Castello della Rotta - Luci e ombre

Castello della Rotta – Luci e ombre

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Foto in copertina: Monica Petronzi e Wikipedia

Il Castello de La Rotta (comunemente chiamato Della Rotta), famoso oggi per essere il castello più infestato d’Italia è in realtà una casa forte di grande rilievo storico, vi sono molte energie che girano intorno e all’interno di questo luogo passato alla storia grazie alla famiglia Valperga. Ci siete mai entrati? Io ho avuto la fortuna ed il piacere di poterci fare un giro dentro.

La Rotts

Foto di Monica Petronzi

Il fantasma più grande del castello era il castello

Il Castello de La Rotta è sito come tale, all’incirca dall’ultimo decennio del 1100, in Borgata la Rotta in strada Tetti Sapini. Venne eretto, su resti romani, per difendere la via di comunicazione che passava dal ponte sul torrente Banna, punto importante della via Fulvia con quelli che diventarono i comuni liberi piemontesi e Pollenzo. Se oggi è ancora in piedi è grazie ad Augusto Olivero, l’attuale proprietario, e a chi come Francesco Leon, la nostra guida, ha scelto di non limitarsi a studiare il maniero ma di amarlo sporcandosi le mani per riportarlo alla vita. In connessione con svariate realtà sul territorio chi a oggi si prende cura del castello sta cercando di farlo conoscere attraverso un cammino di luce. Una luce che si fa strada lentamente ma fortunatamente in modo costante e che lo fa fisicamente raggiungendone le mura a partire dagli anni ‘80 dello scorso secolo, quando finalmente il luogo inizia la sua silenziosa rinascita. Francesco stesso ci racconta di come circa 20 anni fa egli stesso era tra quelli che, con le proprie forze, si sono fatti strada tra: rovi, alberi e infestanti che avevano preso possesso del castello. Le condizioni in cui verteva erano davvero terribili poiché in molti si erano presi la briga di vandalizzarne gli infissi per poter dire di essere entrati nel famoso castello infestato.

Mettiamo ordine riguardo alla personalità del castello

Nascendo come fortezza di difesa il Castello de La Rotta appare a prima vista come un luogo austero e minaccioso ma basta iniziare a mettere un piede oltre la porta d’ingresso e tutto cambia. Ad accogliere il visitatore c’è una lapide dalle incisioni gotiche che porta il vessillo dei Valperga risalente 1452 che ricorda come il maniero sia stato edificato su un terreno di battaglia. Si pensa che questa lapide, l’unica così ben conservata in territorio piemontese, sia stata fatta collocare qui da Giovanni Valperga in persona. Così, si scopre che quello che è stato un luogo di difesa e d’abbandono è in realtà un luogo di ricordo e di raccoglimento. Francesco ci racconta di come nella corte interna vi era un cimitero templare e di come un’importante inumazione completa di sarcofago in pietra sia andata persa ed il sarcofago, che la custodiva, riutilizzato come vasca per abbeverare il bestiame.

La pietra ha memoria, la terra ha memoria e le energie che rimangono a custodire i luoghi: anch’esse hanno memoria. Francesco ci racconta una storia personale, il momento in cui quasi vent’anni fa inizia il suo legame con la casa forte. Mentre era intento a liberare le pareti intorno alla cappella del castello dalle piante infestanti, alla luce del sole si aggiunse una seconda luce: un monaco o così pareva a Francesco che però si riservava di rimanere con i piedi per terra pensando che il caldo e il lavoro gli avessero dato un po’ alla testa. Poco dopo il particolare incontro Francesco trova una chiave e ad oggi è il custode del castello. Il fantasma storico del castello è proprio un monaco ed io non credo nelle coincidenze.

Il recupero

I lavori fatti all’interno e all’esterno del castello gli ridonano un po’ dell’antico splendore che raggiunge il suo massimo (per il momento) nella sala grande del primo piano dove si sono conservate meglio anche le zone affrescate. Una serie di scudi araldici ci raccontano anche la presenza della famiglia Malabayla. Ovunque è stato possibile si sono mantenuti soffittatura, parti lignee, vetrate e pavimentazioni originali. Scrivo dove possibile perché purtroppo l’abbandono e la vandalizzazione hanno provocato danni non indifferenti ed al momento sono state ripristinate, dal proprietario, circa 500 vetrate.

Passare dalla spina per arrivare alla rosa

Altro gioiello che aspetta di tornare a splendere è la cappella votiva dove permane inamovibile l’essenziale. Qui di originale troviamo la volta a crociera dai quattro capitelli a spina. 

Le panche e il dipinto di san Giovanni Battista sono stati portati, senza un reale permesso, altrove. Questo da una parte li ha salvati dagli anni di abbandono ma si spera che presto possano tornare al loro posto. Gli originali affreschi murari sono stati mangiati dal degrado mentre la preziosa inumaziona interna è stata trafugata; ma torniamo all’essenziale. Come sopra così sotto, se nella chiesa si lavorava alla luce nei cunicoli già attestati nel corso del 1700, ed oggi invasi dai detriti portati dalle piene del Banna e del Po, si lavorava ai culti misterici degli iniziati. probabilmente l’accesso era da uno dei canali, che si ipotizza partisse dall’accesso dal lato del fiume, per giungere alla rosa: la stanza ottagonale che ricalcava le fattezze del tempio di Salomone e che oggi si spera di poter riportare all’antico splendore.

Il castello ti chiama

Potrei scrivere una vasta quantità di articoli di testimonianze di persone che sono andate per propria volontà e di chi ci vi si è trovato per caso davanti con annesse percezioni o sensazioni. Qui però mi limiterò all’incontro di Francesco che vi ho riportato sopra e alla mia percezione: una grande quantità di energia si muove in prossimità del ponte crollato e del quale Francesco ci dice di aver ritrovato le macerie e una parte dell’alzato. Essendo però andata per incontrare il castello e sulla fiducia di chi ha aperto la porta mi sono limitata ad ascoltare le forze che mi hanno stretto la mano senza intenti diversi dal presentarci reciprocamente. 

In chiusura mi scuso con chi pensava di trovare in superficie abitanti ectoplasmatici alla Ghostbusters e ricordo che le energie che custodiscono questo luogo sono degne dello stesso rispetto che portereste a un Templare o a un Cavalieri di Malta in carne e ossa.


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