“Master of puppets”: il disco più importante dei Metallica

Sarà stato il 1998 l’anno in cui ho sentito per la prima volta il disco Master of puppets dei Metallica. Erano passati 12 anni dalla sua uscita. Alla fine degli anni novanta era un disco ancora idolatrato e ancora oggi è ricordato come uno dei dischi metal più importanti di sempre. 

Il 3 marzo del 1986 fu la data in cui la casa discografica Elektra records fece uscire il disco. Veniva sancito un lancio ufficiale del thrash metal, genere che si era formato all’inizio degli anni ‘80 e di cui i Metallica erano considerati il massimo esempio. Si tratta del terzo album della band. I primi erano Kill em all Ride the lightning. Le sonorità del primo disco, grezzo, a tratti hard rock, con lievi sfumature punk, nel secondo va a testimoniare la metamorfosi, con brani araldo come For whom the bell tolls o Fade to black . 

Con Master of puppets i volumi si alzano, le distorsioni coprono tutto il campo sonoro, le melodie si muovono su scale sempre più minori, la violenza della batteria diventa ancora più incalzante e lo standard del nuovo heavy metal si incide nei timpani di milioni di persone. Il disco apre con un arpeggio soave, interrotto da un muro di chitarre distorte: Battery. Lo spavento sonoro è anche armonico, quasi sinfonico, ma poi inizia il ritmo e l’ascolto si accompagna a un leggero senso di nostalgia delle melodie iniziali. La rabbia delle chitarre di Kirk Hammett e della batteria di Lars Ulrich, la voce di James Hetfield, così ancora grezza ma tipicamente anni ‘80, a mio parere ancora autentica, prima che non fosse troppo snaturata dagli studi di canto che intraprese negli anni ‘90. Poi Cliff Burton il bassista che morì proprio durante un tour dell’album in questione, andando verso la Svezia.

Quattro giovani capelloni di Los Angeles, trapiantati a San Francisco, all’apice di una carriera esaltante, maestri di tecnica che pestano forte con gli strumenti. E quando finisce il primo brano ecco che parte Master of puppets, con il suo leggendario incipit un po’ alla Beethoven, kitsch, e poi il riff di chitarra tipicamente Thrash, dove si gioca di distorsioni e armonici di chitarra. Un brano che parla di tossicodipendenza. Del rapporto che il tossico ha con il suo spacciatore, descritto come un burattinaio che usa le vite degli altri ai fini del suo lucro. Brano intervallato da un assolo melodico che divide in due parti la foga e la voce quasi posseduta del mastro burattinaio che grida “I am your source of self destruction”. C’era, nei Metallica dell’epoca, quei quattro bravi ragazzi un po’ alcolizzati e un po’ moralisti, un qualcosa che li rendeva distanti dai modelli del rock and roll precedente. La loro era una rabbia dal sapore popolare, non anticivile. 

Welcome home (Sanitarium) ad esempio è un brano melodico, ispirato al film Qualcuno volò sul nido del cuculo e tratta il tema dell’ospedalizzazione psichiatrica. “Dreams are my reality”… E dopo “The thing that should not be”, brano cupissimo e certamente sottovalutato ma che non intendo rivalutare qui, arriva “Disposable heroes”, quello che a mio parere è il più bel brano dell’album. La vera essenza del metal, con ritmi assimmetrici e momenti di puro pestaggio di batteria, coperto dal velo chitarristico interrotto da una melodia a ritmo spezzato. Poi un brano come “Leper Messiah”, che è una critica ai predicatori americani all’epoca tanto in voga, per arrivare a “Orion” un brano strumentale dove si sentono echi di progressive rock, e dove c’è quello che ritengo l’assolo di basso più importante della storia del Metal. La morte di Cliff Burton segnò un grande lutto nella comunità metal. In fondo i lutti delle star servono anche a questo, triste dirlo, imparare a vivere il lutto. E poi “Damage inc” che vuole concludere l’ascolto del disco senza dare tregua alla rabbia.

I Metallica hanno avuto negli anni ‘80 un lato fortemente aggressivo, standardizzato in uno stile eccessivo, eppure hanno raggiunto le vette in fatto di fama. Sono diventati, grazie a Master of puppets la band metal più importante al mondo. Il loro moralismo si è tramutato poi negli anni ’90 nella battaglia contro Napster. Una rabbia conservatrice quella dei Metallica. Master of puppets segna però una netta innovazione tecnica. E’ quel disco che ad un certo punto i metallari non hanno voluto più sentire nemmeno nominare, perché è diventato troppo un Classico fino a poter essere svalutato. Come dire La canzone del sole per gli amanti di Battisti.

Ma a ben pensarci, parlarne oggi nel 2021, acquista un altro sapore. Anche riascoltare i brani fa uno strano effetto. Perché si sa che la musica, come ogni opera d’arte, cambia forma con il tempo. Il nostro orecchio, ormai abituato ad altri ascolti, interpreta in maniera nuova. Così ecco scoprire che chi riteneva questo disco un Classico, aveva ragione. Non più questo ma quel disco di ormai tanti anni fa.