Folgorazioni

Folgorazioni figurative: l’arte in Pasolini

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Folgorazioni figurative è una mostra visitabile dal 1° marzo al 16 ottobre 2022 a Bologna, presso il Sottopasso di Piazza Re Enzo. Rientra in uno degli eventi organizzati dal Comune in occasione del centenario dalla nascita di Pier Paolo Pasolini, che è stata celebrata il 5 marzo.

La mostra è curata da Marco Antonio Bazzocchi, Roberto Chiesi e Gian Luca Farinelli ed inaugura i nuovi spazi espositivi del sottopasso tra Piazza Maggiore e Via Rizzoli. L’evento è promosso dalla Cineteca di Bologna con il patrocinio di Alma Mater Studiorum Università di Bologna.

Folgorazioni

Fonte foto: ilfattoquotidiano.it

Vediamone i contenuti, in una carrellata di emozioni, immagini, suoni e riflessioni.

Infanzia

Le prime due sale espositive descrivono le tappe fondamentali del periodo bolognese dell’artista. Si tratta di foto e documenti originali come pagelle e tesi di laurea. Le foto lo ritraggono coi compagni di classe, quasi irriconoscibile tra il gruppo dei coetanei. Qui viene subito introdotto l’incontro che ha cambiato le sorti della sua vita: quello con Roberto Longhi, professore di Storia dell’Arte che fu per Pasolini la vera rivelazione e i cui insegnamenti segnarono tutto il percorso artistico. Il maestro lo fece appassionare alla pittura e ad autori che lo ispirarono per tante scene dei suoi film.

Periodo pittura

Una piccola sala espone quadri e disegni fatti da Pier Paolo Pasolini intorno alla fine degli anni ’40, quando viveva in Friuli (terra natale della madre) che diede a Pasolini gioie e dolori. Qui si nota un eclettismo e una sintesi tra lo stile cubista e l’uso di colori forti. Sono presenti proiezioni di diversi autoritratti dove si ritrova un elemento comune: il disegno di un piccolo fiore che accompagna il poeta.

Periodo romano

Un leggero tendaggio ci trasporta nella sala del periodo romano, dove Pasolini si trasferì nel 1950, a seguito di difficoltà importanti, tra cui pesò particolarmente il giudizio per la sua condizione di omosessuale. Cominciano qui a intravedersi i due pittori che lo hanno influito nei primi film: Masaccio e Caravaggio. Riguardo quest’ultimo è molto interessante l’utilizzo della luce, elemento che in Caravaggio è preponderante e che lo lega a doppio filo con Pasolini. Non si tratta di un’attribuzione postuma, poiché lui stesso ammette l’ammirazione e il fascino verso questo uso della luce.

Cinema e pittura

Da questo momento in poi, il visitatore è stimolato attraverso immagini, stralci di film e accostamenti tra cinema e pittura. Il primo film analizzato in questi termini è Accattone del 1961, con protagonista Franco Citti, uno degli attori “di strada” a cui il regista resterà legato per pellicole successive. Il film racconta per primo le borgate romane grazie alle quali Pasolini vide ed esaltò i contrasti della società e la vita difficile del sottoproletariato. Quest’operazione continuerà nei film successivi con l’intento di far conoscere ai borghesi la vita di chi si trova in condizioni di povertà. Qui il curatore affianca un quadro con un soggetto ed una natura morta di Caravaggio ad una scena del film. Il colpo d’occhio e il riferimento colpisce lo spettatore.

Continuando si passa ad una delle scene iniziali di Mamma Roma del 1962, quella del brindisi durante il matrimonio: questa viene accostata a L’ultima cena. Anche in questo caso è impressionante la cura con cui la scena rimanda al quadro: la luce, la disposizione dei personaggi, la grandezza della tavola. Tanti elementi di prospettiva che consentono di avere una visione privilegiata. Da qui si prosegue con molte foto di Pasolini e Anna Magnani scattate sul set che esprimono una sintonia e una comunità d’intenti anche senza bisogno di parole.

Nella sala successiva si confrontano altri due capolavori di Pasolini utilizzando lo stesso metodo cinema/pittura: La Rabbia e La Ricotta (in cui tra i protagonisti vi è Orson Welles) entrambi girati nel 1963. In quest’ultimo le scene del film sono accostate a Deposizione di Volterra di Rosso Fiorentino e La Deposizione di Cristo di Pontormo.

Qui si accenna inoltre alle difficoltà giudiziarie di Pasolini, che subì una vera e propria persecuzione: nel corso della sua vita fu vittima di 30 processi, i quali avevano il fine ultimo di ledere la dignità e la credibilità dell’artista.

La ricostruzione cinematografica e fotografica continua con gli accostamenti alla pittura e alle scene de Il vangelo secondo Matteo (1964), e ad un contributo video in cui Pasolini esprime quest’antitesi presente nella sua visione del mondo: la difficoltà di far coincidere la fede con il pensiero marxista. Inoltre, una sala circolare è dedicata al film ad Uccellacci e Uccellini (1966) e alle fotografie di Totò e del Maestro.

I lavori della maturità

Proseguendo nel percorso, vengono presentati attraverso meravigliose fotografie i lavori svolti tra il 1967 e il 1970: Edipo Re, Orestiade e Medea. Qui Pasolini abbandona completamente la visione occidentale dell’arte rifiutando l’arte greca classica tipica delle tragedie: decide di fare riferimenti a quella asiatica e africana. La sala è costellata da foto di Maria Callas, altra figura carismatica con cui Pasolini intrattenne un rapporto d’amicizia e stima.

Gli ultimi spazi espositivi sono dedicati al Decameron (1971) e a Salò o le 120 giornate di Sodoma: in questa sala un’intervista a Pasolini spiega il significato del lavoro che ha chiari riferimenti al periodo fascista. L’intento è parlare della mercificazione del corpo. Salò per Pasolini è “un film non sul potere ma sull’anarchia del potere”.

Ultimissimo lavoro è quello delle performance in cui si esprime il concetto de “la fine non esiste”.

La poetica di Pasolini nel cinema – vissuta con coerenza e realismo senza tempo – si può sintetizzare con le sue stesse parole: “Il cinema è come la realtà”.

 


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