“Banksy e la street art” è il titolo della mostra che, dal 15 ottobre prossimo fino al 22 marzo 2026, sarà ospitata presso il Palazzo Sancinelli di Conegliano.
Curata da Daniel Buso, l’esposizione presenterà opere, appunto, di Banksy ma anche di altri personaggi come Obey e Mr. Brainwash, oggi esponenti di punta della street art e Mr. Savethewall, artista italiano che però si definisce in tal senso un “post-street artist”.
I murales
Nati già nella prima metà del secolo scorso, come espressione di protesta e di denuncia sociopolitica, i murales, i grandi dipinti realizzati su muri o pareti esterne nelle città o nelle metropoli, si contrapponevano in chiave “artigiana” agli enormi cartelloni pubblicitari stampati e rutilanti del consumismo, riuscendo a incarnare l’anima e l’idea di un diverso intendere il messaggio da propagare. Non da “propagandare”, appunto.
I lavori di Diego Rivera, David Alfaro Siqueiros, Rufino Tamayo nel Messico e negli Stati Uniti degli anni venti o trenta, avevano fatto scalpore, destando scandalo nell’opinione pubblica e nelle sfere di potere di allora, proprio per le tematiche trattate e la potente voce che riuscivano a conferire alle istanze sociali.
La connotazione di dissenso e di libera espressione si è trasformata in seguito, specialmente nella cultura Pop e nel linguaggio del “writing”, del “graffitismo”, in volontà di manifestazione del proprio essere, in segni distintivi di personalità che si appropriavano degli spazi del tessuto urbano per ribadire la propria esistenza. Una sorta di “firma”, come appunto i graffiti che si trovano incisi sui muri di certi siti, un nome d’arte (tag), che ripetuta e rielaborata con le bombolette spy colorate, su mura, facciate o fiancate di treni e metropolitane, testimoniava l’esistenza nell’umano consesso di chi l’aveva perfezionata. Un mezzo per farsi riconoscere, per far parlare di sé, sfidando regole e convenzioni ed a volte, rischiando di essere scoperti e sanzionati dalle forze dell’ordine.
Il graffitismo nasce sul finire degli anni sessanta a Philadelphia (Taki 193 sarà forse il primo ad essere conosciuto come writer) per poi spostarsi a New York e invadere le strade di tutta l’America prima, e dell’Europa poi.
Sempre avversata comunque dalle autorità cittadine, ritenuta, spesso non a torto, come espressione di vandalismo, la street art andrà di volta in volta, a evolversi verso espressioni più consapevoli, legate sia a riferimenti sociologici, culturali e di protesta, che a interventi urbani mirati.
La grande popolarità dell’inglese Banksy, i suoi veri e propri messaggi semplici e profondi al tempo stesso, e di altri streetartist anche italiani, ha riabilitato l’espressione dei murales cittadini che sono finalmente assurti a vera e propria forma di espressione artistica.

Dopo aver seguito studi artistici si interessa appassionatamente ad approfondire i meccanismi e l’evolversi della storia dell’arte contemporanea.
Proprio in qualità di critico d’arte e corrispondente, negli anni ’80 e ’90, ha firmato saggi e recensioni per alcuni dei maggiori periodici del settore, tra i quali: Terzoocchio delle edizioni Bora di Bologna, Flash Art di Milano Julier di Trieste ed il genovese ExArte .
Inoltre affiancherà attivamente come consulente la famosa galleria d’Arte avanguardistica Fluxia durante tutto il periodo della sua esistenza.
Ha partecipato all’organizzazione di numerosi eventi, tra i quali l’anniversario del centenario dell’Istituto d’Arte di Chiavari e la commemorazione del trentennale della morte del poeta Camillo Sbarbaro a S. Margherita L.
Nel 2010 pubblica il suo primo romanzo: “La strana faccenda di via Beatrice D’Este”, un giallo fantasioso e “intimista”.
Nel 2018 pubblica il fantasy storico “Tiwanaku La Leggenda” ispirato alla storia ed alle leggende delle Ande pre-incaiche.
Attualmente collabora con alcuni blog e riviste on-line come “Chili di libri, “Accademia della scrittura”,
“Emozioni imperfette”, “L’artefatto”,” Read il magazine” e “Hermes Magazine” occupandosi ancora di critica d’arte e di recensioni letterarie.