Sylvia Rivera: un’icona delle lotte per i diritti umani

Sylvia Rivera: un’icona delle lotte per i diritti umani

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Il 28 giugno del 1969 un’incursione delle forze di polizia nel noto locale gay Stonewall Inn di New York diede inizio a una epocale rivolta. Fu proprio in quell’occasione che nacque simbolicamente il movimento dell’orgoglio omosessuale americano. La leggenda metropolitana vuole che sia stata una bottiglia lanciata contro un poliziotto da Sylvia Rivera a dare avvio alle lotte che videro nei due giorni successivi, più di duemila persone, perseguitate perché ritenute non ortodosse dal punto di vista sessuale, scontrarsi con centinaia di agenti e di forze speciali antisommossa.

“Dillo in modo chiaro e urlato. Essere gay è giusto, essere gay è motivo di orgoglio”.

Questo uno degli slogan delle memorabili giornate, ricordate in tutto il mondo ogni anno con i “Gay pride”, e delle quali Sylvia Rivera è divenuta icona.

Una vita difficile

“Rey” Sylvia Lee Rivera (1951-2002) è stata una delle maggiori attiviste del movimento di liberazione  LGBT+ (Lesbica,Gay, Bisessuale, Transgender and more).

La sua breve e travagliata esistenza l’ha vista sempre in prima fila nella difficile lotta per i diritti di tutte le  minoranze legate alla sfera sessuale.

Nata in un taxi il 2  luglio 1951 da genitori latino-americani sarà abbandonata, ancora neonata, dal padre e perderà la madre, suicida, all’età di tre anni. Vivrà l’infanzia con la nonna venezuelana che disapprova i suoi modi effeminati e sarà costretta all’età di soli undici anni a vivere per strada e a prostituirsi. Sarà la comunità di Drag Queen con cui entrerà presto in contatto ad attribuirle il nome di Sylvia.

Nel 1970, memore delle sue esperienze, fonda, insieme a Marsha P. Johnson, lo STAR ( Street Transvestite Action Rivolutionaries) un gruppo che si prefigge di aiutare i trans che per la loro condizione si trovino a essere homeless. Progetto che avrà poca vita a causa della mancanza di fondi e di altri problemi.

In molti casi si troverà in disaccordo e addirittura in conflitto con la comunità gay che mal sopporta al suo interno le minoranze di transessuali, travestiti e drag queen.

Discriminazioni e delusioni la porteranno ad allontanarsi dalla sfera politica, a tentare più volte il suicidio e a intraprendere la distruttiva strada dell’alcol e delle droghe.

New York le dedica una strada

Qualche anno prima della sua morte, avvenuta per un tumore al fegato il 19 febbraio del 2002, Sylvia riprende il suo impegno politico all’interno della LGBT+ e riattiva anche le attività della STAR. Decisivo sarà il suo contributo per l’approvazione di due leggi che hanno assicurato un maggior benessere alla comunità trans americana.

Comincia per lei un periodo di riscatto in cui viaggerà in tutto il mondo raccontando la sua storia.  Nel 1999 viene invitata in Italia dal M.I.T (Movimento Identità Trans) e partecipa al World Pride  a Roma.

Nel 2005, durante il Transgender Day of Remembrance la città di New York le ha dedicato una strada nel Greenwich Village. Dopo anni di denigrazioni e lotte la Grande Mela ha finalmente onorato e riconosciuto una delle più rivoluzionarie attiviste delle istanze transgender.

Non solo: ciò testimonia una più aperta coscienza sociale che riconosce i diritti dei diversi; una svolta decisiva nella crescita umana.


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