Resterà fino al 12 gennaio 2025 la mostra al Museo Storico della Fanteria di Roma dedicata al grande pittore espressionista Ligabue e intitolata “Ligabue. I misteri di una mente”.
Si tratta di una grande esposizione che comprende 74 opere, tra cui tele ad olio, sculture, disegni, che sono state realizzate tra il 1920 e il 1960, provenienti dalle collezioni private di Reggio Emilia, Parma e Roma. Le curatrici sono Micol Di Veroli, Vittoria Mainoldi e Dominque Lora e l’esposizione è stata prodotta da Navigare srl e da Difesa Servizi spa, con il patrocinio dalla Regione Lazio e dalla Città di Roma.
La capra alla mostra di Ligabue al Museo Storico della Fanteria di Roma Foto di Lucia Mancini
Il significato della mostra di Ligabue
La particolarità di questa mostra consiste nel tentare di dare dell’artista svizzero – tanto discusso ed etichettato spesso semplicemente come Naif o Brut o Outsider – un’interpretazione globale della sua opera che renda merito della complessità e delle fasi compositive che hanno segnato un’evoluzione nella sua formazione artistica. Infatti in Ligabue, pur non avendo avuto una formazione accademica, è visibile un processo evolutivo che gli ha permesso di approdare gradualmente a tecniche diverse per imprimere loro una notevole forza creativa ed espressiva in grado di suggestionare fortemente lo spettatore. Si è inoltre unita un’indagine psicologica che, attraverso le sue opere, i soggetti rappresentati e le tecniche utilizzate, è riuscita ad evidenziare una personalità complessa quanto originale e geniale, alla costante ricerca di perfezione pur vivendo immerso nelle sofferenze e nella solitudine.
Autoritratto alla mostra di Ligabue al Museo Storico della Fanteria di Roma Foto di Lucia Mancini
L’allestimento della mostra si suddivide per soggetti tematici in 5 percorsi: Animali da cortile, Animali selvaggi, Cani, Animali da bosco e Autoritratti-fiori e campagne in cui si evidenzia la tensione emotiva e parallelamente la volontà sperimentale che guidava l’artista in una lotta tutta personale e solitaria perché il mondo potesse comprendere il significato delle sue opere. Nascono così le opere del 1957 come l’ Autoritratto ad olio, I fiori – arrivati qui dalla collezione Mazzanti-, gli animali da bosco e selvaggi, come la scultura della capra del 1952.
La caccia alla mostra di Ligabue al Museo Storico della Fanteria di Roma Foto di Lucia Mancini
All’inizio della mostra alcuni pannelli espositivi raccontano la sua vita, altrettanto enigmatica quanto la sua personalità. Nato nel 1899 da Elisabetta Costa e da un padre che non volle riconoscerlo, fu affidato alla coppia svizzero-tedesca dei Gobel, manifestando fin da piccolo segnali evidenti di rachitismo, dovuto a mancanza di vitamine, che gli crearono una malformazione cranica e ne compromisero lo sviluppo fisico. Inserito in classi speciali, cambiò scuola più volte, distinguendosi comunque per le sue doti nel disegno, ma con varie difficoltà nella grafia. Affetto da nevrosi infantile e dopo aver aggredito la madre adottiva, fu espulso dalla Svizzera e portato a Gualtieri (RE), dove visse nei boschi come un selvaggio, dipingendo e scolpendo in solitudine. L’incontro con Renato Marino Mazzacurati– che ne comprese la genialità- gli permise di iniziare ad usare i colori ad olio, tecnica in seguito perfezionata per le sue opere più importanti realizzate mentre vagava lungo il Po senza meta. Dal 1956 in poi arriva l’apprezzamento dei critici alle sue opere, rese celebri sul Resto del Carlino dall’anno successivo. Internato nel 1945, dal 1948 fu conosciuto e apprezzato dal grande pubblico, finché, colpito da paresi nel 1962, morirà nel 1965. Dunque questa sua vita tormentata appare qui come la premessa di tutta la sua arte. Genio sofferente, lucido amante dell’arte e delle tecniche, vaga per le campagne come “El matt” (come venne definito dopo la morte), si rinchiude nella solitudine del suo dolore, consapevole di essere un genio, ma al contempo preda dei suoi stessi attacchi maniacali e nevrotici, scaturiti probabilmente da un’infanzia di miserie e sofferenze che lo condannò ad una solitudine fisica e misantropa. Del resto la mostra è innovativa proprio perchè evidenzia bene entrambi gli aspetti dell’artista. Di essi, del resto, si era già reso conto il suo maestro Renato Mazzacurati, che appunto ricordandolo affermò:
“Aveva un sincero bisogno di immedesimarsi negli animali prima di tracciare le linee che li ritraevano: la tela era il punto d’incontro dove genialità e pazzia s’incontravano”!
Una mostra tutta da assaporare piano piano nel saggio allestimento presente al secondo piano del Museo Storico della Fanteria.