Jessica: storia di una donna diventata bambina

Il titolo può trarre in inganno, perché Jessica Gialdisi, la ragazza che ho avuto il piacere d’intervistare, è una donna che si è fatta bambina diventando grande. 

 

Jessica è una donna, una ragazza, una scrittrice, una mamma, una sorella, una compagna, un’adulta, una di quelle forti, una di quelle che non sempre riesci a capire che hanno la tempesta dentro, una di quelle che anche se piangono e cadono, poi si rialzano, una che ti parla con gli occhi, una che ascolta, una che sente, una che cresce. E che cresce sua figlia e i suoi fratelli. Jessica è tutto questo, come moltissime di noi, con una sola differenza: non è mai stata bambina. O meglio, non lo è mai stata come doveva. È cresciuta in fretta perché la sua storia è complicata, e chi l’ha cresciuta forse non si è rivelato all’altezza di quegli occhi che cercavano a ogni costo amore, e la vita ha fatto il resto. Eppure Jessica non si è mai spenta, non ha mai lasciato che il buio, quello vero, la tormentasse, fino a non farle vedere più niente. Questa ragazza si sa raccontare e l’ha fatto tramite un’arte potentissima: la scrittura, grazie a un concorso letterario indetto dall’ Associazione “Ema Pesciolino Rosso” dove si è classificata prima a pari merito con Ferruccio Garlando con il suo libro, che lei stessa definisce “auto-terapia”, dal titolo “Vorrei essere stata bambina”, a seguito del suicidio di sua madre, e non solo. Jessica è stata anche la vincitrice del Premio nazionale di letteratura contemporanea italiana dello scorso Giugno.

 

Vi racconterò di lei, e lo farò attraverso le sue parole perché è una storia così delicata che non mi permetterei di essere in prima linea a narrarvela. Ascoltate, se potete leggendo quanto segue. Vi farà male e bene allo stesso tempo, ma badate bene, sono parole necessarie.

 

L’intervista

 

Ciao Jessica e grazie per avermi dato l’opportunità intervistarti.

 

Ciao Alessia, prendo parte a quest’intervista con molto piacere. Sono io a doverti ringraziare per il tuo prezioso tempo.

 

Innanzitutto ti chiedo di presentarti. Da dove vieni? Quanti anni hai? E quale la frase o la definizione che daresti alla donna che sei oggi?

 

Mi chiamo Jessica Gialdisi, sono una ragazza di 25 anni. Nonostante la mia giovane età sono già mamma di una meravigliosa bambina di sei anni, sorella e genitore affidatario (da ben due anni) di mia sorella di 14 anni e dei miei fratelli di 13 e 11 anni. Abito in provincia di Padova. Mi ritengo una donna fragilissima a causa della mia sensibilità e delle ripetute cadute, ma altresì forte e coraggiosa. Lo sono diventata per istinto di sopravvivenza, non avevo scelta, non potevo continuare a vivere nella speranza che qualcosa o qualcuno potesse salvarmi, non mi restava che agire, mettermi alla prova e non dipendere più da nessun altro se non da me stessa.

 

Che cosa è che secondo te ti distingue dagli altri? E credimi non è presunzione, bensì quel sassolino in più che invece di toglierci dalla scarpa ci teniamo dentro per ricordarci quello che siamo?

 

Per tantissimo tempo, ho guardato il mio dolore con assoluto disprezzo. La croce che portavo sulle spalle era così pesante e desideravo solo poterla eliminare per sempre. Dopo un lungo cammino introspettivo alla scoperta di me stessa, sono giunta alla conclusione che quella croce non è una punizione, ma un dono. Un dono perché oggi mi permette di amare la vita pienamente, amarla in ogni sua forma, nel bene e nel male, nel buio e nella luce.

 

Parlaci di chi sei diventata, e soprattutto, la storia che ti ha portata ad essere quella che sei?

 

Ho deciso di raccontare la mia storia nella speranza di poter esser d’aiuto a chi si trova ora in difficoltà, donando nel mio piccolo speranza e forza per reagire, per amare la vita, nonostante tutto. Nacqui in una famiglia dove il mio bisogno sembrava non esistere, come tutti quei valori che, nell’idea comune dovrebbero essere alla base della famiglia stessa, per permettere a qualsiasi bambino di crescere in armonia. Il mio papà e la mia mamma erano entrambi tossicodipendenti, vissero per anni lontani da me rinchiusi in comunità e i nonni paterni (i miei angeli custodi) si presero sempre cura di me. Crescendo cercai approvazione dagli altri, nella speranza di trovare un adulto in cui riporre il ruolo genitoriale. Nel 2017 venne a mancare la mamma dei miei fratelli, aveva solo 33 anni, morì di overdose. Soltanto un anno più tardi venne a mancare la mia mamma. Si suicidò.  Da quel tragico avvenimento, nacque in me la necessità di ascoltare e vivere il mio dolore, riconoscendo per la prima volta il mio bisogno. Questo evento diede inizio alla mia rinascita perché con esso riaffiorarono tutti i miei bisogni inascoltati ai quali, la mia nuova me, sapeva finalmente dare ascolto. Capii che l’approvazione che cercavo dagli altri, in realtà poteva provenire soltanto da me. Presi il controllo della mia vita trasformando il dolore in forza per vivere profondamente con consapevolezza. La mia vita è stata difficile, insidiosa e ricca di ostacoli pronti ad abbattermi, ma non le ho permesso di continuare a farlo. La vita, semplicemente, mi conduceva e non ero io a guidarla. Ero succube di dolori e avvenimenti ai quali non sapevo trovare giustificazione. Inizia a pormi un’infinità di domande, alle quali inizialmente non trovavo risposta. Insieme al mio compagno, dopo qualche mese dalla morte di mamma, capii che la cosa giusta sarebbe stata quella di proteggere e dare ascolto a quei bambini, i miei fratelli. Il suicidio di mia madre mi devastava ed annientava l’anima secondo dopo secondo e loro, così piccini, come potevano affrontare un peso così grande per la perdita della loro madre? Quel posto che abitavo, quella società che mi circondava mi faceva sempre più paura. Il peso di quel dito puntato contro, di quel giudizio, pesava sempre più di più ed io non volevo più starlo ad ascoltare.

 

Che definizione daresti alla parola “madre”?

 

Madre è chi ti cresce, è chi si prende cura di te, chi ti sostiene, chi ti ama senza pretendere nulla in cambio.

 

Che definizione daresti alla parola: “Famiglia”?

 

Sai, cerco spesso di definire la parola “famiglia”. La verità è che, il suo vero significato profondo, lo sto scoprendo ogni giorno. Dico spesso che ora possiedo la famiglia che ho sempre desiderato ed è proprio così. Famiglia non è solo un legame di sangue che unisce e accomuna, famiglia è gioco di squadra, sostegno, condivisione. “Oggi toccherà a me cadere e ci sarai tu a sostenermi, domani quando cadrai tu, sarò lì per te nonostante le mie cadute, anche se sarò un pochino ammaccata troverò la forza per sostenerti”. Ho capito che, famiglia non è solo un legame di sangue, è molto di più. Ogni giorno ritrovo la mia famiglia, nell’abbraccio dei miei cari, delle mie insegnanti, delle amicizie speciali, delle persone che con amore mi circondano e mi sostengono.

 

E alla parola “dolore”?

 

Ho cercato un un’infinità di modi per poter eliminare per l’eternità il dolore che mi portavo dentro costantemente. Poi ho capito che non avrei mai potuto eliminarlo, nasconderlo o metterlo da parte. Dovevo accettarlo e affrontarlo, imparare a camminare a pari passo con Lui, riconoscere che esiste e che non può essere messo da parte. Ho scoperto che, quel dolore che tanto disprezzavo, in fin dei conti era ed è la mia linfa vitale, il mio strumento per poter amare e vivere pienamente ogni istante.

 

Come sei rinata? La bimba che eri è riuscita a rifiorire ad oggi? Nonostante tutto?

 

Strano a dirsi, ma con la morte di mia madre io iniziai a esistere, a vivere pienamente trovando beneficio nelle cose più nascoste e apparentemente effimere. Non sono scappata come avevano fatto le nostre mamme abbandonandoci sino a morire, e ora vivo la vita che avevo sempre sognato, circondata dai miei bambini senza più alcuna sostanza, alcuna violenza. Soltanto amore. Ora la mia vita la dirigo io e questo immenso dolore mi ha permesso di essere oggi ciò che sono, per questo guardo la croce che porte sulle spalle con devozione. Aveva qualcosa di profondo da insegnarmi. Nulla accade mai per caso.

 

Quanto incide su di te il passato durante la giornata? Ti fermi spesso a pensare quello che è stato?

 

Incide tantissimo, lo porto sempre a spasso con me, quasi come se fosse uno zainetto invisibile, ma dal peso enorme. Ogni tanto prova a togliermi l’equilibrio, prova a farmi cadere ed è così che le persone delle quali mi sono circondata corrono in mio aiuto e mi offrono le loro mani e le loro energie per compiere qualche passo insieme a me e alleggerirmi il carico. Da quanto ho avuto il coraggio di denunciare, di chiedere aiuto e di abbandonare paure e vergogna, ho ritrovo la luce.

 

Hai scritto un libro sulla tua storia? E’ del tutto autobiografico? 

 

 

 

Si esatto, chi lo avrebbe mai detto. Proprio così. La mia storia ora è un libro dal titolo “Vorrei essere stata bambina”. È totalmente autobiografico. 

 

Ti ha fatto bene o male scriverlo?

 

Diciamo che mi ha fatto sia bene che male. Bene perché è stata la mia auto-terapia e mi ha permesso di ascoltarmi, di guardare la mia vita da un altro punto di vista e anche in modo più oggettivo e concreto. Male perché continuamente apriva e chiudeva ferita ancora lancinanti e sanguinanti, ma era un passaggio fondamentale per poter trovare equilibrio, rinascere di nuovo ed essere più consapevole.

 

Cosa vorresti dire alla bambina che eri?

 

Vorrei semplicemente dirle:“Amati e abbi cura di te per te stessa e per le persone alle quali vuoi bene, per tutti coloro che ti circondano. Solo imparando ad amarti potrai amare pienamente il tuo prossimo.”

 

Che cosa ti ripeti ogni giorno davanti allo specchio?

 

Ottima domanda! Spesso resto ferma a osservare la mia immagine riflessa allo specchio per lungo tempo, e ancor più, dopo il suicidio di mamma, vedevo solo nero, non mi sapevo riconoscere, non sapevo chi ero e tutte le mie convinzioni di erano sgretolate, volate via. Più mi guardavo più mi sentivo sbagliata, non all’altezza, non meritevole, egoista. Provavo a portare l’attenzione su me stessa per poter sopravvivere e non continuare ad auto punirmi per tutta la vita, ma non ne ero capace. Assurdo dirai, ma quando persi mamma mi resi cono che sino ad allora io non ero mai esistita, non mi ero mai ascoltata, protetta e amata, e così iniziò il mio percorso alla scoperta di me stessa. Senza esserne consapevole mi resi conto che ero il mio peggior nemico di me stessa, ero l’arma con la quale mi sarei ferita e permettevo a chiunque di potermi ferire ulteriormente, di potersi prendere gioco di me.

 

Ringrazio Jessica, per avermi messo tra le mani la sua storia, il suo libro potrebbe essere un bel regalo di Natale, a quelli che sanno sentire, nonostante le pugnalate della vita.