Risale a qualche mese fa l’ennesimo allarme dell’Accademia della Crusca su una questione tanto spinosa quanto da molti ritenuta inevitabile: la scomparsa della scrittura a mano. Causa contingente dell’intervento sull’argomento del professore emerito di Linguistica italiana Rosario Coluccia, Accademico della Crusca dal 2011, è stata una petizione circolata online, indirizzata alla ex-ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina e intitolata Promuoviamo la bellezza della scrittura a mano. Petizione, a sua volta, stimolata dalla configurazione dei controversi banchi monoposto, pensati di dimensioni ridotte per occupare meno spazio ma anche favorire l’utilizzo di pc e tablet.
Coluccia, intervenendo con un articolo su Italiano Digitale, la rivista della Crusca in rete, sottolinea come la tematica sollevata da questa raccolta firme digitale sia tutt’altro che marginale. Si potrebbe pensare, infatti, che dopo un anno e passa di pandemia, di DAD, di scuole aperte-chiuse-aperte, ben altri possano essere i problemi, e sicuramente in parte è vero.
Ciononostante, il rischio di scomparsa della scrittura a mano non va affatto trascurato, perché viene ad aggravare un quadro complessivo, già preoccupante, di una sempre maggiore difficoltà, da parte dei bambini, di acquisire una buona manualità fine, dovuto all’utilizzo eccessivo e precoce di strumenti tecnologici che impoveriscono i muscoli della mano. I casi di disgrafia, di incapacità a redigere caratteri chiari e netti, ben disposti sul rigo, di scritture con miscugli di stili incongrui sono sempre più frequenti non solo nella prima infanzia ma anche tra gli adolescenti e i giovani adulti. E non si tratta, qui, di un problema semplicemente estetico: la scarsa connessione neuro-cerebrale tra pensiero e manualità crea ritardi nello sviluppo del linguaggio, parlato e scritto; influisce negativamente sulla qualità dell’apprendimento e sulla capacità di coordinare il pensiero; diminuisce la capacità di concentrazione e l’abilità mnemonica, per citare solo alcuni dei principali effetti.
Abbiamo intervistato, a questo proposito, Barbara Manera, presidente de Il dono di Theuth, associazione che dal 2007 si occupa della promozione, della salvaguardia e della riflessione sull’importanza della scrittura manuale.
In cosa consisteva l’attività della vostra associazione, prima della pausa forzata causa Covid-19?
“A parte tutta un’attività di sostegno della scrittura manuale, erano diversi anni che organizzavamo nelle scuole primarie, e anche nelle scuole materne, per gli insegnanti all’interno delle scuole delle conferenze e seminari per spiegare agli insegnanti quanto è importante scrivere a mano e come, e con quale metodologia, è importante insegnare la scrittura. Naturalmente, da queste conferenze, che duravano mezza giornata, o seminari, nascevano delle esigenze specifiche, ci richiamavano magari per fare una formazione più dettagliata e più approfondita agli insegnanti, che durava magari un paio di giorni”.
Qual è, a suo avviso, il motivo per cui è così importante preservare la scrittura a mano, in un momento in cui questa potrebbe apparire solo un retaggio del passato?
“Allora, qui, dovrei fare una spiegazione piuttosto complessa… e lunga (ride). La scrittura a mano è l’attività più complessa che possa fare l’uomo perché coinvolge diverse aree cerebrali, che adesso non le sto ad elencare, e tutte contemporaneamente, coinvolge tutto l’input della motricità fine, la vista ma anche la memorizzazione, il sonoro della lettera alfabetica che si ripete nella testa, e il movimento coordinato. Più c’è training su un determinato movimento, aspetto, esercizio, attività eccetera eccetera, più naturalmente si allenano queste aree. Lei pensi la differenza, pensi uno che si mette a scrivere con carta e penna. Intanto, ha un foglio bianco davanti e la sua testa si deve organizzare: da dove parto, fin dove arrivo, sto in alto, sto in basso… Davanti ad una tastiera, questa cosa non si fa, è la tastiera, è il computer che fa tutto. Punto 2: la tastiera lei la clicca, quindi l’unico gesto che lei fa, col polpastrello, è cliccare. Con in mano invece, una penna o una matita, i movimenti che lei può fare, dal polso in avanti, sono estremamente differenziati. Poi c’è il discorso dell’occhio, l’occhio che segue mentre scrivi, segue la parola che stai scrivendo. Tutto questo non avviene davanti ad uno schermo. Questo per fare degli esempi. E l’errore! Il bambino rilegge l’errore, torna indietro, cancella, tira una riga… interviene sul suo elaborato. Questo, con tanti altri aspetti neurofisiologici, aiutano la crescita e lo sviluppo del bambino. E poi c’è tutto un legame che è stato studiato, appunto, fra la capacità di scrivere e la capacità di leggere. In più, un’altra cosa: la scrittura è unica, ognuno di noi scrive in un modo assolutamente personale. E allora una domanda che ci si fa è perché, in un mondo super standardizzato, non dobbiamo mantenere anche questa nostra capacità di esprimerci in modo assolutamente unico, personale”.
Una domanda sull’associazione: lei è tra le fondatrici, come le è venuta, nel 2007, l’idea di creare Il dono di Theuth?
“È nata tra amici, esperti appassionati di comunicazione. Per diversi motivi si discuteva su questa cosa della scrittura, perché nel 2007 – parliamo di 14 anni fa – ancora non era un tema attuale però si prevedeva che la tecnologia avrebbe creato dei problemi proprio all’uso della scrittura manuale, e di lì abbiamo fatto tante cose belle, abbiamo organizzato tante conferenze con relatori di altissimo livello, abbiamo fatto un’indagine demoscopica su quanto scrivono gli italiani, quanto e come. In più avevamo anche preparato una rivista online. Poi, nel frattempo, abbiamo capito che c’era questa grossa esigenza nelle scuole, e ci siamo buttati sul settore dell’educazione nelle scuole”.
Avrebbe un consiglio da dare ai genitori che magari hanno figli che non hanno voglia o fanno fatica a scrivere a mano?
“Siccome è un problema super diffuso ormai – lo era già prima della DAD, proprio super diffuso, anche perché molti bambini non scrivono bene perché non sanno proprio da che parte iniziare – c’è un verso anche per scrivere, una direzione… Il consiglio da dare è sicuramente di controllare e di aiutarli veramente a sviluppare la motricità fine. Quello lo puoi fare anche a casa, sbucciando i piselli piuttosto che, che ne so, fargli togliere le foglioline del prezzemolo, usare queste ditina, queste manine! E poi controllarlo e vedere nei primi due anni di scuola elementare se il bambino è impostato bene. Impostato vuol dire anche che si sieda bene, che tenga la penna bene. Dopodiché, se si vede che il bambino fa fatica, gli fa male il braccio, non gli piace, non dire «Va bene, usa il computer!», perché se dici usa il computer è come dire a uno: ‘Hai male alla gamba? va be’, prenditi la stampella’. Eventualmente, ci sono delle brave e dei bravi educatori della scrittura, dove si può portare il bambino dagli 8 anni in su a farsi fare una consulenza. Cioè capire se è un problema più fisiologico, più di postura o se molte volte ci sono dei bambini che scrivono male per dei problemi emotivi, eh? L’emotività sulla scrittura è fondamentale. Possono essere bambini stressati, bambini con ansia, bambini con problematiche di autostima, di paura di sbagliare… Ci possono essere diversi motivi, non è solo un problema di impostazione. La fretta, anche. La fretta e la velocità sono nemiche della scrittura”.
E anche del pensiero?
“E anche del pensiero, esatto”.
Allora lasciamoci con un altro suggerimento: proviamo magari, durante le vacanze, a prenderci un po’ di tempo, acquistare per noi e/o per i nostri figli un bel quaderno, e darci alla scrittura. Delle nostre giornate, dei posti dove potremo finalmente andare, in Italia o altrove. Delle nostre riflessioni e delle emozioni che proviamo. Il tutto, ovviamente, scritto rigorosamente a mano. Non può farci che bene.
Scrivo da sempre. Da quando ancora non sapevo farlo, e scrivevo segni magici sulle tende di mia nonna, che non sembrava particolarmente apprezzare. Da quando mio nonno mi faceva sedere con lui sul lettone, per insegnarmi a decifrare quei segni magici, e intanto recitava le parole scritte da altri, e a me sembravano suoni incantati, misteriosi custodi di segreti affascinanti e impenetrabili, che forse, un giorno lontano, sarei riuscita a comprendere e che, per il momento, mi limitavo ad assaporare sognante. Sogno ancora, tantissimo, e nel frattempo scrivo. Più che posso, ogni volta che posso, su ogni cosa mi appassioni, mi incuriosisca o, più semplicemente, mi venga incontro, magari suggerita da altri.
Scrivo per Hermes Magazine e per altri siti, su vari argomenti, genericamente raggruppabili sotto il termine di “cultura“. Scrivo anche racconti, favole, un blog che piano piano prende forma, un libro che l’ha presa da un po’ e mi è servito a continuare a ridere anche quando tutti intorno a me sembravano impazzire (lo trovate ancora su Amazon, mai fosse vogliate darmi una mano a non smettere di sognare).
Scrivo perché vorrei vivere facendolo ma scriverò sempre perché non riesco a vivere senza farlo.
Scrivo perché, come da bambina, sono affascinata dal potere di questi segni magici che si trasformano in immagini, in pensieri, in storie. E, come da bambina, sogno di possedere quella magia che permette loro di prendere vita dentro la testa e nell’immaginazione di chi li legge.