L’aggettivo “bizzarro”, insieme a tutti i suoi sinonimi, associato all’arte non è certo una novità.
L’arte deve smuovere le coscienze, creare empatia, stimolare il ragionamento e, se un’opera d’arte passa inosservata forse tanto “opera d’arte” non è.
È fatto certo però che tra tutte le opere artistiche elaborate nei secoli ce ne sono state diverse che sono entrate in cima alla classifica delle opere “strane”, vuoi per il loro contenuto o per il loro significato, molto spesso nascosto.
Limitandoci ai quadri, oggi parleremo dei cinque quadri più strani di sempre ma soprattutto perché son giudicati tali!
Gioco lugubre, Salvador Dalì
Stranezze e surrealismo vanno a braccetto quasi al punto di diventare sinonimi. Per questo motivo in questa classifica compare Salvador Dalì con Gioco lugubre del 1929, considerata la prima tela surrealista dell’artista.
Fonte foto: pacoroca.wordpress.com
Quest’opera è un viaggio tribolato e a tratti inquietanti. Il colpo d’occhio ci regala un’insieme di molti elementi ben distribuiti e macchie di colore vivaci. Ma un’osservazione più attenta e uno studio dell’opera permettono di entrare in profondità nella mente e nella psiche di Dalì.
Come recita il manifesto surrealista, l’estetica del movimento ruota attorno:
«All’automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere, con le parole o la scrittura o in altro modo, il reale funzionamento del pensiero. Comando del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale».
Per Salvador Dalì la follia è il metodo di lavoro. In quest’opera racchiude ricordi e fantasie infantili che insieme si mescolano fino ad assumere nuovi significati.
I sentimenti suscitati da questo quadro possono essere molteplici tra cui disturbo, ripugnanza e fastidio. Qui gli elementi si combinano in modo irrazionale nella tipica prospettiva di Dalì, con spazi molto dilatati al punto da deformare le figure.
Ci sono molti riferimenti al desiderio sessuale, alla masturbazione e alla castrazione e non manca una rappresentazione del rapporto tra l’artista e suo padre. Entrambi compaiono in basso a destra, abbracciati.
Il padre, in vestiti intimi sporchi, tiene in mano un fazzoletto intriso del sangue di Dalì che avrebbe castrato. Massimo potere all’inconscio e a tutte le stranezze che è in grado di far nascere.
Dinamismo di un’automobile, Luigi Russolo
Si può dipingere la velocità? Sembra un paradosso l’idea di rappresentare con un mezzo immobile qualcosa che si muove.
Fonte foto: avampostopoesia.com
Chi ci ha provato per primo è stato il movimento Futurista ad inizio 900. I futuristi dipingevano rumori, suoni e la modernità tutta che stava diventando estremamente veloce e difficile da acchiappare.
Luigi Russolo, noto per il Manifesto musicale del futurismo “l’arte dei rumori” del 1913 dipinse un’auto in corsa.
Volle però dare l’idea della velocità, della distorsione spazio-temporale: è così che sulla tela viene riportata un’automobile deformata, schiacciata, quasi spezzata dalla velocità. A sottolineare questa distorsione, sullo sfondo una città, anch’essa deformata, che osserva la vettura sfilarle davanti.
Jazz, Matisse
Prima abbiamo assegnato al surrealismo il primato di arte “strana”. Nella musica si può fregiare di questo premio il jazz, caotico, imprevedibile ed emozionante.
Fonte foto: didatticarte.it
Enrì Matisse nella fase più difficile della sua vita, costretto in sedia a rotelle dopo un’operazione chirurgica, sperimenta la tecnica del papier découpé, un collage attraverso cui gli era possibile comporre figure e ambientazioni.
“Jazz” è un libro illustrato composto da 150 pagine di cui venti tavole tutte molto allegre e giocose. Le forme sono molto semplici ed essenziali, sintetizzate ai minimi termini.
Ci sono clown, cavalli, cow boy, una nuotatrice e un lanciatore di coltelli. Questo contrasto fra la tragica condizione fisica dell’artista e la giocosa espressione artistica per molti critici è dovuta a un ritorno all’infanzia di Matisse come luogo sicuro in cui ripararsi.
Salvador Mundi, Leonardo da Vinci
Dove c’è Leonardo da Vinci c’è – molto spesso – mistero. Come nel caso di Salvador Mundi, l’opera del maestro che fa parlare di sé da secoli. Innanzitutto ci si chiede: è veramente opera di Leonardo?
Fonte foto: insider.com
Non si hanno notizie certe in merito. Non c’è firma né altro che possa attestare indiscutibilmente la paternità dell’opera. Nei secoli son stati ritrovati una coppia di disegni a sanguigna che paiono essere degli studi del Salvador Mundi, ma non vi è certezza.
Del quadro se ne parla inizialmente a metà del XVII secolo. In questo periodo Wenzel Hollar, un incisore, realizza un’acquaforte molto somigliante all’opera. Tra copie e quella che si pensa essere l’originale, circolano molti Salvador Mundi in Europa.
L’autentico sembra essere appartenuto fino al 1782 a Carlo I d’Inghilterra, probabilmente ricevuto come dono di nozze da Luigi XIV.
Un altro mistero riguarda tutte le modifiche che nei secoli ha subito l’opera, che sembrano essere molte. La più evidente è l’aggiunta di baffetti al soggetto, nel XVII secolo.
Mentre si dibatte ancora sull’autenticità dell’opere e su tutti i suoi misteri, nel 2017 è stato battuto all’asta per 400 milioni di dollari. Quando si dice “nel dubbio, io me lo prendo”!
L’isola dei morti, Arnold Böcklin
“Un’immagine onirica: essa deve produrre un tale silenzio che il bussare alla porta dovrebbe fare paura”.
(Arnold Böcklin)
Fonte foto: Wikipedia
Così Böcklin parla del suo ciclo di opere “L’isola dei morti”, cinque tele realizzate tra il 1880 e il 1886. Un portale verso il monto dei sogni, un mondo nuovo e conosciuto da tutti in modi diversi.
Böcklin realizzo quest’opera su commissione. La nobildonna che si rivolse all’artista necessitava fortemente di ritrovare uno stato di pace, sensazione affine a quella di Böcklin che aveva perso sei dei suoi dodici figli.
L’isola dei morti conquistò molte figure conosciute, quali Freud, D’Annunzio, Hitler. Alcune fonti attestano che si tratti del quadro preferito di quest’ultimo, probabilmente per il forte legame con il tema della morte, caro all’ideologia nazista.
In tutte le sue versione l’opera rappresenta un’isola composta da alte rocce affacciata su un mare immobile e scuro, quasi tetro. Su una piccola imbarcazione a remi viaggia una figura bianca e insieme a lui una bara ornata da festoni.
Al centro dell’isola svettano una serie di cipressi che ben ricordano il cimitero. All’ombra di questi, sembrano esserci lapidi e lastre sepolcrali.
Silenzio, desolazione e mistero: un senso di sospensione accompagna la vista di chi osserva. L’immobilità della morte, la sua tenebrosità e irreversibilità.
Bergamasca, ma nomade per il nord d’Italia, classe 1989 e di professione navigo nel mondo del marketing e della comunicazione.
Mi contraddistinguo per la testa dura e la curiosità che mi portano ad interessarmi sempre a ciò che succede nel mondo. Amo l’arte in maniera viscerale, leggo sempre troppo poco per quanto vorrei, cucinare e camminare. Hermes mi da la possibilità di raccontarvi con le mie parole questi mondi e di portarvi a spasso con me.