Quarant’anni di Back in Black

È un anniversario importante, per gli appassionati del rock, infatti il 25 luglio del 1980, uscì sul mercato discografico, l’album che consacrò gli AC/DC all’attenzione mondiale.

Con i suoi 50 milioni di copie, è il disco più venduto nella storia della musica, dopo “Thriller”, di Michael Jackson.

 

 

La genesi

 

È il settimo album della band australiana, il primo dopo la scomparsa dello storico leader, Bon Scott, avvenuta nel febbraio di quello stesso anno; era stato – infatti – trovato morto, sul sedile posteriore della Renault 5 di un suo amico, dopo una serata di eccessi alcolici.

Dopo quel tragico avvenimento, i fratelli Angus e Malcolm Young avevano intenzione di sciogliere il gruppo; in seguito, spinti da amici e parenti, si misero a cercare un nuovo frontman, puntando su Brian Johnson che ai tempi stava suonando con i Geordie.

Il 1° aprile di quell’anno fu ufficializzato il nuovo cantante, rendendo nota la volontà di lavorare a un nuovo disco, che sarebbe uscito di lì a qualche mese.

 

 

Recensione dell’album

 

Prodotto da Robert John “Mutt” Lange, è una pietra miliare della storia del rock. Nonostante le canzoni in esso contenuto abbiano delle progressioni armoniche e soluzioni ritmiche semplici, l’intero album trasuda energia e passione.

La ritmica è compatta, potente, non lascia all’ascoltatore un solo secondo per rilassarsi: impossibile stare fermi, difficile resistere alla tentazione di tenere il ritmo col piede e di alzare il braccio, con il pollice-indice-anulare sollevati, simbolo di rock ‘n’ roll.

I riff della Gibson diavoletto di Angus Young sono dei punti di riferimento, per chi si vuole cimentare nello studio della chitarra rock, oltretutto il modo di suonare del chitarrista, che si esibisce dal vivo vestito da scolaretto del college, è una mattonata in faccia, la voce graffiante di Brian Johnson è travolgente; sono questi gli elementi fondamentali che hanno fatto si che questo disco sia stato venduto – e venda ancora – così tanto.

 

 

Curiosità

 

Inizialmente, la copertina avrebbe dovuto essere totalmente nera, come segno di lutto per la scomparsa di Bon Scott; in seguito, su insistenza dell’etichetta, decisero di evidenziare in grigio il logo della band e il titolo dell’album, per renderlo riconoscibile.

Un altro segno per ricordare la morte dell’ex frontman, è determinato dai rintocchi di una campana a morto, che si sente all’inizio del primo brano dell’album:”Hells bells”.

A proposito della campana: non è stata una passeggiata trovare un suono perfetto da inserire nelle tracce del disco. Inizialmente si era pensato di registrare i rintocchi della chiesa locale, ma questo provocava ogni volta il panico tra stormi di uccelli, rendendo vani i tentativi.

Una fonderia, nel Leicestershire, creò una campana di bronzo da duemila libbre, rivelatasi ideale per l’intro della prima traccia.

In un primo momento, gli AC/DC, avevano intenzione di registrare l’album a Londra; dal momento che nessuno studio della capitale britannica era disponibile, decisero di lavorare al Compass point studio di Nassau, alle Bahamas, la scelta fu condizionata anche dai vantaggi fiscali di cui avrebbe beneficiato la band.

 

 

Riconoscimenti

 

Sono stati tanti: disco d’oro in Spagna, di platino in molti paesi, tra cui Regno Unito, USA, Francia e Italia, di diamante in Canada.

Back in black” è risultata al secondo posto, nella classifica della rivista VH1, dedicata alle migliori canzoni hard rock di tutti i tempi, al numero 187 nella lista tra i migliori brani, stilata da Rolling Stone, e al n. 29 dell’elenco dei cento migliori pezzi con riff di chitarra, sempre a cura di Rolling Stone.

 

 

Il documentario 

 

Si chiamerà The Story Of Back In Black e parlerà dell’album nel dettaglio: dalle prime idee allo sviluppo dei pezzi, dagli arrangiamenti alla post produzione, una vera chicca per i fan.

Un esempio? Eccovi accontentati: You Shook Me All Night Long, il primo singolo pubblicato con Brian Jones, aveva generato discussioni tra la band e il produttore, quest’ultimo diceva che non funzionava, perché nel testo c’erano troppe parole. Decisiva fu l’intuizione di Malcolm Young (morto nel 2017) che propose di far cantare le liriche più lentamente, seguendo un ritmo preciso, dando al brano un effetto più coinvolgente, col risultato che tutti (o quasi) conosciamo

 

She was a fast machine

She kept her motor clean

She was the best damn woman I had ever seen…

 

Buon quarantesimo compleanno, Back in Black!