Fonte foto: 10cose.it
Roscigno Vecchia, pittoresco borgo immerso nel Parco Nazionale del Cilento e diventato patrimonio Unesco nel 1996, è un paese fantasma che sembra uscito da una favola, a iniziare dal suo nome, derivato dal dialetto “russignuolo“, vale a dire “usignolo”.
Ma Roscigno Vecchia ha anche una serie di altre caratteristiche che potrebbero tranquillamente apparentarla ad un racconto di fiabe:
- Il soprannome con cui è conosciuta nelle terre vicine, il “paese che cammina”, dovuto alle successive ricostruzioni, sempre più verso la zona bassa del villaggio, che i suoi abitanti sono stati costretti a fare nel corso dei secoli a causa del terreno instabile su cui era stata, intorno all’anno 1000, edificata;
- L’intervento di un Genio, in questo caso quello Civile, che intorno al 1902 ha emesso due ordinanze obbligando la popolazione a spostarsi ulteriormente fino a raggiungere l’ubicazione dell’attuale parte nuova di Roscigno poiché la natura argillosa del terreno li poneva a forte rischio di frane;
- La tenacia dei protagonisti, gli abitanti del borgo, che, nonostante le peripezie, resistono caparbiamente nel vecchio centro storico del paese, decidendosi ad abbandonarlo solo nella metà degli anni ’60, quando ormai il pericolo di crolli creati dagli smottamenti del terreno era diventato tangibile;
- L’atmosfera magica, in cui sembra che le lancette dell’orologio si siano fermate, complici anche i rovi e la vegetazione che, riconquistando parte delle case più malandate e alcune delle stradine, conferiscono al paese quell’aria sospesa nel tempo alla Bella Addormentata nel bosco;
- Last but not least, un narratore speciale dalle indiscusse abilità affabulatorie, l’eccentrico e folcloristico unico abitante del borgo, Giuseppe Spagnuolo, che dal 2000 ha eletto Roscigno Vecchia a sua fissa dimora, autoproclamandosene guardiano e cicerone. Folta barba bianca, pipa con foglie di carciofo ed erbe essiccate in bocca, cappello sgualcito in testa ed immancabile cravatta, accoglie turisti e curiosi, guidandoli con voce suadente tra le case in pietra e le strade in terra battuta della città fantasma, seguito a ruota dalla colonia di gatti che gli contende la residenza esclusiva del villaggio e lo rende simile ad un novello pifferaio di Hamelin.
Ad aumentare il fascino di questa ghost town del Cilento, mai ce ne fosse ancora bisogno, l’accostamento a Pompei fatto da Onorato Volzone, giornalista de Il Mattino, che col suo articolo nel’82 la definì “la Pompei del Novecento”, avviandone riscoperta e valorizzazione. Per lui anche i roscignoli, come gli antichi pompeiani, sono dovuti fuggire per non soccombere alle forze della natura – in modo meno affrettato e drammatico, nel secondo caso, ma lasciandosi comunque alle spalle un mondo rimasto in qualche modo sospeso nel tempo, come i tratti urbanistici e architettonici tipici di un centro agricolo-pastorale del sette-ottocento testimoniano.
Cosa vedere
Ma quali sono le attrattive di Roscigno Vecchia, cosa si può concretamente visitare una volta che si è stati attirati lì dalla sua storia?
Come direbbe Spagnuolo, Roscigno è un vero monumento a cielo aperto, un Paese-Museo dove in ogni angolo sembra di ritrovarsi indietro nel tempo, dal corridoio di case puntellate che sfocia sulla piazza centrale con tigli e platani secolari, una grande fontana in pietra e l’abbeveratoio, alla chiesa settecentesca dedicata a San Nicola di Bari, incendiatasi più di duecento anni fa e da allora sconsacrata.
Il paese è suddiviso in agglomerati di case raggruppate secondo i mestieri degli antichi proprietari, ancora individuabili grazie alle insegne scolorite, ai portali in pietra e alle differenti cornici decorative.
Nelle sei sale dell’ex-municipio e dell’ex-canonica è presente anche il Museo della Civiltà Contadina, primo del suo genere in Campania e uno dei più interessanti del Sud Italia. Racchiude foto, utensili e testimonianze varie e in ogni sala viene illustrato un ciclo lavorativo: del grano e del pane, dell’olivo e dell’olio, dell’uva e del vino, dell’allevamento e dell’attività casearia, della lavorazione dei campi e della lana.
Passeggiando per le vie di Roscigno Vecchia si possono a volte intravedere anche gli interni di alcune abitazioni o di alcune botteghe del paese con ancora sui tavoli gli antichi attrezzi di lavoro. O ascoltare il canto di quegli usignoli che le hanno dato il nome più di un millennio fa.
Non stupisce quindi che il borgo sia stato usato come set di diversi film e videoclip, tra cui i più noti “Cavalli si nasce” di Sergio Staino, “Radio West” di Alessandro Valori e “Noi credevamo” di Mario Martone. E che anche National Geographic gli abbia dedicato un servizio, che ha contribuito a diffondere in tutto il mondo l’interesse per questo piccolo gioiellino del sud dell’Italia e per il suo singolare custode. Al punto che il solitario guardiano del paese sospeso nel tempo riceve lettere da ogni dove da gente rimasta affascinata dall’atmosfera di fiaba che Roscigno Vecchia emana.
Per vivere la favola non resta che, quando sarà possibile, andare a visitarla.
Scrivo da sempre. Da quando ancora non sapevo farlo, e scrivevo segni magici sulle tende di mia nonna, che non sembrava particolarmente apprezzare. Da quando mio nonno mi faceva sedere con lui sul lettone, per insegnarmi a decifrare quei segni magici, e intanto recitava le parole scritte da altri, e a me sembravano suoni incantati, misteriosi custodi di segreti affascinanti e impenetrabili, che forse, un giorno lontano, sarei riuscita a comprendere e che, per il momento, mi limitavo ad assaporare sognante. Sogno ancora, tantissimo, e nel frattempo scrivo. Più che posso, ogni volta che posso, su ogni cosa mi appassioni, mi incuriosisca o, più semplicemente, mi venga incontro, magari suggerita da altri.
Scrivo per Hermes Magazine e per altri siti, su vari argomenti, genericamente raggruppabili sotto il termine di “cultura“. Scrivo anche racconti, favole, un blog che piano piano prende forma, un libro che l’ha presa da un po’ e mi è servito a continuare a ridere anche quando tutti intorno a me sembravano impazzire (lo trovate ancora su Amazon, mai fosse vogliate darmi una mano a non smettere di sognare).
Scrivo perché vorrei vivere facendolo ma scriverò sempre perché non riesco a vivere senza farlo.
Scrivo perché, come da bambina, sono affascinata dal potere di questi segni magici che si trasformano in immagini, in pensieri, in storie. E, come da bambina, sogno di possedere quella magia che permette loro di prendere vita dentro la testa e nell’immaginazione di chi li legge.