“Il trionfo di Galatea” (295 x 225 cm) realizzato da Raffaello Sanzio e databile intorno al 1512 si trova presso Villa Farnesina a Roma nella sala detta appunto “Sala di Galatea” al pianterreno della villa. L’opera è rettangolare e sembra che le pareti dovessero essere decorate da altre scene dedicate alla storia della ninfa, ma non furono mai completate, ad eccezione del “Polifemo” dello stesso artista che si trova nel riquadro attiguo.
Committenti, mito e descrizione del Trionfo di Galatea
Si tratta di uno dei più grandi capolavori del Rinascimento italiano realizzato su commissione del papa Giulio II in onore di Sisto IV, suo zio. Si tratta in realtà di un tentativo di fondere mitologia, religione e filosofia per celebrare il tema della vittoria dell’amore.
Tratto dalle Metamorfosi di Ovidio e di certo ispirato agli Metamorfosi di Ovidio , tramandato attraverso la tradizione di Poliziano o di Apuleio, il quadro ritrae Galatea che cavalca un cocchio marino trainato da due delfini e guidato da Palemone, circondato da tritoni e nereidi marine nell’acqua, mentre dal cielo tre amorini stanno per scagliare frecce amorose contro di lei. Il quarto amorino, invece, nascosto dietro la nuvola con delle frecce, rappresenta l’amore platonico casto e velato. La ninfa ha tratti tipici della classicità, visibili dal mantello-veste che la attornia, colorato in perfetto “rosso pompeiano”, e dallo sfondo marino dal colore verde marmoreo. Colpisce soprattutto il senso di ariosità del mantello e dei capelli che volano all’aria, riprendendo per continuità il gesto della nereide che solleva in alto la mano per avvolgersi con il mantello color giallo ocra, mentre viene rapita da un tritone. Di certo l’influenza di Michelangelo è evidente in ogni tratto del quadro, ma risulta del pari addolcita dalla naturalezza e dal tratto aggraziato del Sanzio.
Fonte foto: Wikipedia
Il volto e il corpo di Galatea
Nel volto di Galatea si intravede, in realtà, il volto di Margherita Luti, la donna amata di Raffaello che ispirò anche “La Fornarina” (1519), la “Madonna Sistina” (1514) e “La Velata” (1516): forse, dunque, fu questo il primo dipinto in cui il pittore si cimentò con la raffigurazione della sua amata! Secondo alcune fonti Raffaello e Margherita si conobbero proprio mentre il Maestro stava lavorando a questo affresco nella Villa di Agostino Chigi, villa in cui Margherita andava spesso a consegnare il pane dal forno in cui lavorava, situato appunto lì vicino a Trastevere. Poiché il Sanzio passava spesso molto tempo con la fanciulla trascurando il lavoro, fu lo stesso Chigi a chiamare Margherita nella sua Villa, sembra appunto perché minacciato dall’artista di abbandonare l’opera se non avesse potuto stare con lei. Certo è che il viso delicato della ninfa contrasta con il suo corpo muscoloso e in posa in torsione che Raffaello aveva già rappresentato nel dipinto “Santa Caterina d’Alessandria” nel 1508.
Villa Farnesina a Roma in cui si trova Il trionfo di Galatea di Raffaello
I colori in Galatea
Interessante, oltre al “rosso pompeiano” più sopra descritto, anche l’uso del “blu egizio”, per il cielo, il mare e gli occhi della ninfa: sembra che il Sanzio ne avesse riprodotto il pigmento seguendo pedissequamente le istruzioni presenti nel “De Architectura” di Vitruvio. E ancora il giallo, il rosa e il grigio chiaro degli sfondi sarebbero rimasti colori freddi per evidenziare il maggiore contrasto con i toni caldi delle figure principali del dipinto. Non è un caso che il quadro si trovi vicino al “Polifemo” di Sebastiano Piombo, poiché sembra completarne la mitologia d’amore: il Ciclope, innamorato della ninfa Galatea, la guarda osservandola da uno scoglio, mentre lei, ritratta in trionfo, si allontana da lui, rendendo aggraziato e vulnerabile persino il mostro mitologico con un solo occhio! Insomma un tributo alla mitologia d’amore che- Galeotta!- fece innamorare anche il pittore e la sua amata mentre dipingeva a tal punto da trasfigurarla nell’immagine della ninfa: quale tributo d’amore più delicato potrebbe mai esistere per un’amante?