Il ruolo delle donne nella Resistenza è stato raccontato spesso evidenziando i compiti più legati all’immaginario femminile: assistenza, cura e al massimo staffette. Senza nulla togliere a queste mansioni, le donne fecero molto di più: si armarono e combatterono al fianco dei loro compagni.
Per non dimenticare
A 80 anni da quell’8 settembre 1943 che sancì ufficialmente la nascita di quel grande movimento di popolo che fu la Resistenza è lecito chiedersi se ha ancora senso ricordare e approfondire quel passato?
Ritengo di si, perché la memoria è uno dei legami più solidi tra gli esseri umani. È importante ricordare ed è importante far vivere oggi quei valori di libertà e di giustizia sociale che la Resistenza porta nel suo DNA.
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Volontarie a pieno titolo
Le donne furono le uniche volontarie a pieno titolo nella Resistenza, in quanto non sottoposte ai bandi di reclutamento, e in generale non obbligate alla fuga. Determinanti per il successo della lotta di liberazione, sempre attive nel lavoro di informazione, approvvigionamento e collegamento, nella stampa e propaganda, nel trasporto di armi e munizioni, nell’organizzazione sanitaria e ospedaliera, così come nello scontro armato.
Identikit delle partigiane
Armate o disarmate, d’ogni fascia sociale e professione, giovani e meno giovani, meridionali e settentrionali. Antifasciste per scelta personale, o tradizione familiare, le donne parteciparono attivamente alla Resistenza, ponendosi come elemento imprescindibile della lotta stessa nelle sue varie declinazioni.
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La forza delle donne
Alcune loro azioni di massa portarono a risultati importanti: si pensi alle donne che, nella Napoli occupata del settembre 1943, impedirono i rastrellamenti, facendo letteralmente svuotare i camion tedeschi già pieni, e innescando così la miccia dell’insurrezione cittadina.
E ancora, alle cittadine di Carrara che, nel luglio 1944, disubbidirono agli ordini di sfollamento totale impedendo ai tedeschi di garantirsi una comoda via di ritirata verso le retrovie della linea Gotica.
Ancora, furono militanti attive dei Gruppi di difesa, creati dalle donne e per le donne quale vera e propria struttura politica che rivendicava la titolarità delle azioni femminili nella Resistenza.
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Nell’ombra
Nonostante questo le donne rimasero troppo spesso nell’ombra quasi a significare che quello fosse il loro posto, nella memoria storica come nella mentalità dei tempi. Lottarono, dunque, contro il fascismo ma anche a favore dell’emancipazione delle donne dal pregiudizio morale e dalla discriminazione sociale imposta dalla cultura maschile.
Anche tra i partigiani, infatti, c’era chi avrebbe voluto escluderle dalla partecipazione alla lotta di liberazione per un malinteso senso di protezione. C’era poi chi le criticava per la scelta di abbandonare il focolare domestico per impegnarsi nella guerra partigiana, che implicava convivenza, promiscuità, assenza di controllo parentale.
Il cammino da loro tracciato è ancora aperto in quanto la storia ci insegna quanto siano precarie le conquiste sociali, e faticose le trasformazioni culturali.
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Oneri tanti ma pochi onori
È per tutte queste ragioni che, alla Liberazione, le donne furono escluse da molte delle sfilate partigiane nelle città liberate.
Alle donne, in sintesi, si dimostrava gratitudine, ma non riconoscimento politico o militare.
Questa sottovalutazione si evidenziò soprattutto dopo la conclusione della guerra: pochissime sono state le donne alle quali venne riconosciuta la qualifica di partigiana combattente, nonostante un impegno, nei fatti, molto significativo. Tante donne non chiesero il riconoscimento; a tante, materialmente, esso fu ingiustamente negato.
Furono solo 19 le donne italiane decorate con la Medaglia d’oro al valore militare, tra cui 15 alla memoria: Irma Bandiera, Ines Bedeschi, Livia Bianchi, Gabriella degli Esposti in Reverberi, Cecilia Deganutti, Anna Maria Enriquez Agnoletti, Tina Lorenzoni, Ancilla Marighetto, Clorinda Menguzzato, Irma Marchiani, Norma Pratelli Parenti, Rita Rosani, Modesta Rossi Palletti, Virginia Tonelli, Iris Versari.
A loro, e a tutte quelle i cui nomi non vengono mai ricordati, dedichiamo i versi di Giuseppe Colzani.
Avevo due paure
La prima era quella di uccidere
La seconda era quella di morire
Avevo diciassette anni
Poi venne la notte del silenzio
In quel buio si scambiarono le vite
Incollati alle barricate alcuni di noi
morivano d’attesa
Incollati alle barricate alcuni di noi
vivevano d’attesa
Poi spuntò l’alba
Ed era il 25 Aprile
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Monica Giovanna Binotto è un nome lungo e ingombrante ma è il mio da 57 anni e ormai mi ci sono affezionata. Ho sempre amato leggere. Fin da bambina. E anche scrivere, ma senza mai crederci veramente. Questo mi ha aiutato negli studi. Ho una laurea in Economia e Commercio e una in Psicologia dello Sviluppo. Da cinque anni faccio parte di un gruppo di lettrici a voce alta, le VerbaManent, con il quale facciamo reading su tematiche importanti sempre inquadrate da un’ottica femminile e mi occupo di fare ricerche e di scrivere e assemblare i copioni. Negli ultimi due anni, per colpa o merito di questa brutta pandemia che ci ha costretti in casa per lunghi periodi, ho partecipato a diverse gare di racconti su varie pagine Facebook e mi sto divertendo tantissimo anche perché ho conosciuto tante belle persone che condividono i miei stessi interessi.