Aldo Mantineo

Dialogo con Aldo Mantineo, autore de “Verità-fai-da-te. Il pensiero critico argine della disinformazione”

Aldo Mantineo è un giornalista professionista che ha maturato un’esperienza trentennale nel mondo dell’informazione. Verità fai-da-te. Il pensiero critico argine della disinformazione è il suo ultimo libro, uscito a novembre 2022 per Melino Nerella Edizioni.

Aldo Mantineo

L’intervista

Questo libro, come da lei affermato, nasce dopo un percorso di studi particolare, realizzato grazie al Corso di Alta Formazione Raccontare la verità. Di cosa si tratta nello specifico?

“Quello compiuto tra la primavera e l’autunno del 2021 è stato un impegnativo ma assai gratificante percorso pluridisciplinare che ha coinvolto una quarantina di professionisti (non solamente giornalisti) di tutta Italia. Una virtuosa sinergia tra Università degli Studi di Padova e Federazione Nazionale della Stampa Italiana (con un coinvolgimento particolare del Sindacato dei Giornalisti del Veneto) ha dato vita a quella che il presidente della stessa FNSI Giuseppe Giulietti ha definito  un’esperienza unica non solo in Italia ma, probabilmente, nell’intera Europa, per aver saputo – caratteristica rara – unire l’articolo 3 (eguaglianza sostanziale di tutti gli individui davanti alla legge) e l’articolo 21 della Costituzione (tutela della libertà di manifestazione del pensiero), abbattendo le barriere fra mondo della ricerca e del giornalismo. Per sei mesi, con cadenza quindicinale, corsisti da tutta Italia ci siamo ritrovati in un’aula virtuale (non dimentichiamolo, erano i mesi della vigorosa recrudescenza della pandemia) con docenti-relatori di primissimo piano tra magistrati, giornalisti, psicologi, esperti del linguaggio inclusivo, ricercatori, saggisti, specialisti dell’intelligenza artificiale e molti altri ancora per contribuire tutti assieme, in maniera inclusiva, al racconto della verità utilizzando il potente strumento del pensiero critico.”       

Il tema centrale della sua opera riguarda la disinformazione: quali sono gli elementi che la caratterizzano?

Cominciamo con l’inquadrare in maniera adeguata cosa intendiamo per disinformazione.  Se immaginassimo che possa trattarsi al più di un espediente per tirare su un po’ di euro facendo leva sulla naturale curiosità umana portando, grazie alla pubblicazione di notizie inverosimili ma tremendamente accattivanti, su siti e piattaforme che trasformano l’atterraggio degli utenti sulle loro pagine in soldi (magari somme assai modeste, singolarmente, ma che su grande scala iniziano a diventare certamente assai più interessanti…) finiremmo con l’osservare soltanto una parte – e nemmeno quella più significativa – del fenomeno. La disinformazione è, invece, qualcosa di ben più strutturato e, soprattutto, insidioso. Come anche ha evidenziato nella sua prefazione al mio testo Antonio Nicita, la disinformazione punta a separare e a polarizzare, ama giocare con gli equivoci tra liberta, verità e potere. La disinformazione trova un grande alleato negli algoritmi delle diverse piattaforme e dei social network che selezionano i diversi contenuti da proporci, potenti “macchine” che sono perennemente al lavoro, non staccano mai, nemmeno quando il mondo dorme. La disinformazione opera, ad esempio, isolando parti di verità, decontestualizzandole, inserendole in contesti verosimili. Un confine, quello tra vero e verosimile, che in alcune circostanze risulta così labile sino a quasi scomparire. Ma la disinformazione agisce anche accostando “pezzi” di fatti veri e l’esperienza dimostra che sommare due porzioni di verità non crea necessariamente un’ulteriore verità. Anzi…”

 

Qual è il ruolo dei giornalisti per quanto riguarda questo fenomeno? La responsabilità è completamente loro?

 “Chi dovesse ritenere che in questo campo (ma forse anche nella quotidianità più in generale…) si possa risolvere tutto tracciando una linea netta tra chi opera bene e chi male commetterebbe un imperdonabile errore di sufficienza. La questione è complessa e anche l’analisi non può essere da meno. I giornalisti siamo coloro i quali che, almeno sino all’impetuoso avvento dei social, abbiamo avuto una sorta di esclusiva nel trattamento dell’informazione. E questo anche per via di un percorso formativo lungo il quale ci sono stati forniti strumenti e utensili adatti a “lavorare” i fatti con professionalità in maniera tale da trasformare alcuni (non tutti!) in notizia. Adesso che, in maniera decisamente più marcata, nell’ultimo decennio e anche di più, il modo di produrre e fruire dell’informazione ha cambiato paradigma, ecco che tutti gli schemi collaudati sono saltati. Non ritengo, personalmente, che l’equazione da più parti formulata social network = disinformazione sia fondata. Le fake news camminano – corrono… – perché quel meccanismo di accurata verifica al quale non deve sfuggire alcun tipo di informazione talvolta non funziona a dovere, si inceppa. E se prima una falsa notizia rimaneva confinata nelle pagine di cronaca di un quotidiano o nell’edizione serale di un tg, adesso che nel composito sistema di produzione-diffusione-fruizione delle notizie i social recitano un ruolo più che rilevante, ecco che nel volgere di pochi istanti una fake news partita magari da uno scambio di messaggi su whatsapp e poi rimbalzata sotto forma di post su facebook finisca in un “pezzo” su un quotidiano o al radiogiornale considerato che i giornalisti non disdegnano certo di frequentare il mondo virtuale. Per dirla con Roberto Reale – giornalista e docente – alle colpe dei social non si contrappone un’innocenza dei media.”

 

Quanto influisce, invece, il nuovo modo di fare informazione (attraverso il Web e i Social Network)?

“C’è una parola-chiave alla quale fare riferimento: disintermediazione. Il nuovo modo di fare informazione non passa più, ormai, dal giornalismo (o almeno ciò non accade più negli stessi termini così come per lungo tempo lo abbiamo conosciuto). Adesso non c’è più (solo) il giornalista che, grazie agli strumenti professionali acquisiti e a percorsi formativi (mai sufficienti!) individua tra la molteplicità dei fatti che si susseguono naturalmente sotto il suo sguardo quelli che “meritano” di essere professionalmente lavorati e quindi essere offerti alla fruizione della comunità dei lettori-telespettatori-radioascoltatori-navigatori. Adesso ciascuno di noi partecipa attivamente sia alla produzione che alla fruizione della notizia. Lo facciamo anche perché la crescente e sempre più rapida possibilità di interazione che è resa possibile dall’uso di “macchine” sempre più sofisticate, performanti, potenti ed economicamente accessibili quali sono, ad esempio, gli smartphone, ci consente di vivere in una sorta di connessione perenne. C’è un dato sul quale vale la pena di riflettere: nel 2020 (ricerca Seo cube riferita dall’ANSA) nella sola Italia vennero censiti circa 80 milioni di smartphone per (allora) 60 milioni circa di abitanti. Dunque lungo lo Stivale già due anni fa si contavano più smartphone che abitanti!”

 

Come può l’utente riconoscere una falsa informazione? A cosa deve fare caso?

Questo è uno snodo decisivo. Molto spesso ci fermiamo a “filosofeggiare” su cosa sia disinformazione, su come definire correttamente una fake news. Tutto ciò è molto importante, non v’è dubbio, perché la stessa definizione contribuisce a raccontare del fenomeno ma, a mio avviso, non è il passaggio decisivo. Molto più importate (e forse anche utile) è saper snidare una fake news, riconoscerla per tempo, impedire che continui a girare evitando – ad esempio – di ricondividerla dandole così nuovo slancio e nuova linfa.   Una fake news intanto si connota perché ci appare estremamente seduttiva, attraente, finanche… vera, considerato che in fin dei conti si presenta esattamente così come noi pensavamo fosse e, grazie anche ai potenti algoritmi, è quella “verità” che non potevamo non trovare visto che ogni nostra ricerca la conduciamo, essenzialmente, dentro comfort zone dalle quali di fatto non usciamo. Troviamo, insomma, esattamente quanto ci aspettavamo di trovare anche perché non avremmo potuto trovare altro che quello per una molteplicità di fattori condizionanti non sempre tutti percettibili. E questo è decisamente uno degli aspetti più subdoli del fenomeno della disinformazione. Per il resto, per compiere una verifica accurata – che era e rimane l’arma principale – una buona strategia è quella di utilizzare lo stesso web – che non sempre a ragione accusiamo di contribuire ad alimentare la disinformazione – per intercettare le fake news (che non sono fatte solo di parole ma anche di immagini con un capitolo, quello dei video dove in ogni istante si scrivono nuove pagine)  usando i molteplici strumenti a disposizione. La prima cosa da fare è guardare bene chi sia l’autore di una informazione e quale sia la sua formazione specifica e reputazione (anche qui una semplice “googolata” non è esaustiva ma consente di farci un’idea); controllare sempre la data di pubblicazione perché nel web si trova di tutto e di tutte le…ere geologiche (potrebbe dunque accadere che quella notizia che stiamo verificando sia stata frattanto superata da ulteriori accadimenti); osservare attentamente il layout grafico della pagina che abbiamo davanti e guardare con estrema attenzione anche la denominazione del sito nel quale ci troviamo perché a passare dal Corriere della Sera al Corriere della Serra è davvero un attimo!; effettuare ricerche inverse e incrociate usando immagini o parole-chiave. Non sempre ciò può bastare ma, se non altro, questa verifica di primo livello ci aiuta a familiarizzare con sistemi di controllo sempre più stringenti.”

 

 

Quali provvedimenti andrebbero presi per arginare il fenomeno?

 “Più che di provvedimenti direi che mai come in questo momento storico si avverta la necessità di avere maggiore formazione. Un problema che accomuna chi l’informazione la produce, a qualsiasi livello, e chi ne fruisce. La desertificazione delle redazioni è sotto gli occhi di tutti; il pauroso impoverimento e inaridimento delle professionalità non è una fake news come invece ci piacerebbe che fosse; la propensione a considerare “notizia” qualsiasi cosa scorra sullo schermo dei nostri device senza badare nemmeno a contestualizzare un’informazione è una tendenza oramai consolidata; il privilegiare la velocità di condivisione o di interazione a scapito di una sia pur minima verifica (che, invece, richiede il giusto tempo) è un dato incontrovertibile. Ecco perché immagino che soltanto una poderosa azione formativa che coinvolga tutti i diversi protagonisti della filiera dell’informazione possa consentire di riportare in carreggiata un’auto che sta scivolando via, inesorabilmente, lungo la scarpata. Dobbiamo a questo punto scegliere se provare a tirare per bene il freno a mano o continuare a dare gas pigiando sul pedale della disinformazione. “

 

Fake news e analfabetismo funzionale spesso sono collegati. La scuola dovrebbe cambiare approccio?

 “La scuola è certamente uno degli snodi decisivi. Ma anche in questo caso dobbiamo immaginare percorsi inclusivi che abbandonino preconcetti e metodologie superate. Si parta da un dato incontrovertibile: tutti i nostri figli e nipoti posseggono uno smartphone (o altro device) che è ormai diventato una sorta di estensione del proprio io. Ogni azione si possa immaginare non può prescindere da questo dato incontrovertibile. Occorre dunque mettere a punto azioni e progetti che abbiano oggi, nel terzo millennio, la stessa valenza e impatto che negli anni sessanta dello scorso secolo ha avuto la televisione che ha contribuito concretamente all’alfabetizzazione di un pezzo non marginale del Paese. Di esperienze importanti che mettono al centro il mondo della scuola nella creazione di una nuova cultura della produzione e fruizione dell’informazione – declinata secondo consapevolezza e responsabilità – ne esistono già. Quel che serve è allargare ulteriormente il raggio di azione, abbandonare le vie dei percorsi sperimentali per diventare patrimonio condiviso dell’intera comunità scolastica italiana.”

 

Torniamo al libro: cosa si deve aspettare il lettore?

 “A me piace definire questo mio breve saggio come una sorta di cassettina degli attrezzi da tenere a portata di mano per dare un’occhiata all’occorrenza e scegliere quale utensile utilizzare. La struttura è assai semplice: dopo aver inquadrato il fenomeno disinformazione ribadendo che non si tratta certamente di una contingenza contemporanea visto che già Dante Alighieri nella Divina Commedia aveva spedito all’inferno i “falsari della parola”, analizzo più in dettaglio cosa si intenda per fake news, cosa la caratterizzi e, naturalmente, fornisco anche un paio di dritte utili per evitare di abboccare all’amo di chi – intelligenza umana o artificiale – pesca in rete. Tutto anche con il supporto di esempi concreti e con l’analisi di casi specifici (molti, inevitabilmente, legati al racconto dell’emergenza coronavirus che negli ultimi due anni hanno fatto social e sistema dell’informazione, anche quella mainstream). Il linguaggio scelto prova a rifuggire da ogni inutile tecnicismo e parte da un presupposto: l’arma più efficace che ciascuno di noi ha per non  finire vittima della disinformazione è quella di esercitare l’arte del dubbio, di non fermarsi alla prima (sia pur assai seducente) verità che ci viene proposta, di utilizzare il buon senso e non rinunciare mai al proprio pensiero critico e, di conseguenza, mettere al bando ogni assolutismo e complottismo.  E formulo anche un invito specifico: non appiccichiamo la comoda etichetta di fake news a qualsiasi pensiero che non collimi con il nostro, a qualsiasi opinione divergente dalla nostra. La fake news è una notizia che non ha superato lo sbarramento di una verifica accurata. Fuori da questo perimetro ci troviamo nel campo delle libere idee, delle opinioni. Sacrosante, anche (e soprattutto) quando differenti dalle nostre, Insomma il vero rischio da scongiurare è di considerare tutto fake news così che, alla fine, nulla sia fake news!       

 

Sono in programma presentazioni?

 “Il ciclo degli incontri di presentazione è già iniziato. Si tratta di iniziative svolte sia in presenza che da remoto. Ma più che alla presentazione in sé stessa proviamo a realizzare momenti di analisi e confronto sui principali temi affrontati nel libro – e dunque disinformazione, misinformation, utilizzo del pensiero critico, analisi degli scenari nei quali si muovono giornalisti e comunicatori – guardando con particolare attenzione al mondo della scuola. In questo contesto è stata recentemente realizzata un’edizione speciale fuori commercio che Energit, una delle prime aziende attive in Italia sul mercato libero dell’energia, ha donato alle biblioteche scolastiche degli Istituti Superiori della Sardegna. È un esempio di quel virtuoso gioco di squadra che coinvolge professionisti, imprenditoria e mondo della scuola che rappresenta una delle più poderose leve da azionare.”