Le albicocche: l'oro del Vesuvio

Le albicocche: l’oro del Vesuvio

Sode, carnose e profumate, di un arancio acceso arrossato dal sole come da una leggera timidezza, le albicocche del Vesuvio sono uno dei frutti più preziosi della terra campana. Originaria della Cina nord-orientale, l’albicocca vesuviana sembra essere stata importata dagli Antichi Romani. Ce ne parla già Plinio Il Vecchio nel I secolo d.C., le ritroviamo poi in un documento del 1583 ad opera dello scienziato napoletano Gian Battista Della Porta che ne descrive le coltivazioni distinguendo due tipologie di frutti: una più tonda dalla polpa bianca, le Bericocche, l’altra dalla polpa gialla e zuccherina le Chrisomele presto diventato crisommole in dialetto napoletano, termine ancora in uso.

Una coltura riconosciuta

L’albicocca vesuviana ha conquistato l’ambito IGP ed è stata riconosciuta presidio Slow Food nel 2017. Il suo sapore eccezionale e il suo profumo intenso, ma delicato sono da attribuire al terreno vulcanico sabbioso e ricco di potassio e minerali, fonte di nutrimenti particolarmente adatti a questo tipo di coltura. Le piante di albicocco sono coltivate in consociazione con altre piante da frutto o ortaggi, concimate solo con prodotti organici senza uso di diserbanti chimici. La raccolta dura tra i quaranta e i sessanta giorni, dalla prima decade di giugno a fine di luglio, avviene manualmente per rispettare il frutto estremamente delicato. Terminato il raccolto, le albicocche vengono portate subito al mercato per offrirle ai consumatori nel momento migliore della maturazione.

Le varietà

Se l’Italia è il maggior produttore di albicocche dell’intera Comunità Europea questo è dovuto senz’altro anche al Parco Nazionale del Vesuvio, che racchiude 2000 ettari di albicoccheti in cui sono coltivate oltre cento varietà autoctone. I nomi, che suonano spesso divertenti, sono il risultato di una intensa attività di selezione varietale svolta nell’arco di interi secoli. Conosciamo la Pellecchiella famosa per la sua dolcezza e l’intenso profumo, la Vitillo, grossa e tonda, apprezzata per l’aroma più agro ideale per lo sciroppato, ci sono poi la Boccuccia, liscia o spinosa a seconda della ruvidità della buccia, dal particolare sapore agrodolce, la Cafona, la Vicienzo e’ Maria, tutte varietà sopravvissute alla selezione per le loro caratteristiche organolettiche, morfologiche e commerciali. Ogni nuova varietà selezionata prendeva il nome dal contadino che l’aveva ottenuta, dalla località d’origine o da qualche evidente caratteristica della pianta o del frutto stesso. Il termine Albicocca Vesuviana racchiude oggi oltre 40 diversi biotipi tutti originari dello stesso luogo.

Utilizzi

Apprezzate sul mercato per la loro sapidità e dolcezza, le albicocche vengono consumate soprattutto come prodotto fresco. Gli esperti sconsigliano di conservarle in frigorifero, preferendo un ambiente fresco e asciutto. I veri amanti ne strofinano leggermente la buccia con un panno umido, evitando persino il contatto con l’acqua, a condizione di avere certezza della provenienza da coltura biologica. La delicatezza del frutto fa si che buona parte del raccolto venga trasformata in succhi e polpe, una parte ancora inferiore viene utilizzata per realizzare confetture, essiccati e canditi e solo un quantitativo minimo viene trasformato in surgelati e sciroppati. L’utilizzo delle albicocche è ampio e diversificato, grazie al loro sapore leggermente acidulo, non è infatti difficile trovarle in salse di accompagnamento per le carni rosse, anche se la pasticceria rimane il loro regno indiscusso. Dall’armellina, così si chiama il seme all’interno del nocciolo, utilizzata come essenza, all’Apricottatura (di derivazione da “apricot”, albicocca), che consiste nello spennellare una torta con marmellata di albicocca, come nella famosa Sacher, l’albicocca approda anche nel milanese panettone ad opera del Pasticcere Alfonso Pepe, che ne ha proposto una versione farcita con la rinomata Pellecchiella partenopea, la regina delle albicocche vesuviane.

Un frutto tutto da gustare quindi, una bontà a portata di mano, come ci suggerisce Isabel Allende “Quel giorno ebbi coscienza per la prima volta che la vita può essere generosa. […] Nei momenti più duri della mia vita, quando mi sembrava che si chiudessero tutte le porte, il sapore di quelle albicocche mi torna in bocca per consolarmi con l’idea che l’abbondanza è a portata di mano, se la si sa cercare.