Fonte immagine in evidenza: Griglia Isolata (Vittorio Sgarbi, Museo della Follia – Salò)
“La pazzia è solo un’altra forma di normalità che può generare poesia, quella degli spiriti tempestosi, avvolti dal vortice del loro genio creativo che attinge linfa vitale dal delirio”.
Alda Merini
fonte: TripAdvisor
E’ con queste parole che Alda Merini, descrive in un’intervista la sua vita in manicomio. Manicomio, si, perché è così che si chiamano e si chiamavano volgarmente le strutture che si dedicavano alle persone con problemi, molti anni fa. “Ospedali Psichiatrici”, “Centri d’igiene mentale” tanti nomi e parole, che servivano essenzialmente per mascherare le atrocità che venivano consumate tra quelle mura prima dell’attuazione della legge Basaglia, il 13 maggio 1978 disponendone la chiusure restituendo un frammento di dignità e d’identità alle persone che dentro quelle “case di cura” si sono viste portare via infanzia, giovinezza e vecchiaia.
Eppure, di tutto questo orrore, ad oggi, ci restano tantissime zone dismesse e lasciate all’incuria dell’italiano che testimoniano, nella loro imponenza, tutto il dolore che si respira tra quelle mura.
“E, dopo, quando amavamo, ci facevano gli elettrochok perché, dicevano, un pazzo non può amare nessuno.”
Alda Merini
Il Manicomio di Mombello
Fonte: TripAdvisor
Tutto intorno c’è vita: lo ribadisce il parco prima di arrivarci, la luce del sole che con i suoi raggi entra nelle stanze in stato pietoso dando calore a tutta quella tristezza che c’è e si respira. Lo racconta l’edera rampicante che cresce dura e forte e si aggrappa alle pareti, ai muri invadendone gli spazi senza avere paura di trafiggersi con i ciottoli e i vetri ormai rotti dal tempo e da chi ha provato a deflagrarne gli intonaci e le finestre, per poi trovare rifugio, oppure, per vandalizzare (perché la madre degli idioti è sempre incita). C’è chi sostiene che ci sia del macabro e che sia una bruttissima idea volere a tutti i costi invadere uno spazio racchiuso fra le mura pericolanti di quello che fu uno dei manicomi più importanti e terribili di tutta la Brianza. C’è chi, invece, in seguito all’abbandono della struttura, ha trovato riparo dalle piogge, dal freddo, dalla calura, dall’asfalto rovente, usando i vecchi e ammuffiti materassi per attutire la durezza e la cattiveria di una vita vissuta ai margini delle strade e sugli scalini delle chiese.
Fonte: TripAdvisor
Mombello, era conosciuto come “Ospedale Psichiatrico Giuseppe Antonini”, si trova a Limbiate, un paese di circa 3000 abitanti alle porte di Milano. Si dice e si racconta che Napoleone nella storia, soggiorno’ in quella che ai tempi prima di diventare l’orrore che conosciamo sia stata una villa nobiliare. Sui pavimenti devastati dal tempo e dagli animali si possono ancora trovare documenti e cartelle cliniche che raccontano le storie di tutti o quasi i pazienti che sono entrati nell’orrore delle torture solo perché considerati “pazzi” o “malati di mente”.
Le pareti raccontano, storie lontane, nonostante le scritte a volte poco carine dei grafittari e dei vandali. Al suo interno, nei corridoi e nei padiglioni, si suddividono i vari reparti dedicati alle varie patologie ed età. Gli scheletri dei letti , cosi come quelle delle sedie a rotelle, o tricicli per bambini sono sparsi tra i corridoi, e danno al luogo, un’aria veramente terrificante. Il Manicomio al massimo della capienza arrivò ad ospitare circa tremila mila pazienti, fra i quali anche il figlio illegittimo di Mussolini, Benito Albino, morto internato nel 1942.
A separare il manicomio dal resto del mondo e dal paese ci pensava un muro di cinta alto due metri e lungo tre chilometri. Un muro che allora, ma anche adesso era utilizzato dai nonni di Limbiate che minacciavano i nipotini con frasi del tipo: “Se non fai il bravo, ti porto de la del mur”.
fonte foto: Roberto Bettolini
Ogni tanto si racconta che qualche paziente lo scavalcava per scappare, invece oggi, attratti dalla “bellezza macabra” e pregna di storia del luogo, lo scavalcano per poterci entrare.
Il Manicomio di Volterra
fonte: Nicola Bertellotti
Anche la Toscana ebbe il suo “luogo del terrore”: il manicomio di Volterra che fu edificato nel 1887 per volere di Aurelio Caioli presidente della congregazione della carità del luogo, in zona Borgo Zan Lazzero. Nasce come ospizio per i poveri del comune, da li quando l’ospedale di Pisa si trovò in sovraffollamento per smistare i pazienti che in esso si trovavano ricoverati, venne deciso trasferirli nel complesso ospedaliero di Borgo. Il manicomio nonostante nei primi anni sembrava essere un luogo “un po’ più umano degli altri” dove s’insegnava ai pazienti a diventare un po’ più autonomi piano piano divenne luogo di contenimento fisico in cui si praticavano terapie farmacologiche molto invasive, spesso unite a veri e propri maltrattamenti fra i più brutali l’elettroshock. La sua chiusura, nel 1978 ha permesso di far progredire e dare una nuova possibilità all’ assistenza medica , non mirata ad annientare il malato mentale, ma nel coinvolgerlo all’interno della società, sostenuto sia dall’ambiente famigliare che da quello terapeutico e ospedaliero. Come le molte strutture fatiscenti di quegli anni, a Volterra, è possibile ritrovare oggetti, e vari materiali, utilizzati con i pazienti, come deambulatori, protesi, macchinari per le terapie. Anche in questo manicomio, ritroviamo l’Art Brut ovvero i graffitti dei vari writer che decidono di abbellire (in alcuni casi) i muri del manicomio, a differenza di altri che invece preferiscono vandalizzare e basta. Fra questi artisti, c’è stato anche “un detenuto” tale Oreste Fernando Nanetti, che si firmava con N.O. F. 4. Che usava la sua arte come sublimazione terapeutica al disagio e all’orrore di quegli anni.
Villa Azzurra, il manicomio dei bambini.
“Dentro ai padiglioni ci amavamo di nascosto ritagliando un angolo che fosse solo il nostro. Ricordo i pochi istanti in cui ci sentivamo vivi non come le cartelle cliniche stipate negli archivi. Dei miei ricordi sarai l’ultimo a sfumare. Eri come un angelo legato ad un termosifone. Nonostante tutto io ti aspetto ancora E se chiudo gli occhi sento la tua mano che mi sfiora”
Ti regalerò una rosa, Cristicchi.
Il nome di questo ospedale psichiatrico, se così si può chiamare può veramente trarre in inganno. Primo perché ciò di cui stiamo scrivendo e parlando non è affatto una villa, secondo perché qui, non si parla di adulti, ma si parla di bambini. Un vero e proprio lager chiuso definitivamente nel 1979, ma l’imponente Villa Azzurra esiste ancora, ma versa in uno stato di abbandono. Si trova al confine fra Grugliasco e Collegno, in fondo alla via Lombroso a Torino e per tanto tempo è stato un luogo macabro che non somigliava né a una villa e né rimandava alle fiabe o alle favole che i bambini chiedono ai genitori di raccontare prima di addormentarsi. Se i muri di questo manicomio infantile potessero parlare, racconterebbero l’orrore e le terribile vessazioni ed umiliazioni che dovevano subire per essere “educati e domati”. Legati ai letti, imbottiti di medicine e spesso con gli elettrodi applicati ai loro genitali
Fonte: il Giornale
Bambini che venivano internati perché ‘ineducabili’ e ‘pericolosi a sé e agli altri’, con forti diturbi dell’umore e della condotta, avevano anche tra i 3 ai 4 anni e venivano legati ai cancelli del giardino o ai termosifoni bollenti, al letto e fuori al freddo se mostravano segni di un irrequità vivacita, aggressiva o erano “troppo tranquilli”.
E proprio la foto di una bimba di 10 anni, legata al proprio letto, nuda e con gli occhi rassegnati pubblicata dall’Espresso il 26 luglio 1970 aveva fatto scoppiare lo scandalo al manicomio diretto dal professor Giorgio Coda che successivamente fu processato e messo in carcere proprio per tutto questo scempio.
Fonte: fonti storiche
Era infatti Coda a incentivare l’utilizzo degli elettrodi applicati ai genitali quando i bambini facevano la pipì a letto ed era sempre lui a farli lottare tra loro. Ma che colpa avevano questi bambini? Educare, fortunatamente ad oggi è ha subito una valenza, una valenza che tiene conto, dei bisogni affettivi e delle situazioni in cui versano queste creature.
Di queste atrocità ci restano i racconti di Walter, Grazia e Spartaco, che sono stati portati a Villa Azzurra, ognuno con la sua storia, ed insieme ad essa tutto quello che è successo tra quelle mura è stato scritto e raccontato tutto in un libro.
Fonte: Torino Fan
Nel libro si racconta anche di Gerardo, l’ultimo a lasciare il manicomio, negli anni 80, che ad vive in una comunità della collina e parla come un bimbo, così come Spartaco, anche lui vittima del ‘medico elettricista’ che finalmente a 60 anni, dopo anni passati in altri manicomi e comunità riabilitative ha finalmente trovato una famiglia che lo ama grazie allo “Iesa”, progetto di affidi di pazienti psichiatrici presente in tutta Italia.
Villa Azzurra, divenuta un caso mediatico negli anni 70 venne smantellata dopo l’approvazione della 180, la legge Basaglia che nel ’78 abolì i manicomi, ma nessuno potrà mai dalle mente di quei poveri bambini (ad oggi uomini) quei giorni di terrore, orrori, ed umiliazioni che neppure gli animali sono mai stati costretti a subire. E’ stata una delle più grandi vergogne d’Italia. Ha tolto l’opportunità a persone come Spartaco, Gerardo e Walter, la cosa più importante che un uomo e una donna dovrebbe avere: la dignità.
I manicomi furono un vero e proprio un attentato all’umanità stessa. Una storia che non va mai dimenticata. Una storia che ha bisogno e deve essere raccontata.
“La mia patologia è che son rimasto solo. Ora prendete un telescopio, misurate le distanze e guardate tra me e voi, chi è più pericoloso?”
Simone Cristicchi, ti regalerò una rosa.
Qualche info in più
Se volete farvi un giro virtuale in questo luogo, vi lascio questo link dell’urbex Andrea Meloni dove ci sono delle foto altamente suggestive: https://andrea-meloni.com/urbex-piemonte-manicomio-abbandonato.
Mi chiamo Alessia, scrivo per difendermi, per proteggermi e per dare una mia visione del mondo, anche se in realtà io, una visuale su tutto quello che accade, non ce l’ho, e probabilmente non l’ho mai avuta. Ho paura di ritrovarmi e preferisco perdermi.
Culturalmente distante dal pensiero comune. Emotivamente sbagliata. Poeticamente scorretta. Fiore di loto, nel sentiero color glicine. Crisantemo all’occorrenza. Ho più paure che scuse. Mi limito a scrivere e leggere la vita. Mi piace abbracciare Biscotto, anche da lontano. Anche se per il mondo di oggi sembra tutto più difficile.
Scrivo per questo magazine da circa un anno. Ho pubblicato anche un libro ( ma non mi va di dire il titolo perché qualcuno penserebbe “pubblicità occulta”). Ho aperto un mio blog personale: “Il Libroletto” dove recensisco libri per passione.