“L'infinità e la diversità” di Michelangelo Pistoletto

“L’infinità e la diversità” di Michelangelo Pistoletto   

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E’ ancora in corso fino al 15 ottobre al Chiostro del Bramante la mostra di Michelangelo Pistoletto sull’arte contemporanea senza limiti intitolata “Infinity” e curata da Danilo Eccher.

Si tratta di 50 opere e 4 installazioni di siti specifici che raccontano  il viaggio emozionale e simbolico  di Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933) nell’infinità dei suoi mondi e dei suoi modi di percepire la realtà durante l’arco di tutta la sua carriera artistica: dagli anni Sessanta al Duemila. In realtà la mostra si rivela una straordinaria occasione per riflettere sulle infinite prospettive con cui l’autore- ma in realtà qualsiasi spettatore- può interpretare il passato e la cultura classica come anche gli spazi infiniti che ci circondano: dal Mar Mediterraneo al Terzo Paradiso, dalla Creazione  agli Specchi, che ci riflettono in immagini infinite componendo un caleidoscopio di realtà di cui noi siamo l’infinitesima componente costantemente in evoluzione.  Una mostra da non perdere, immersiva e gioiosa per ognuno, dai piccoli ai grandi, perché riesce a fare scatenare fantasia e creatività quando la routine della quotidianità ci vincola inesorabilmente al grigiore dei nostri ripetitivi impegni!

Il significato

Il simbolo dell’infinito che oggi va così tanto di moda – i tre cerchi coloratissimi disposti orizzontalmente in cui quello centrale è più grande di quelli laterali- occupa gli archi del loggiato del Chiostro del Bramante, stupendo il visitatore sia per l’impatto con l’ambiente del ‘500, sia per l’equilibrio che sembra conciliare vita e armonia secondo il teorema della “Trinamica”, ossia della relazione e dell’equilibrio della creazione, che connette l’uomo con il dio creatore. E’ allora l’uomo stesso che si “moltiplica nella diversità”: più conosce mondi e realtà diverse, più “si declina” per entrare in armonia con essi e apprezzarne le differenze, studiandole e amandone proprio quelle parti che nelle diversità riesce a distinguere come appartenenti alla sua indole, alle sue abitudini, alla sua quotidianità. E’ questo che Pistoletto scopre e ci vuole fare condividere: quando siamo di fronte al “diverso” non soltanto non dobbiamo fuggirlo o respingerlo o minimizzarne l’importanza, ma  dobbiamo relazionarci ad esso riconoscendone, anche in parti infinitamente piccole,  un barlume e un bagliore della nostra stessa identità.

L’infinito nell’amore

Da questo nasce l’atto d’amore: nella differenza tra l’io e il tu si apprezza l’ “altro da sé”, ossia l’amore Si nutre del modo di provare emozioni e sensazioni dell’altro in cui ammiriamo e siamo incantati proprio da come è diverso da noi. Da questo concetto nasce l’installazione “Love difference” in cui il concetto è ripetuto in 20  lingue per ribadire l’importanza di  amare, ascoltare e accettare l’altro “eliminando le distanze  e mantenendo le differenze”.

I quadri specchianti

Ci sono poi i “quadri specchianti” (“Metrocubo di infinito”) che travisano l’oggettività della nostra immagine riflessa negli specchi togliendole l’immediatezza dell’attimo in cui ci si specchia: lo spettatore che passa nell’ambiente, infatti, partecipa all’opera d’arte, la cambia ad ogni suo passaggio, la rinnova nello spazio e nel tempo e le conferisce una continua variabilità con il suo happening. Così l’opera d’arte “espande le caratteristiche dell’occhio e la capacità della mente fino ad offrire la visione della totalità”, affermava infatti Pistoletto nel commentare la “sala degli specchi”.

I riferimenti inconsci

Del resto il valore deformante e di falsa realtà che allude ad altro, tipico degli specchi, era stato già abbondantemente indagato da Umberto Eco nell’opera “Gli specchi” del 1985, in cui il concetto di serialità applicato all’arte allude a mondi immaginari e fantastici, rinviando ad “una galassia di osservazioni non del tutto sconnesse”.

Il recupero dei classici

Ma Pistoletto si è occupato anche del recupero della cultura del passato e in particolare “L’etrusco e la strada romana” del 1976 nasce come una “copia” dell’ “Arringatore” che rappresenta Aulo Metello, nobile etrusco, che si riflette in uno specchio nell’atto di parlare alla folla, alla fine di una strada romana. Qui la parola rappresenta l’elemento centrale dell’opera: l’arte del ben parlare, l’ars rethorica,  consente di definire e determinare la realtà, ma al contempo può creare un conflitto, può risolvere le controversie, può sedurre, convincere, incitare, placare o irritare. Qui, però, si infrange sulla strada e sullo specchio  che si oppone a Metello, incapace di superare sia il tempo e lo spazio che gli si riflettono contro, sia le barriere linguistiche e culturali della folla da arringare.

La fine del percorso

In una scalinata finale che ci riporta al loggiato termina la visita di questa mostra: è una scalinata dipinta in modo acceso, come se la densità di tutti i colori si riversasse improvvisamente per le scale creando la trama meravigliosa di  un tappeto pregevole che però alla fine, arrivato sulla soglia, si scioglie nei mille colori di cui è costituito, creando una tavolozza disordinata di tempere di mille colori che ci proietta ancora una volta in uno spazio e in un tempo fantastico e infinito!


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