La libera espressione nell’arte è un principio sancito anche dalla nostra Costituzione. Ma la linea di demarcazione tra l’emancipazione del linguaggio artistico e manifestazioni sopra le righe, che rasentino cioè l’osceno è labile e sottoposto a interpretazioni secondo la morale dell’epoca, la cultura vigente o la sensibilità degli spettatori.
Il termine osceno deriva dal latino “obscenus” che voleva significare qualcosa di disgustoso, infausto o indecente dal punto di vista religioso. Tale significato è rimasto pressoché invariato nella nostra etimologia, ma a cambiare nel corso dei secoli sono stati i soggetti e le idee che hanno corrisposto a questo concetto.
Caravaggio, Goya, Egos Schiele, per citare alcuni artisti che nella storia hanno subito censure per i loro lavori perché, chi in un modo, chi in un altro, non conformi al sentire delle loro società e perciò giudicati osceni.
La cultura contemporanea ha sdoganato nella comunicazione artistica e non solo, molti dei concetti in passato considerati osceni e l’arte, elemento provocatorio per eccellenza, in tanti casi si è appropriata dello “scandaloso” e del l’inopportuno, la maggior parte delle volte per denunciare o mettere in luce situazioni e sentimenti scomodi ma tuttavia molto importanti da sottolineare per l’evoluzione stessa della coscienza umana. Ma ciò nondimeno coesistono espressioni che rivelano invece, a parer mio, un approccio grossolano, volutamente irriverente o violento che rispecchia soprattutto la volontà degli autori di mettersi in mostra ed emergere a qualsiasi costo.
Atteggiamenti o happening plateali ed estremi hanno rischiato e rischiano di mettere in ombra il messaggio principale che si vuole trasmettere a favore di una forma distorta e volgare di comunicazione. Così come nelle performance del più radicale esponente dell’Azionismo Viennese ( Wienner Aktionismus), Herman Nitsch (1938-2022) che nelle sue perfomance teatrali riversava sul pubblico sangue animale e liquidi corporei. O le prime manifestazioni artistiche di Marina Abramovic, le quali consistevano nel cambiare i connotati del viso e del corpo con l’inserimento di protesi metalliche. O ancora nel lavoro del 1993 di Damien Hirst “Madre e figlio divisi”, opera che presentava una mucca e un vitello divisi longitudinalmente e conservati in vasche piene di formaldeide. Qui al discutibile messaggio che l’artista voleva trasmettere (forse) del rapporto tra uomo e animale, si contrapponeva una inutile quanto vuota ironia della forma, tale da rendere oscena l’intera installazione.
L’oscenità in questi casi, quindi, riguarda appunto la totale mancanza di sottigliezza e arguzia che il linguaggio artistico dovrebbe avere per entrare e fare breccia nel profondo dell’animo e dell’inconscio umano.
Altro invece, è l’approccio che il pubblico ha riservato all’opera di Brett Bailey “Human Zoo”, presentata al Exhibit B di Edimburgo nel 2014. L’installazione prevedeva la presentazione di persone di colore all’interno di gabbie, volendo affrontare la questione razziale ancora molto viva nel mondo. Ma molte persone si sono sentite offese e a disagio proprio dalla forma scelta per la denuncia, peraltro encomiabile, e dal fatto che Bailey fosse un sudafricano bianco.

Dopo aver seguito studi artistici si interessa appassionatamente ad approfondire i meccanismi e l’evolversi della storia dell’arte contemporanea.
Proprio in qualità di critico d’arte e corrispondente, negli anni ’80 e ’90, ha firmato saggi e recensioni per alcuni dei maggiori periodici del settore, tra i quali: Terzoocchio delle edizioni Bora di Bologna, Flash Art di Milano Julier di Trieste ed il genovese ExArte .
Inoltre affiancherà attivamente come consulente la famosa galleria d’Arte avanguardistica Fluxia durante tutto il periodo della sua esistenza.
Ha partecipato all’organizzazione di numerosi eventi, tra i quali l’anniversario del centenario dell’Istituto d’Arte di Chiavari e la commemorazione del trentennale della morte del poeta Camillo Sbarbaro a S. Margherita L.
Nel 2010 pubblica il suo primo romanzo: “La strana faccenda di via Beatrice D’Este”, un giallo fantasioso e “intimista”.
Nel 2018 pubblica il fantasy storico “Tiwanaku La Leggenda” ispirato alla storia ed alle leggende delle Ande pre-incaiche.
Attualmente collabora con alcuni blog e riviste on-line come “Chili di libri, “Accademia della scrittura”,
“Emozioni imperfette”, “L’artefatto”,” Read il magazine” e “Hermes Magazine” occupandosi ancora di critica d’arte e di recensioni letterarie.