra il resto della band, e sentiamo una sorte di canto evangelico/biblico, con una ricerca di solennità facendola diventare quasi un inno da vangelo biblico. Questa particolarità rende la canzone di Dylan un prodotto notevole, anche se non definitivo, poiché sta chiaramente ponendo la sostanza emotiva (soggetto principale della canzone non figurativo) della realtà soggettiva sull’intellettuale, sottolineata dalla “relazione” tra i due ( i due amanti, uomo e donna, soggetti sottintesi). Ma il vero messaggio della canzone lo troviamo nelle ultime righe, riferimento alla poesia romantica, e quindi la rende forse la cosa più vicina ad una rivelazione “poetica”.
La lunghezza del brano-poesia non e’ l’unica cosa insolita ma anche la struttura di accordi lo è, così come ha improvvisato alcune frasi, anche il giro melodico di chitarra e basso segue “l’improvvisazione” vocale proprio per dare il giusto ed adeguato accompagnamento, adatto alla canzone. Chissà dove, e come, sarebbe potuta diventare questa canzone – e chissà perché Dylan non l’ha completata soprattutto in un momento in cui sembrava che le buone idee fossero vicine. Ma almeno abbiamo la registrazione-prova. Se leggiamo attentamente il testo, tra l’altro, è interessante vedere come quasi ogni mezza riga potrebbe portarci in una canzone completamente nuova ed in effetti questo fa parte del grande talento di questo pezzo perché non solo la musica è così interessante, ma lo e’ appunto anche il testo “non finito”.
Secondo gli studi, ci sono come cinquanta spunti e punti di decollo all’interno di questo pezzo, ognuno dei quali potrebbe creare una nuova canzone. È come trovare un quaderno di schizzi di un artista che contenga schizzi di grandi opere, che non ha mai potuto o voluto realizzare. È come aprire la porta della mente creativa di Dylan e vedere tutte le possibilità che ci vengono presentate in maniera del tutto intima ed è brillante sia per se stesso, sia per la considerazione del perché non l’ha mai finito, cosa che mai sapremo.