Oriana Fallaci: una donna che fece paura persino alla guerra

“Vi sono momenti, nella Vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre. “

La Rabbia e l’ Orgoglio

 

La storia

 

Oriana Fallaci nasce il 26 giugno del 1929 a Firenze da genitori fiorentini, anche se avevano radici ben lontane da quelle della città toscana. La madre infatti aveva la nonna, ovvero la bisnonna di Oriana, natia di Barcellona. Il padre invece era di Cosenza. Insomma un connubio pessimo visto i temperamenti dei due coniugi. Nonostante le divergenze che accomunano ogni coppia, sul fronte politico i due genitori erano fortemente alleati nella guerra all’antifascismo e ferventi partigiani facenti parte della resistenza. Della madre, Tosca Cantini, Oriana prende sicuramente l’audacia e la forza delle donne del tempo assumendosi fin da bambina importanti responsabilità. Un esempio fra tutti fu che, a soli 14 anni, la giovane giornalista si trovava già in prima linea nella Resistenza partigiana: quella prima linea che non avrebbe mai più abbandonato e l’avrebbe condotta all’olimpo del giornalismo italiano e successivamente mondiale. Con la sua bicicletta e il nome di battaglia Emilia accompagnava verso gli alleati, i prigionieri inglesi e americani fuggiti dai campi di concentramento italiani dopo l’8 settembre, e in questi viaggi che «duravano giornate intere: 50 chilometri, anche, ad andare, e 50 a tornare» Oriana era esposta al pericolo degli spari dei fascisti, e aveva già in spalla una grande responsabilità verso coloro che stava portando in salvo. Un atto che fa molto riflettere sulla vita di questa donna, in generale, e che ci fa capire, quanta libertà e voglia di essere diversa avesse già nelle sue corde e nel suo sangue fin dai primi anni della sua gioventù.

 

Da bambina era circondata da libri, perché entrambi i genitori erano fervidi lettori, e questa cosa contribuì nell’innescare nel suo cuore un grande senso della cultura, e della libertà di esprimersi anche attraverso la scrittura.

 

Ne “La rabbia e l’orgoglio” in un passo di una tenerezza e al contempo di una forza assoluta, Oriana Fallaci racconta questo anedotto: “Quand’ero bambina dormivo nella Stanza dei Libri. Nome che i miei amati e squattrinati genitori davano a un salottino stracolmo di libri comprati faticosamente a rate. Sopra lo scaffale del minuscolo divano da me chiamato il mio letto c’era un librone con una dama velata che mi guardava dalla copertina. Una sera lo ghermii. La mamma non voleva. Appena se ne accorse, me lo tolse di mano. “Vergogna! Questa non è roba da bambini!” Ma poi me lo restituì. “Leggi, leggi. Va bene lo stesso.” Così Le Mille e una Notte divennero le fiabe della mia fanciullezza e da allora fanno parte del mio patrimonio libresco».

 

Una bimba, che divenne donna in fretta, ma che amava profondamente la conoscenza del mondo, e non stava già da allora alle regole che la società imponeva.

 

Fonte: sito ufficiale di Oriana Fallacci

 

L’abbiamo conosciuta più o meno tutti la Fallaci, abbiamo visto le sue interviste, e ci siamo da sempre stupiti di quanto fosse una donna concreta e fervidamente attaccata alla libertà in ogni sua forma o espressione.

 

La carriera giornalistica

 

La sua carriere ebbe inizio nel 1954 quando si trasferì nella capitale, e fu assunta da Arrigo Benedetti, allora direttore “Dell’Europeo” per occuparsi di ciò che accadeva a Roma nella rubrica “i fatti romani” del giornale. Da subito il suo modo bizzarro, ma al contempo impegnato di ricercare e scrivere i suoi articoli, fece capire la grandezza umana e la capacità intellettuale di di questa donna, che di lì a poco, riuscì ad avere una sedie d’onore nel mondo delle interviste, riportando servizi con le più alte cariche storiche di quell’epoca. Il grande esempio della Fallaci, deriva anche dal fatto che svolgeva un lavoro prettamente maschile all’epoca, e forse lo facevo meglio dei suoi colleghi uomini.Le sue interviste venivano studiate a lungo a tavolino. Le sue domande erano dirette e mirate, e soprattutto, aveva sempre ben in mente chi aveva di fronte, per poter svolgere il suo lavoro al meglio.

 

Nel periodo romano, ovvero parte dei primi momenti della sua carriera Oriana, armata di registratore, riuscì ad intervistare i grandi miti di quegli anni: Totò, Fellini e Anna Magnai (per citarne solo alcuni), ma la sua consacrazione al giornalismo avenne quando si trovò davanti il leader libico Ghedaffi, incalzandolo con domande veramente mirate e poco propense a lasciarsi intimidire dalla carica investita dallo stesso.

 

 Fonte: sito ufficiale di Oriana Fallaci

 

Un’altra sua infiammata intervista che non scorderemo mai fu quella che Oriana Fallaci fece all’ayatollah Khomeini, leader del regime teocratico iraniano e poco incline a riconoscere diritti e dignità alle donne. Durante il colloquio, il 26 settembre 1979, la Fallaci lo apostrofò deliberatamente come ‘’tiranno’’ e senza timore si tolse il chador che era stata costretta ad indossare per essere ammessa in sua presenza. Fu l’unica donna alla quale venne concesso d’intervistarlo, e lei come suo solito lo incalzò con quesiti scomodi e spinosi fra i quali il perchè Khomeini costringeva le donne “a nascondersi come fagotti sotto un indumento scomodo e assurdo con cui non si può lavorare nè muoversi’’. Di fronte alla risposta misogina di Khomeini, la Fallaci si tolse il velo dalla testa, che apostrofò come “uno stupido cencio da medioevo’’.

 

I libri

 

“Colonnello, c’è gente che è finita o finisce nelle cliniche psichiatriche o al cimitero per via dello scrivere. Alcolizzata, drogata, impazzita, suicida. Scrivere ammala, signor mio, rovina. Uccide più delle bombe.”

Insciallah

 

Oriana Fallaci scriveva, si prendeva cura delle parole e soprattutto, sentiva di dover esporre le sue idee al mondo. E le esponeva in maniera brutale, senza fare sconti, ma con la chiara ricercatezza intellettuale che la contraddistingueva. Non aveva paura, non ne ha mai avuta.

 

In alcuni suoi libri come “Intervista con il potere” Oriana ha raccontato i retroscena delle sue interviste più importanti, riflettendo e portando il lettore stesso ad una riflessione sul “potere” e su dove può portare averne troppo. Ancora oggi questo libro è studiato nelle più grandi facoltà universitarie.

 

Ne “La rabbia e l’orgoglio”, invece, ha raccontato la tragedia delle torri gemelle e fa un’analisi chiara, esponendosi ed esponendo idee scomode a riguardo del terrorismo indotto dall’Islam. Fu proprio l’undici settembre, che tornò con furia alla macchina da scrivere per dar voce a quelle idee, a quei sentimenti e ragioni che ha sempre coltivato nelle interviste, nei reportage, nei romanzi, ma che ha poi “imprigionato dentro il cuore e dentro il cervello” ribadendo a se stessa che “tanto-la-gente-non-vuole-ascoltare”. Il risultato è un articolo pubblicato poi sul “Corriere della Sera” il 29 settembre 2001, un sermone lo definì lei stessa, accolto con enorme clamore in Italia e all’estero. Uscì poi sotto forma di libro nella versione originaria e integrale, preceduto da una prefazione in cui la Fallaci affronta a suo modo le radici della questione del terrorismo islamico e parla di sé, del suo isolamento, delle sue scelte rigorose e spietate. La risposta del pubblico fu esplosiva, le polemiche non tardarono ad arrivare e furono feroci. Mentre i critici si divisero, l’adesione dei lettori, in tutto il mondo, di fronte alla passione che anima queste pagine, fu unanime.

 

Un altro capolavoro della scrittrice è “Lettera ad un bambino mai nato”, uno struggente monologo in cui la Fallaci, riflette sul ruolo della donna in gravidanza, portando all’ostentazione la protagonista che vive in prima persona, sotto la sua penna. Questo libro non è solo commozione, ma anche dramma, quello di una donna che aspettando un bambino, non sa di lui il nome, l’indirizzo, l’età, di cui non si conosce nulla eccetto il fatto che vive sola, indipendente, forte e che deve affrontare il dilemma se dare alla luce il proprio bambino o continuare la sua brillante carriera senza alcun problema dettato da quello che poi è la vita di una donna e di una mamma. Un libro che non ha la visione egoistica del “voglio un figlio e farò il possibile per lui” ma ci impone la riflessione del “e se questo figlio non volesse nascere?”. Insomma, una lettura fitta e ricca di sentimento, che ancora una volta dimostra la grandezza e l’umanità di questa grande donna, scrittrice e giornalista.

 

L’addio

 

Oriana Fallaci morì il 15 settembre 2006 all’età di 77 anni, di un male incurabile. Nonostante si ritenesse cittadina del mondo, passò gli ultimi venti giorni nella sua città natia, dove tra giugno e luglio decise di rivedere i luoghi emblematici della sua infanzia: Palazzo Vecchio, i ponti sull’ Arno, ascoltando il suono delle campane del Campanile di Giotto e passeggiando sotto la Torre Mannelli sul Ponte Vecchio. Qui infatti, da giovane, durante gli anni della seconda  guerra mondiale, svolse con passione il suo ruolo di staffetta del movimento di liberazione, incarico che le aveva affidato il caro papà Edoardo.

 

Una donna che aveva le armi adeguate per sconfiggere ogni guerra: le armi pacifiche del cervello, della passione e del cuore. Nonostante se ne sia andata in fondo è ancora con noi, tra le mura di Firenze, i paesaggi della Toscana, e nel suono di un mondo, che, adesso come allora, avrebbe ancora bisogno di un personaggio così rivoluzionario come lo è stata la Fallaci.