Si inaugura il 20 febbraio dalle 17.30 nello storico Teatro Acacia la prima delle tre puntate espositive in cui si articola “Fuori scena in tre atti”, ciclo di mostre a cura di Alfredo Maiorino e Magda Di Fraia, che vedrà giovani artisti provenienti dall’Accademia di Belle Arti di Napoli misurare il proprio sguardo e il proprio lavoro all’interno di un ampio progetto di incontro tra teatro e arti visive promosso da Guglielmo Mirra, attuale direttore del Teatro Acacia, e dal figlio Matteo Mirra.
Basato sulla necessità di ripensare gli spazi dell’arte come interdipendenti nella costruzione dell’identità espressiva e culturale della collettività, l’intento progettuale che in “Fuori scena in tre atti” segna il proprio punto di avvio, è quello di verificare la capacità di un reciproco arricchimento tra campi artistici distinti per una trasversale valorizzazione delle specificità di ognuno in una prospettiva di profonda complementarità tra lo spazio in movimento cinematografico e teatrale e il tempo cristallizzato della pittura, tra il tempo dinamico della città e il metatempo della ricerca.
Gli artisti in mostra nel primo atto di “Fuori scena” – Angelo Pellegrino, Stefania Navarro, Carlo Argentino, Selene Cardia, Angelo Renzi – condividono, oltre all’adesione al mezzo pittorico come linguaggio espressivo privilegiato, una resistenza ai preconcetti di astrazione e figurazione, intesi piuttosto come approcci co-agenti nella formulazione dell’immagine.
Gli autori
Angelo Pellegrino [Maddaloni (NA), 1999] presenta una composizione in cui il contrasto tra l’autonomia del pannello singolo e l’impianto complessivo liricamente corale non si risolve nell’unità dell’immagine bensì ne rivendica il carattere essenzialmente approssimativo e frammentario, sospendendo il flusso discontinuo delle forme in una dimensione interrogativa e volgendo l’ansia di risposte nella densità vibratile dei neri e dei bianchi.
Stefania Navarro [Maddaloni (NA), 1999] porta avanti una ricerca polimaterica in cui la mano è indagata non soltanto nella sua valenza fattuale, in quanto luogo impattante tra lo spazio e il corpo, ma anche come intuizione iconografica, forma simbolicamente evocativa che tiene traccia di un processo di genuina scoperta del mondo attraverso un’appropriazione anzitutto tattile della materia che solo in un secondo momento Navarro rielabora in senso visivo.
Le opere di Carlo Argentino [Battipaglia (SA), 1996] si tengono in equilibrio tra l’astrattezza geometrica della forma ed una possibilità ambientale dell’oggetto. Le unità modulari da cui si avvia il fare si scoprono, al termine del processo pittorico che Argentino conduce nella lentezza ragionata della velatura, il contrario di sé stesse, entità ipersensibili alla luce, irrazionali e vive, che non determinano, ma piuttosto abitano e subiscono esse stesse lo spazio ed il tempo.
Selene Cardia [Muravera (CA), 1995] propone un’idea esperienziale della pittura. In una qualche risonanza con suggestioni gestuali di sapore orientale, la pennellata larga ed ampia danza tra la delineazione di profili paesaggistici e il fascino della stratificazione. Nel solco tra interno ed esterno, tra contemplazione e movimento cieco, Cardia situa una pratica lontana da finalità rappresentative e sensibile al perdurare delle cose in uno stato di perenne trasformazione.
Solo apparentemente fuori da un’ottica esistenziale, la ricognizione topografica che Angelo Renzi [Venafro (IS), 1992] pone alla base della propria prassi pittorica, mappando non tanto i luoghi in sé stessi, quanto il proprio stesso vissuto, si risolve infine nella trasfigurazione della schiacciante oggettività dell’immagine cartografica in materia plasticamente corruttibile che Renzi prende a sovrascrivere in un esercizio intimo di autocoscienza.