La ballata dell’amore cieco e il suo messaggio

Un uomo onesto, un uomo probo
Tralalalalla tralallaleru
S’innamorò perdutamente
D’una che non lo amava niente

 

La genialità di De Andrè, che non ha bisogno di presentazioni, si coniuga in questa canzone con la musicalità non solo delle parole in rima, tipo filastrocca, ma anche con un ritmo swing molto orecchiabile che facilmente si può replicare anche senza essere grandi artisti, che vanno in contrasto con la profondità del tema che il brano tocca. Gli amori sbagliati. 

 

Gli disse: “Portami domani”
Tralalalalla tralallaleru
Gli disse: “Portami domani”
“Il cuore di tua madre per i miei cani”

 

La ballata dell’amore cieco è stata  publicata dalla Karim nel marzo del 1966 e l’argomento di cui tratta è tutt’oggi di grande attualità. Nella nostra storia di tutti i giorni ci troviamo a riflettere sulle relazioni dannose, sugli amori malati, pericolosi che mettono a rischio la salute sia mentale che fisica e finanche, nei casi più gravi, la vita. Tante le donne vittime di questo sortilegio, ma anche gli uomini non sono indenni. De Andrè non lascia fraintendimenti. Va dritto al cuore. Poche rime, poche strofe per definire il veleno di certi legami che costringe a sacrificare la dignità e la libertà di una persona in virtù di un sentimento vissuto senza cognizione.  

 

Lui dalla madre andò e l’uccise
Tralalalalla tralallaleru
Dal petto il cuore le strappò
E dal suo amore ritornò

 

Tutto s’offusca, tutto s’annebbia. Ragione, coerenza e realtà. Ci si perde dentro e fuori. Non si ascolta nessuno, nemmeno i segnali più evidenti fino a diventare dei burattini senz’anima. Non è fantasia, nè fantascienza. Purtroppo è l’estrema povertà dell’essere umano che non ha appigli alla vita e s’aggancia a personaggi estremi, carnefici subdoli e spietati che soffocano la volontà. 

 

 

Non era il cuore, non era il cuore

tralalalalla tralallaleru
Non le bastava quell’orrore
Voleva un’altra prova del suo cieco amore

 

Gli disse: “Amor, se mi vuoi bene”
Tralalalalla tralallaleru
Gli disse: “Amor, se mi vuoi bene”
“Tagliati dai polsi le quattro vene”

Le vene ai polsi lui si tagliò
Tralalalalla tralallaleru
E come il sangue ne sgorgò
Correndo come un pazzo da lei tornò.

Gli disse lei ridendo forte,
Tralalalalla tralallaleru
Gli disse lei ridendo forte,
L’ultima tua prova sarà la morte.

 

Molte delle canzoni che Fabrizio De andrè ha scritto sono reazioni a momenti particolari vissuti in famiglia o fuori. Amori andati a male, amori finiti. Uno qualunque certe cose se le trascina dentro, lui ha questa genialità di riportarle nei suoi pezzi. La canzone dell’amore perduto, (che poi è diventata la ballata dell’amore cieco) l’ha scritta quando i giochi tra noi erano ormai fatti. Le cose andavano male, ma abbiamo continuato a vivere insieme perché ci volevamo ancora bene” dice la sua prima moglie, Enrica Puny Rignon.

 

Una denuncia chiara di un grande artista che esprime anche la sua rabbia, la sua stanchezza, la sua delusione ma contemporaneamente, la sua rivalsa sulla condizione dell’uomo innamorato senza essere corrisposto. L’uomo che ha investito in una relazione tempo e forze senza esserne pago, finisce sì, sconfitto, ma attenzione, non schiacciato.  Perchè, se anche la canzone termina con la morte del fantoccio uomo, lo stesso muore felice per aver fatto tutto in suo possesso per la sua amata, mentre lei rimane viva, vittoriosa e vuota come buco nero. 

 

E mentre il sangue lento usciva
E ormai cambiava il suo colore,
La vanità fredda gioiva,
Un uomo s’era ucciso per il suo amore.

Fuori soffiava dolce il vento
Tralalalalla tralallaleru
Ma lei fu presa da sgomento
Quando lo vide morir contento.

Morir contento e innamorato
Quando a lei niente era restato
Non il suo amore non il suo bene
Ma solo il sangue secco delle sue vene

 

Infinite storie hanno questo finale perchè infinite sono le nostre fragilità. Rendiamo però finite le tragedie con una riflessione che faccia eco. Diamo risonanza tra letteratura, musica e arte di chi denuncia, di chi ci è passato, di chi ha vinto e di chi non ce l’ha fatta, ad atteggiamenti dignitosi nelle relazioni, a posizioni amorevoli verso se stessi prima che verso l’altro, per un maturo connubio di testa e cuore.