Cinquant’anni fa moriva Jim Morrison. La sua morte capitò proprio nel 1971, quando aveva 27 anni, dunque tutta la vita davanti, come si suol dire. Il 19 aprile dello stesso anno usciva l’ultimo album dei Doors: L.A. Woman. L’ultimo perché i Doors continuarono la loro carriera ma senza riscontrare, ovviamente, il medesimo successo. Perché Jim Morrison era lo spettacolo. I musicisti, per quanto fossero geniali, come il mitico Ray Manzarek e il suo organetto Vox Continental che incorporava anche un basso, hanno fatto entrare in quello che oggi chiameremmo il Mainstream, un certo tipo di musica poco conosciuta chiamata acid rock. Jim Morrison era il poeta che impersonava questa tragedia contemporanea.
Jim in quell’anno aveva una folta barba, dimostrava molti più anni di quelli effettivi. Era diventato un “vecchio” bluesman, alcolizzato. Forse l’immagine che lui si era fatto del poeta maledetto in salsa americana, si era incarnata. Quando diceva break on through to the otherside inneggiando al superamento di ogni limite, forse faceva sul serio, anzi direi certamente. Eppure L.A. Woman è un disco diverso dagli altri. Meno lisergico, più “maschio”, a tratti funky, pieno di influenze blues. Un disco che trasmette una certa stanchezza vagabonda. Ascoltandolo mi evoca strade desertiche del Nord America. Infatti pare che fosse una sorta di concept, la narrazione di un viaggio americano.
Il disco si apre con Changeline che è un brano innovativo proprio per le sue sonorità funky. Ma il disco, per quanto il sound fosse diverso dai precedenti perché si mette da parte l’organetto, è molto vario. Il famoso brano Love her madly racconta di una storia d’amore passata di Jim Morrison, ma che fa riflettere anche su un consiglio detto da un vecchio ubriacone saggio che invita a non spendere troppo i propri sentimenti. E poi arriva il blues di Been down so Long, e la voce di Jim si abbassa. Già in love her madly si sente un abbasamento vocale, ma che impersona proprio l’orgoglio grasso di Jim, mentre nel caso di Been down so Long c’è una voce blues più fisiologica, autentica. E il blues arriva nei bassifondi con Cars hiss by my window. Il blues diventa ormai solo un mezzo per lasciare esprimere il poeta. Perché mai come allora Jim Morrison era centrale. Il suo mito. Seppure in piena decadenza, ma forse proprio per questo diventato quasi “divino”.
Poi c’è L.A. Woman che racconta un viaggio in macchina a Los Angeles. Si sente proprio la macchina che corre, viene da immaginare alla guida Jim Morrison con dietro Rey Manzarek, Robby Kreager e John Densmore. Avviene una domenica pomeriggio. Jim Morrison in questo brano è impossessato di una sorta di spirito, Mr Mojo Rising. Sembra che Los Angeles sia l’impersonificazione di una donna e viceversa. Lui si rivolge a un essere femminile davanti a cui mostra di essere al di sopra del desiderio che lo lega a loro: la sua terra e la donna. Come nell’abbandono di sé e della sua trappola egotica.
E lo scenario continua ad essere L’America. Che cosa buffa che il titolo abbiano scelto di scriverlo in italiano per ironizzare sulla voce narrante di un immigrato. È un brano di quelli in cui l’organetto ritorna in scena. Una melodia cupa, teatrale, molto da grand guignol con un ritmo di marcia alienante. Uno di quei brani che secondo me potrebbero aver influenzato Ian Curtis dei Joy Division, che è risaputo era investito del mito di Jim Morrison. Hyacint House è una splendida ballata. A tratti si sente un’influenza folk. Il blues diventa ancora più sfacciato con Crawling King Snake e The Wasp brano in spoken word.
E poi arriva il momento di Riders on the Storm che chiude il disco. L’inizio di piano con i suoni del temporale (un po’ pacchiani). In questo brano sembra emergere quell’immaginario americano un po’ cinematografico. I cavalieri immagino siano proprio loro quattro. O forse tutti coloro che riescono a identificarsi in queste anime belle perse nella corruzione. Alla ricerca della bellezza, di un’eternità che si raggiunge a volte, come è capitato a Mr. Mojo Rising, di raggiungere morendo in una vasca a Parigi.
Luca Atzori, laureato in filosofia, ex direttore artistico del Teatro Piccolo Piccolo, Garabato e membro fondatore del Mad Pride di Torino. Drammaturgo, attore, poeta, cantautore. Autore dei libr: Un uomo dagli occhi rotti (Rizomi 2015) Gli Aberranti (Anankelab 2019), Teorema della stupidità (Esemble 2019) Vangelo degli infami (Eretica 2020) e dei dischi Chi si addormenta da solo lenzuola da solo (2017), Mama Roque de Barriera (2019) Insekten (2020) Iperrealismo magico (2020) Almagesto (2021).