Il pomodoro Ogm in aiuto dei malati di Parkinson?
L’interrogativo potrebbe aprire scenari davvero interessanti sull’onda dei tentativi di ricerca che stanno effettuando alcuni laboratori in tutto il mondo, in particolare il gruppo di studio al lavoro all’interno del John Innes Center nel Regno Unito. I ricercatori del centro hanno “messo a punto” un pomodoro geneticamente modificato arricchito con L-dopa, farmaco utilizzato nel trattamento del Morbo di Parkinson.
Da qui i primi risultati oggetto di un articolo pubblicato sulla rivista MetabolicEngineering. In buona sostanza gli studiosi hanno di fatto aperto la strada ad una nuova, possibile fonte per quel che riguarda uno dei farmaci più diffusi. In dettaglio, si è arrivati a creare un pomodoro in grado d’esprimere un gene responsabile della sintesi di L-dopa.
Il pomodoro in quanto tale costituisce un serbatoio naturale di L-dopa, sostanza prodotta dalla tirosina, amminoacido presente in molti alimenti. E grazie al lavoro svolto nel Regno Unito è stato possibile inserire nel pomodoro un gene che codifica per una tironasi, enzima che impiega proprio la tirosina, così da dare il là a molecole come L-dopa.
Due i benefici diretti e immediati derivanti dalla “scoperta”: il primo sta nella possibilità di rivoluzionare in modo radicale il mercato del farmaco, laddove l’accesso risulti piuttosto limitato; il secondo conseguente alle stesse piante di pomodoro quali fonti spontanee di L-dopa nei confronti delle persone che presentano effetti collaterali successivi alla somministrazione della sostanza sintetizzata chimicamente.
Vi è poi un ulteriore aspetto, altrettanto importante in termini economici: i pomodori Ogm con L-dopa possono essere coltivati senza dover ricorrere ad impianti complicati e quindi con infrastrutture più contenute ed investimenti calmierati.
Ultimo elemento da considerare è l’essenzialità del farmaco L-dopa: essenzialità sottolineata pure dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in virtù del suo valore espresso in centinaia di miliardi di dollari. Non è la prima volta che la natura viene in soccorso di medici, scienziati e industria farmaceutica. Nel 2019, ad esempio, nell’intestino degli squali (foto sopra) è stata rintracciata una molecola dagli effetti straordinari su una delle proteine coinvolte nell’Alzheimer (altra grave malattia neurodegenerativa): la trodusquemina, in sigla MSI-1436.
Le sue potenzialità nel trattare l’Alzheimer sono ben descritte nel dossier redatto dal Dipartimento di Chimica dell’Università di Cambridge e al quale hanno contributo, tramite le conoscenze raccolte, anche ricercatori del nostro Paese.