“Buchi neri? Nell’universo ad oggi se ne contano circa 4 milioni”

Nico Cappelluti, astrofisico romagnolo – nato a Bellaria-Igea Marina in provincia di Rimini – dopo una prima esperienza alla Yale University insegna oggi all’Università di Miami in Florida. Ed è proprio lui uno degli studiosi e ricercatori più attivi in tema di buchi neri, corpi celesti che da sempre affascinano la mente umana. Hermes Magazine lo ha intervistato cercando di capire meglio in cosa consiste la sua attività.

 

Professor Cappelluti, la materia cosmica affascina da millenni l’umanità. E chi non è padrone del campo, fatica ad immaginare l’immensità dell’universo. Proviamo a spiegare, in parole semplici, i buchi neri: perché è importante studiarli e cosa si aspettano gli scienziati da queste conoscenze approfondite?

 

I buchi neri sono dei corpi celesti con una densità talmente alta da non permettere alla luce di uscire. il motivo è dato da una grande massa concentrata in un piccolo punto: pertanto lo spazio tempo s’incurva e la luce invece di viaggiare in linea retta comincia a girare circolarmente. Per noi astrofisici i buchi neri sono una componente fondamentale dell’evoluzione delle stelle e delle galassie. Vicino ai buchi neri esistono condizioni estreme non riproducibili in laboratorio – vedi i campi gravitazionali – anche per quel che concerne l’accelerazione delle particelle. Condizioni non replicabili sulla terra nemmeno grazie ai più moderni apparati in attività. Lo studio dei buchi neri ci permette, ad esempio, di conoscere in modo dettagliato il funzionamento della relatività generale: che può apparire un qualcosa di accademico ma in verità non lo è. I nostri telefonini, se non conoscessimo la relatività generale, non sarebbero in grado di darci la posizione tramite Gps. Stiamo imparando tanto sui buchi neri; soprattutto dal momento della scoperta delle onde gravitazionali, simili a terremoti cosmici, che si producono dalla collisione di due corpi celesti e dalla conseguente deformazione dello spazio tempo. Ora disponiamo di osservatori adatti e in grado di ascoltare le onde gravitazionali: un po’ come se avessimo aperto una nuova finestra sulla fisica.

 

 

La frase, “Rischiamo di finire in un buco nero”, ha un riscontro reale-oggettivo, oppure anche dai buchi neri si può, diciamo così, riemergere?

 

I buchi neri dal punto di vista fisico appaiono estremamente affascinanti e potenti ma sotto il profilo concettuale risultano piuttosto semplici. La carica elettrica nei buchi neri astrofisici non c’è, quindi sono semplicemente caratterizzati da massa e rotazione. Il buco nero, altro aspetto da considerare, continua a crescere lungo tutto l’arco della sua “vita” fino a far perdere le informazioni di quanto vi è entrato dentro. Ciò che cade in un buco nero è perso per sempre: all’interno del buco nero si ferma il tempo e non c’è più comunicazione con l’esterno. Diciamo allora che tutto quello che finisce nel buco nero viene immediatamente isolato dal resto dell’universo. 

 

Viviamo in un’epoca piuttosto difficile e carica d’incognite. Si mettono in dubbio le scoperte fatte centinaia di anni fa circa la forma della Terra. In più si è arrivati a creare un forte clima di contrapposizione tra chi sta al fianco della medicina e dei progressi scientifici e chi invece non perde occasione per contestare. Dal suo punto d’osservazione, siamo destinati ad involvere?

 

No, non siamo destinati ad involvere: la natura dell’uomo porta comunque ad essere curiosi, a cercare risposte e approfondire. Purtroppo dobbiamo fare i conti con la pigrizia mentale; invita ad accettare soluzioni semplici e credere in teorie che non richiedono particolare studio e applicazione. E poi sono affascinanti, suscitano un alone di mistero… La teoria della terra piatta non mi spaventa, non è pericolosa  e assurda quanto la posizione assunta rispetto all’uso dei vaccini. Avendo accesso ad informazioni di scarsa qualità, tramite internet, le persone che non sanno come funziona la scienza cadono in errore. Rimango stupito quando leggo della protesta dei no vax nella realtà riminese: dar loro credito nella pubblica opinione lo trovo disdicevole.

 

 

Domanda scontata per chi scruta e legge i segnali provenienti dallo spazio infinito: esistono altri mondi, magari al di là di un buco nero?

 

Negli ultimi vent’anni abbiamo scoperto che quasi tutte le stelle, come il Sole, hanno un proprio sistema solare. I nostri telescopi non sono ancora dotati della tecnologia sufficiente a decifrare la composizione chimica di questi pianeti. O meglio, la loro sensibilità ha consentito al momento di osservare qualche pianeta simile alla Terra e che potrebbe ospitare forme di vita… Nei prossimi 2-3 anni con i nuovi telescopi potremmo addirittura riuscire ad analizzare in dettaglio l’atmosfera dei pianeti extrasolari – cioè al di là del nostro sistema solare  – e capire se, almeno nelle “vicinanze”, esistono pianeti papabili. Facendo una piccola statistica: se solo la metà delle stelle nella nostra galassia avesse il proprio sistema solare – nella nostra galassia contiamo 100 miliardi di stelle – vorrebbe dire 50 miliardi di sistemi solari e pertanto verrebbe da affermare come estremamente improbabile che la vita si sia sviluppata solo qua. Sicuramente non entreremo mai in contatto con altre forme di vita, ma sì io non vedo il motivo perché non ci debba essere vita su altri pianeti: che si tratti di batteri, alghe o forme evolute è un altro discorso.

 

Ultimo quesito, ha mai scoperto un buco nero che altri non avevano ancora classificato?

 

Continuamente. Perché quello che noi facciamo è l’osservazione del cielo con telescopi a raggi x sensibili ai buchi neri. In realtà i buchi neri non sono proprio neri, anzi alcuni appaiono parecchio brillanti e ciò perché la materia che vi cade all’interno viene scaldata intensamente e produce raggi x. Quello che io effettuo in termini di ricerca è proprio il censimento di questi corpi celesti: scelgo una zona del cielo con determinati criteri e vado a vedere quanti ce ne sono e come si comportano. Nella mia tesi di dottorato, 15 anni fa, durante una fase di ricerca ne ho trovati, se non ricordo male, qualche migliaio. Adesso stiamo lavorando ad un progetto qui all’Università di Miami che punta a rintracciare in tutta la letteratura scientifica i buchi neri via via classificati: finora ne abbiamo messi insieme circa 4 milioni; una frazione di quelli presenti nell’universo. Quando avremo completato il database potremo compiere un’analisi massiccia dei dati e capirne molto di più.