Il teatro di Carlo Goldoni

Ricordo che anni fa, vidi al Teatro Carignano di Torino, uno spettacolo con la regia di Gabriele Vacis, un regista che valuto rappresentante di quella tradizione borghese, oggi definitivamente mutata fino alla trasfigurazione, che segue un filo che si collega direttamente alla figura di Carlo Goldoni.

Infatti, lo spettacolo era I rusteghi, commedia, appunto, di Goldoni. Quel che mi colpì fu la scelta registica di far recitare gli attori prima che iniziasse lo spettacolo, dando spazio a quella commedia all’improvviso, dove gli attori camminano nel confine tra verità e finzione, usando una parola spontanea, veneziana ma con inflessioni anche lombarde.

Era proprio il periodo, quel settecento che Goldoni attraversò per intero, in cui la lingua italiana era divisa tra diversi modelli tra cui quello classicista, di natura aristocratica e proveniente dalla Toscana, o quello settentrionale, che in realtà aveva influenzato lo stesso italiano proposto da Dante che usava tanti lombardismi e gallicismi. Goldoni si muove, ovviamente, nel dialetto veneto.

Il suo teatro ha un forte significato politico. In quel periodo in cui la borghesia portava una forte identità plebea, evadeva dai modelli che definivano una letteratura lontana dalla sensibilità popolare, si cercava dunque di far vivere il linguaggio quotidiano attraverso il luogo del dramma. Goldoni infatti usava canovacci che poi sono andati definendosi sempre di più fino a formare le sue opere più celebri tra cui: La locandiera, tragicommedie come Belisario, il suo avvicinamento alla commedia dell’arte con il servitore di due padroni, o la figlia dell’antiquario.

Se si pensa al personaggio di Mirandolina, emerge quel modello borghese che si andava definendo, che vedeva il lavoro come via di salvezza e da un lato una appartenenza a una classe ancora oppressa, ma dall’altro anche quel desiderio di staccarsi, diventare egemone. Il teatro di Goldoni è il teatro borghese per eccellenza, e propone personaggi che inciampano nel loro desiderio di autocontrollo, una sorta di goffo tentativo di imitare la nobiltà, e ancora quel terreno sottostante di incertezza, appartenenza a una classe che proprio in quel secolo andava definendosi.

Si può dire che Goldoni rappresenti proprio l’ascesa di una classe sociale, e per primo ne evidenzi i tic. Il suo illuminismo, porta una buona novella laica. Storie di conflitti generazionali, dunque proprio la descrizione chiara di quel mondo che andava a cambiare e il sarcasmo nel descrivere un falso equilibrio che si tentava di conservare, come una falsa coscienza sentimentale.

Goldoni fu un autore molto criticato e non capito pienamente nell’immediato.

Le critiche venivano mosse da figure conservatrici come Carlo Gozzi che vedeva nelle sue opere una pericolosità politica, Benedetto Croce che non valutava lo stile della commedia all’improvviso come valida su un piano letterario, e De Sanctis che nel processo di mimesis e rappresentazione realistica di Goldoni vedrà un atto controrivoluzionario.

Insomma, un commediografo che pienamente si è messo in gioco nel definire che cosa diventava quella modernità che vedeva l’ascesa della classe borghese, la fine di un modello feudale che non poteva più confrontarsi con l’illuminismo e l’aprirsi dell’era industriale. Un periodo rivoluzionario il settecento, sicuro.

Dove anche il teatro fu completamente svoltato. Si sarebbe arrivati a dare maggiore spazio a quella scrittura di scena, quel canovaccio rappresentante di una maniera letteraria che, per quanto osteggiata dai luminari dell’epoca, non aveva ragione di vedersi esclusa se non per motivi ideologici.

E si sa che all’epoca, le ideologie esplodevano e Goldoni si è limitato a tentare di fotografare quanto accadeva, senza in realtà andare oltre con le teorizzazioni, e non per controrivoluzione, ma perché solo smascherandosi delle proprie velleità aristocratiche la borghesia poteva creare quella rivoluzione che poi la Storia, un secolo dopo avrebbe cominciato a consegnare nelle mani del proletariato, ma questa è un’altra storia.