Visitare la Transilvania attraverso Dracula di Bram Stoker

Il cacciatore

“Il viso era forte, molto forte, e aquilino, con un naso sottile e narici stranamente arcuate. I capelli” […] “crescevano folti sul capo” […] “Il viso aveva un pallore straordinario”.
“Sentiteli i figli della notte. Che musica!” […] “Ah signore, voi abitatori della città non potete capire le sensazioni di un cacciatore”.


Come abbiamo già visto nel precedente articolo dedicato ai vampiri, la natura del protagonista del romanzo di Bram Stoker è quella del vampiro moderno e metropolitano. Il vampiro che si muove verso una nuova meta.
Dracula non è una creatura passiva mossa esclusivamente dalla fame. L’appetito di Vlad III è legato alla conoscenza, la sua anima nobile e antica pretende il giusto rispetto. Molto di quello che stupisce gli uomini per lui non è che una cornice nella quale vivere la propria eternità. Nulla può più davvero stupirlo e la sua ricerca trascende la materia.

Le case

Una ricerca che non può continuare nel luogo in cui vive perché a lui troppo affine:

“Le mura del mio castello sono diroccate, le ombre sono molte e il vento soffia gelido dagli spiragli. Amo l’ombra e le ombre e desidero restare solo con i miei pensieri”.


Conosciamo tutti questa sensazione, la casa è un luogo che può velocemente passare da porto sicuro a contenitore di ricordi da dimenticare. Ecco perché il Conte esprime sincera gratitudine verso il suo giovane ospite per essersi prodigato tanto nella ricerca di una dimora che gli calzi, una casa della misura giusta e della giusta fattura.

“Sono contento che sia vecchia e grande. Sono di una famiglia molto vecchia e vivere in una casa nuova mi ucciderebbe. Una casa non può diventare abitabile in un giorno; e in fondo, per fare un secolo non cene vogliono molti. Noi nobili della Transilvania amiamo pensare che le nostre ossa non vengano mescolate a quelle dei morti del popolo. Non cerco né allegria né gaiezza né la luminosa voluttà del sole e dell’acqua scintillante che piacciono ai giovani. Non sono più giovane. E il mio cuore, dopo tanti anni di lutto per i miei morti, è chiuso all’allegria”.

L’ardore della giovinezza

Per questa ragione, nel romanzo tutto ciò che viene descritto con stupore non arriva dal conte ma è parte delle pagine del diario di Jonathan Harker.
Jonathan, che nella sua convinzione di essere un uomo adulto forte delle sue certezze, tenta di mettere scetticismo e cinismo nel giudicare le abitudini oltremanica.
Sono proprio le sue convinzioni a renderlo vittima del viaggio. Così la sua mancanza di curiosità e l’incapacità di adeguarsi alle usanze del posto lo portano alla rovina.

Approfitta di ciò che vede lasciando che i paesaggi ubriachino il suo raziocinio e questo deve essere chiaro da subito al lettore, sin dalla prima pagina:

“Budapest sembra un posto meraviglioso […] L’impressione che ne ricavai fu di trovarmi al confine tra l’Occidente e l’Oriente: i più splendidi ponti occidentali sul Danubio […] ci portano fra le tradizioni della dominanza turca”.

Incalzanti i giudizi, infatti più si va verso l’oriente meno si diventa puntuali. Donne belle da lontano ma goffe e superstiziose. Gli uomini dai capelli e baffi neri vengono accostati a “una vecchia banda di briganti da operetta”.

La cecità del giovane, convinto di mordere la vita più forte di quanto essa stessa possa fare, riesce così a descrivere una natura romantica e incontaminata.
Nel suo viaggio verso quella zona di confine fra Transilvania, Moldavia e Bucovina vede piccole città pittoresche incastonate fra paesaggi di eccellente bellezza.
E mentre al suo fianco vede scorrere torrenti e fiumi forti e irruenti, alzando la testa scorge castelli che dominano le vette frastagliate dei Carpazi.
Uno scenario che sembra essere stato disegnato per ospitare il tramonto perfetto. È tutto davvero troppo bello e l’ingenuo inglese sceglie di non dare peso a tutti gli avvertimenti sulla notte di San Giorgio.

Aprire gli occhi troppo tardi porta alla pazzia

Ci sono delle buone ragioni se le cose sono come sono e se vedeste con i miei occhi e sapeste quello che so io, probabilmente capireste meglio.”

Con queste parole il Conte prova a smorzare la superbia del giovane Harker.
Come tutti sappiamo il giovane uomo non ascolta e non domanda. Non riesce mai a porre la giusta domanda e preferisce spiare e costruire una sua verità.
Sentendosi ancora una volta padrone in casa d’altri, entra dove non deve e qui la conturbante bellezza dei paesaggi montuosi fatti di “massicci frastagliati, picchi e rocce tempestate di sorbi selvatici e rovi” fa abbassare la guardia una volta di troppo.
Qui, nel momento più romantico della giornata su quel divano, spostato appositamente per godere al meglio della sua nuova conquista, Jonathan Harker fa la sgradita conoscenza delle tre “spose” del Conte.
Così non rimane che un rosario al quale rimanere stretto, quella superstizione tanto derisa che si trasforma in ancora di salvezza.
Mentre cade, un pensiero non riesce ad abbandonare Jonathan Harker: l’aver trovato casa ad una creatura superiore per forza ed efferatezza all’uomo.

Adesso tutto assume la giusta prospettiva. Il sole che tramonta significa pericolo in arrivo. Il cocchiere un po’ troppo pittoresco smette di essere un personaggio bizzarro con poco senso dell’orientamento. Arrivati a questo punto non c’è più spazio per ricette con troppa paprika e frutteti in fiore.

La metamorfosi

Carfax, la casa nella quale il nobile guerriero dell’ordine del drago sta per trasferirsi, è la nuova veste. L’indizio iniziale per gli inglesi e per il lettore. Se solo fossero stati capaci di leggere fra queste mura la natura dell’essere che si apprestava ad abitarle, non avrebbero mai osato considerare il Conte un ricco eccentrico voglioso di vivere nella culla della civiltà.
Il nome infatti è una storpiatura contemporanea del nome originario quatre face. Quattro facce, una per ogni punto cardinale, uno per ogni metamorfosi che vediamo compiere al conte: anziano, vigoroso uomo, lupo e vampiro.
Venti ettari di terreno intorno alla casa, ovvero cinque per ogni punto cardinale. Il 5 è il numero che rappresenta tutti gli stati dell’essere umano. L’essere umano universale e tutti i mutamenti che può vivere sia a livello carnale che spirituale.
Il 5 è la spinta verso la nuova meta e tutti noi sappiamo quale sia la spinta che muove il Conte, il nuovo obiettivo della caccia.
E ancora: la cappella annessa della quale non vi è una chiave. E infine l’acqua, quella sorgente sotterranea.
Certo si tratta di segni che gli scettici non colgono e che Stoker è stato bravo a non far cogliere al nostro innocente esploratore.