“Liberai mille schiavi, avrei potuto liberarne molti di più se avessero saputo di essere schiavi.“
Diceva così Harriet Tubman, nata come Araminta Ross e conosciuta soprattutto come Mosè degli afroamericani, parlando del suo operato. O meglio, di una parte della sua vita.
Nata da qualche parte nel Maryland, probabilmente tra il 1823 e il 1825, capì fin da subito che chi, come lei, veniva considerato una semplice proprietà aveva ben poche speranze di poter cambiare la propria condizione e di condurre una vita normale.
Tra lavoro duro e violenza
Harriet Tubman cominciò a lavorare sin da bambina: a soli cinque anni era impegnata nelle piantagioni dei coniugi Brodess. Fu poi acquistata dapprima da una certa Susan come tata per il figlio e poi da un tale James Cook come impiego in altre piantagioni, per poi essere “restituita” ai Brodess poiché si ammalò di morbillo.
Comunque, conobbe molto presto la violenza perpetrata dai suoi padroni: durante la sua esperienza da tata, ad esempio, Harriet veniva frustata ogni volta che il bambino piangeva. Di conseguenza, ella cercava i modi più disparati per resistere indossando più strati di vestiti o più semplicemente provando a difendersi.
Un episodio “cardine” che segnò lo spartiacque tra l’essere “una semplice proprietà” e “una schiava ribelle” avvenne quando Harriet si trovava sulla strada per un negozio di tessuti. La ragazza, infatti, si frappose tra uno schiavo in fuga e il proprio padrone che, nel tentativo di fermarlo, gli lanciò un grosso pezzo di metallo. Oggetto che, però, andò a colpire lei.
La fuga e l’inizio del suo attivismo
Dopo l’episodio adolescenziale, Harriet continuò a lavorare nei campi ancora per un po’, e nel 1844 sposò un uomo libero, tale John Tubman. Tuttavia, nel 1849 si convinse finalmente a tentare la fuga, e per metterla in atto si servì di una rete di persone conosciuta come ferrovia sotterranea (o Underground Railroad), che aveva il compito di liberare i neri dalla schiavitù.
Ed è in questo momento che comincia la vita da ribelle e come Mosè degli afroamericani: infatti, una volta libera, la donna tornò indietro dapprima per liberare alcuni membri della sua famiglia, e poi per far fuggire quanti più schiavi possibili. Fece avanti e indietro per molti anni liberando più di 300 persone, servendosi di canzoni codificate (tra queste Go down Moses) poiché la maggior parte della popolazione nera era analfabeta.
«Quando ho capito di aver oltrepassato quella linea (il confine), mi sono guardata le mani per vedere se ero ancora me stessa. C’era un’aria di gloria; il sole albeggiava tra gli alberi e sui campi, e mi sentivo quasi in Paradiso.» affermava ricordando la sua fuga, e parlando della sua attività di liberatrice, asseriva: «Ho condotto in salvo schiavi per la Underground Railroad per 8 anni, e posso dire, al contrario di molti, che il treno che conducevo non ha mai deviato dalla sua strada e non ho mai perso un passeggero.»
La Guerra di Secessione e l’attivismo per il suffragio femminile
Lo scoppio della Guerra di Secessione fermò la Tubman per quanto riguarda la liberazione di altri fuggitivi, ma non il suo attivismo. Infatti, ella si arruolò nell’esercito unionista prima come infermiera, e poi come esploratrice e spia.
Nel 1863 Harriet fu la prima donna a guidare una spedizione armata composta da 150 soldati afroamericani. L’attacco, avvenuto sul fiume Combahee, nel South Carolina, contribuì a liberare ben 750 schiavi. I giornali ne lodarono soprattutto il patriottismo, l’astuzia e la bravura della donna. Dopo questa sua impresa, continuò a lavorare come infermiera e come esploratrice per altri due anni.
Una volta terminata la guerra, Harriet si unì al nascente movimento per il suffragio femminile e, dunque, per i diritti delle donne e delle persone anziane, lavorando al fianco di personaggi come Susan B. Anthony ed Emily Howland.
Circa la sua vita privata, si risposò nel 1869 con un tale Nelson Charles Davis (che morirà di tubercolosi nel 1888) ed entrambi adottarono una bambina cinque anni più tardi. Harriet morì nel 1913 dopo una malattia durata due anni.
Harriet (la prima a sinistra) e la sua famiglia. Fonte foto: New York Times
A New York, nel 2008, è stata dedicata a lei una statua in bronzo e granito, la quale fa parte di un memoriale più ampio che comprende un’isola spartitraffico oggi conosciuto come Harriet Tubman Triangle.
Non solo: nel 2019 le è stato dedicato un film biografico intitolato Harriet e qualche anno prima, nel 2015, era stato proposto di raffigurarla sulla banconota da 20 dollari, evento che, se non fosse stato rinviato negli anni, avrebbe fatto di lei la prima donna ad apparire sul dollaro statunitense.
Classe 1996. Sono appassionata di molte cose, tra cui la fotografia.
Nasco in un borgo del Centro Italia e quando ne ho la possibilità faccio dei piccoli viaggi (o gite fuori porta, come preferite) nei luoghi più disparati della mia terra, ossia proprio l’Italia Centrale.
Quella di Hermesmagazine è la mia prima esperienza in assoluto da pubblicista; dietro le quinte ho curato, insieme ad altre persone, i testi di alcuni articoli per il sito leviedelcinema.it (Rassegna del film restaurato che si tiene non molto lontano da casa mia). Nel tempo libero gestisco una piattaforma personale in cui ho catalogato i miei scatti in giro per il Centro Italia (e non solo) e in cui scrivo qualcosa riguardo i miei spostamenti.