Non so quanti se ne siano accorti, ma i sorrisi nella storia dell’arte e dei ritratti in particolare non sono poi molti. Al contrario delle nostre fotografie, dei nostri “cheese”, dei selfie molto liberi nelle pose e quasi sempre sorridenti, in passato le espressioni più apprezzate per una raffigurazione ufficiale erano di una compassata serietà o di nobile distacco.
Il sorriso era bandito dalle rappresentazioni figurative già dall’epoca romana in quanto vissuto come manifestazione di poca serietà o di dabbenaggine.
I sorrisi arcaici
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Non era stato così in alcune tarde sculture egizie e nella prima fase della cultura greca, quella arcaica appunto. Questa fase dell’arte viene denominata dei “sorrisi arcaici” proprio per le espressioni di certe statue ritratte con le labbra incurvate in su. Alcune interpretazioni vogliono questo particolare legato non alla manifestazione di stati dell’essere, bensì alla collocazione in alto delle statue stesse e quindi a una più neutra lettura dal basso della mimica facciale.
Nel mondo etrusco compaiono invece espressamente volti sorridenti nelle statue e in alcuni affreschi come segno di appagamento vitale e serenità d’animo.
La Monna Lisa
Le labbra leggermente increspate del famoso quadro di Leonardo (1452-1519) hanno da sempre focalizzato l’attenzione degli spettatori e dato addito a interpretazioni contrastanti. Il “sorriso enigmatico” della Gioconda è stato definito sensuale, ironico, sprezzante, ambiguo proprio perché non definito, forse accennato o riflesso dall’espressione degli occhi. Per questi motivi è il sorriso per eccellenza nella storia dell’arte.
Ma il primo a ritrarre i suoi soggetti sorridenti fu Antonello da Messina (1430-1479). Pur non mostrando ancora i denti, alcuni sue figure sono inequivocabilmente lieti. Bellissimo è il “ritratto di un uomo” del 1475 circa, nel quale l’ignoto personaggio raffigurato sorride visibilmente compiaciuto.
Il ‘600
È con il genio sovvertitore di Caravaggio nel diciassettesimo secolo che l’espressione sorridente si affranca del tutto dall’essere considerata sconveniente. Nel “Eros trionfante” (1602) del Merisi il giovane dio mostra spavaldo la sua leggerezza. Sulla scia della sua scuola e svincolati dal ritrarre la seriosa nobiltà troviamo la sottigliezza dei pittori olandesi che si lasciano sedurre dall’allegria del popolo. Come nel “Jolly Toper” (1629) di Judit Leyster (1609-1660), che tra l’atro ritrae anche se stesa sorridente, o il “Violinista che ride” (1624) di Gerrit van Honthorst (1592- 1656).
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Ma a mio parere il più bello dei sorrisi è nel quadro “Fanciullo con disegno” del 1523 di Francesco Carotto (1480-1555), nel quale l’espressione di gioiosa spensieratezza del ragazzo esprime al meglio giovinezza e spontaneità.
Dopo aver seguito studi artistici si interessa appassionatamente ad approfondire i meccanismi e l’evolversi della storia dell’arte contemporanea.
Proprio in qualità di critico d’arte e corrispondente, negli anni ’80 e ’90, ha firmato saggi e recensioni per alcuni dei maggiori periodici del settore, tra i quali: Terzoocchio delle edizioni Bora di Bologna, Flash Art di Milano Julier di Trieste ed il genovese ExArte .
Inoltre affiancherà attivamente come consulente la famosa galleria d’Arte avanguardistica Fluxia durante tutto il periodo della sua esistenza.
Ha partecipato all’organizzazione di numerosi eventi, tra i quali l’anniversario del centenario dell’Istituto d’Arte di Chiavari e la commemorazione del trentennale della morte del poeta Camillo Sbarbaro a S. Margherita L.
Nel 2010 pubblica il suo primo romanzo: “La strana faccenda di via Beatrice D’Este”, un giallo fantasioso e “intimista”.
Nel 2018 pubblica il fantasy storico “Tiwanaku La Leggenda” ispirato alla storia ed alle leggende delle Ande pre-incaiche.
Attualmente collabora con alcuni blog e riviste on-line come “Chili di libri, “Accademia della scrittura”,
“Emozioni imperfette”, “L’artefatto”,” Read il magazine” e “Hermes Magazine” occupandosi ancora di critica d’arte e di recensioni letterarie.