Intervista a Lady Be: l’artista italiana che dipinge i suoi quadri con la plastica

Lady Be è il nome d’arte dell’artista Letizia Lanzarotti, che riesce nell’impresa di fare arte sostenibile, utilizzando per disegnare pezzi di plastica riciclata. Una tecnica definita dagli esperti “mosaico contemporaneo” che colpisce per la sua capacità di essere allo stesso tempo artistico ed ecologico.

Lady Be l’artista che disegna con la plastica

L’idea di Lady Be nasce nel non troppo lontano 2009. E’ in quest’anno che Letizia Lanzarotti, originaria di Rho, ma cresciuta a Pavia, sperimenta per la prima volta la tecnica del mosaico contemporaneo. L’idea geniale, ed ecologica, di Lady Be è quella di utilizzare la plastica per realizzare opere d’arte.

Un’idea originale ma anche funzionale, perché la plastica è così presente negli oggetti di tutti i giorni che è facilmente reperibile e soprattutto si trova in qualsiasi sfumatura di colore. Una qualità fondamentale per l’artista che accostando pezzi di plastica dalle sfumature di colore diverso riesce a creare profondità e prospettiva nei suoi quadri.

Quella che è all’inizio una sperimentazione iniziata utilizzando oggetti che ritrova per casa, diventa presto la sua firma, il suo tratto distintivo. Lady Be quindi inizia una vera e propria raccolta e ricerca di plastica che altrimenti finirebbe per essere gettata o, peggio, diventare un rifiuto abbandonato nell’ambiente. Così inizia a comprare materiali in plastica nei mercatini dell’usato, va nelle scuole a recuperare giocattoli rotti che può utilizzare e infine raccoglie plastica sulle spiagge, i tasselli finali della sua raccolta, perché la plastica erosa dal mare ottiene una sfumatura particolare che completa quella che diventa la sua tavolozza dei colori.

Con tutti i materiali raccolti, Lady Be poi passa alla creazione dei quadri che sono composti con piccolissimi pezzi di plastica che l’artista mette insieme, ritaglia e unisce per formare volti di personaggi famosi ed icone, in stile pop art, la corrente artistica a cui s’ispira ancora l’artista. Ogni quadro così diventa un’opera unica ed ecologica allo stesso tempo. Ma non solo. Tra i piccolissimi pezzi di plastica utilizzati come mosaici dall’artista, Lady Be inserisce alcuni elementi interi, che diventano riconoscibili allo spettatore e che in qualche modo si rifanno al personaggio dipinto. Ecco che allora nel quadro dedicato ad esempio a Prince compare una chitarra di plastica o che sulla mascherina di un infermiere compaiono dei piccoli teschi, come a simboleggiare che il virus muore se si usa la mascherina. Ma soprattutto ci sono piccoli giochi che sono palesemente riconoscibili e parte della vita di ciascuno di noi ed è proprio questo forse l’elemento più magico delle opere dell’artista che in questo modo riesce a svegliare vecchi ricordi raccolti da quella che è una memoria collettiva. Le sue opere così sono pezzi unici formati da pezzi di memoria collettiva, che arricchiscono il valore dell’opera, che in questo modo entra in contatto diretto con le emozioni dello spettatore costruendo con esso un dialogo continuo a seconda che si guardi l’opera nella sua interezza o ci si avvicini per scrutare i singoli elementi che la compongono.

Il successo internazionale di Lady Be

Lady Be e le sue opere non ci mettono molto a catturare l’attenzione della critica internazionale e ben presto ottiene la possibilità di esporre i suoi quadri in giro per il mondo. Espone a Parigi, Bruxelles, Malta, oltre che in tutte le maggiori città italiane. Nel 2011 arriva il primo grande riconoscimento: Lady Be è la “Best young Artist” all’International Prize di Tokyo. Nel 2014 le prime sue grandi personali una a Parigi e l’altra a New York.

Da allora Lady Be continua il suo percorso artistico crescendo sempre di più in termini di tecniche utilizzate, dei soggetti presentati e riesce ad esporre le proprie opere tanto in esposizioni personali in Italia e nel mondo, che in importanti eventi legati al mondo dell’arte.

Una delle sue partecipazioni da sottolineare è senza dubbio la sua partecipazione nel 2016 alla Triennale dell’arte contemporanea, dove l’artista presenta per la prima volta la sua opera “Barbie tumefatta”. Si tratta di un’opera dove l’artista, abituata a rappresentare anche personaggi iconici, riproduce con la sua tecnica, una barbie con un occhio nero. L’opera è un chiaro messaggio per denunciare la violenza sulle donne e colpisce l’attenzione anche di Vittorio Sgarbi, che elogia la forza del messaggio, che viene amplificato dall’uso di barbie scomposte come mosaico, ma soprattutto la tecnica utilizzata dall’artista che rende l’opera sicuramente interessante.

Oggi Lady Be è sicuramente una delle artisti più interessanti del panorama italiano ed internazionale, e ha deciso di concederci un’intervista per farci conoscere ancora meglio la sua arte.

Lady be Lei per il suo lavoro ha preso spunto dalla pop art, dove personaggi iconici appartenenti alla memoria di tutti diventano arte. Si può dire che con il suo lavoro lei ha esteso questo processo anche al materiale utilizzato e quindi alla plastica. E’ come se lei avesse preso questo elemento, parte integrante della vita di ciascuno di noi, e l’abbia reso iconico, artistico e degno di valore. Cosa l’ha spinta a questo processo?

In un’epoca in cui esistono così tanti materiali di scarto colorati soprattutto in plastica, per me è stato naturale inventare il Mosaico Contemporaneo.

Già dal processo iniziale da cui ho creato il mio stile, si può dire quindi dal mio primissimo progetto, ho concepito l’opera d’arte come un vero e proprio “diario dei ricordi”, intesi non solo come ricordi personali ma anche come memoria collettiva, museo di un’epoca storica, destinata a rimanere nel tempo attraverso questi oggetti, materiali di poco valore, che si trovano quotidianamente nelle mani di tutti, ma proprio per questo così emblematici.

Ecco perché ho sempre cercato di lasciarli il più possibile inalterati, naturalmente non dipingendoli mai ma lasciandoli nel loro colore originare e mantenendo il più intatta possibile anche la loro forma, per poter evocare in ogni spettatore il ricordo di un oggetto utilizzato ogni giorno. L’involucro di un make-up, una biro da ufficio, o addirittura oggetti della propria infanzia, come le sorpresine trovate in un ovetto di cioccolato o una bambola di plastica in cui tutte le bambine, donne e ragazze si identificano da più di 50 anni, diventano davvero “oggetti iconici” certamente rafforzati dal fatto che si trovino all’interno di un soggetto non meno iconico. Un processo assolutamente esteso dal soggetto agli oggetti di plastica che lo compongono.

Cito a tal proposito il critico Francesco Saverio Russo, a proposito del Mosaico Contemporaneo: “Lady Be, ricicla, è un riciclare ben diverso dai Maestri della Pop Art, il riciclo viene fatto con oggetti popolari legati ai ricordi personali, oggetti di massa che tutti ben conoscono e che hanno maneggiato da piccoli o che continuano a maneggiare oggi nel ruolo di genitori, nonni o semplicemente esseri umani. Il freddo ed impersonale, si trasforma nella “Personal Pop Art”, in personale e coinvolgente, l’osservatore è spinto a toccare l’opera d’arte per cercare di catturarne i suoi segreti, la sua più intima essenza; un’arte che viene vista e rivista perché è qualcosa di conosciuto ma nello stesso tempo ancora da scoprire”.

Le mie opere nascono con l’esplicito intento di rispecchiare un’epoca intera, l’epoca della plastica, congelandola, eternizzandola nell’opera d’arte, e soprattutto trasmettendo un messaggio di sostenibilità per il futuro.

Pur non smettendo mai di realizzare ritratti di personaggi famosi ed icone, le sue opere sono sempre più impegnate. Ha iniziato con le opere contro la violenza sulle donne, le ”Beaten Barbie”, e solo lo scorso anno ha realizzato le opere sulla tematica Covid. E’ un processo che La porterà a fare sempre di più arte impegnata o semplicemente sono opere dettate dalla sua sensibilità verso le tematiche più popolari, restando quindi fedele alla pop art?

Naturalmente i miei soggetti più “popolari” seguono i gusti e le preferenze del pubblico. È la base dell’arte Pop, ed è la stessa scelta che faceva Andy Warhol. Come disse anche Vittorio Sgarbi commentando una mia opera “L’argomento è pretestuoso (…) l’arte è forma, non è contenuto”, decretando così l’importanza della tecnica sul soggetto che genera.

Ciò che penso fin dall’inizio della mia carriera, è che qualunque soggetto può essere un mezzo e non un fine, e il fine è sensibilizzare al riciclo e alla sostenibilità ambientale. Meglio ancora se il “mezzo” è popolare, universalmente “bello” e amato da più persone possibili; solo così sarà possibile far giungere questo importante messaggio alle masse.

Detto questo, sicuramente, rispetto all’inizio della mia carriera, trattandosi comunque di un intenso percorso iniziato 10 anni fa, sento l’esigenza di realizzare soggetti inediti e più impegnati, che abbiano quindi un valore sociale e soprattutto un “timbro” personale e riconoscibile, che possa quindi caratterizzarmi maggiormente come artista della mia epoca e che mi permetta di realizzare qualcosa di ancor più personale ispirato a tematiche attuali. Ciò che rimane costante, è la scelta di personaggi comunque già conosciuti e iconici.

E’ il caso della Barbie Tumefatta, realizzata per dire No alla Violenza sulle Donne. La Barbie è il simbolo della donna da più di 3 generazioni, nella quale bambine e donne si identificano come simbolo di perfezione. L’opera è costituita interamente da pezzi di Barbie rotte e ricomposte e altro materiale di recupero, e rappresenta il ritratto di una Barbie che riporta i segni della violenza, a significare che anche la bellezza più pura e incontaminata può essere rovinata da botte ed ematomi, e ogni violenza va denunciata. Nei dettagli, volti di Barbie per il viso (ritoccati a loro volta con segni di violenza) e teste di Barbie per i capelli, c’è anche il silenzio di tutte le donne che hanno subito violenza senza denunciarla.

Allo stesso modo, l’evento del Covid non poteva lasciarmi indifferente, quindi ho scelto di realizzare una serie di opere ispirate all’emergenza, che potevano anche dare un aiuto concreto nell’affrontarla, attraverso la vendita all’asta e la donazione diretta in beneficienza del ricavato.

Con l’opera intitolata “Corona Jesus”, ad esempio, ho voluto rappresentare il volto sofferente del Cristo che al posto della corona di spine porta la rappresentazione del Coronavirus (simile a quella vista al microscopio elettronico). Corona Jesus rappresenta il sacrificio del Dio che si fa uomo oggi, in ognuno di noi. Il Coronavirus, è divenuto simbolo di espiazione dell’uomo. Ognuno di noi, nell’emergenza, ha compiuto un sacrificio: medici e infermieri in prima linea come soldati, sacrificando la loro salute e a volte la loro vita per altri uomini. Anziani, adulti e bambini di qualsiasi sesso, religione, e in tante parti del mondo, sono stati costretti a stare in casa e a non uscire per non contrarre e trasmettere il virus che a volte può̀ essere letale. Persone che, pur stando male, non hanno trovato posto negli ospedali già̀ al collasso. Uomini che hanno perso il lavoro. Lavoratori a casa senza guadagno. Ognuno di noi, ha espiato con il sacrificio, il male dell’umanità. Umanità che per anni ha rovinato il pianeta, con sostanze inquinanti nell’aria e tonnellate di plastica negli oceani. La stessa plastica che da anni raccolgo e suddivido per colore per poi creare le mie opere.

Sono stata poi molto felice e orgogliosa di aver potuto dare un contributo concreto attraverso la mia arte per aiutare gli ospedali durante l’emergenza. La mia opera battuta all’asta per gli ospedali Covid, “L’infermiera con l’orecchino di perla” (anche in questo caso ho scelto un personaggio iconico, la ragazza con il turbante di Vermeer) è divenuta inoltre copertina di un libro i cui i ricavi derivanti dalle vendite sono stati devoluti alla Protezione Civile; un piccolo “aiuto nell’aiuto”.

Le sue creazioni si basano su un lavoro sviluppato su due binari: da una parte vi è il quadro nella sua interezza e dall’altra vi sono i piccoli pezzi di plastica che dialogano anch’essi con lo spettatore e con l’opera. Le chiedo quindi, Lei quando inizia il suo processo creativo parte dalla materia o dall’idea del quadro nella sua interezza?

Parto certamente dal soggetto, quindi dal quadro nella sua interezza, dando però parallelamente una grande importanza alla scelta degli oggetti che userò per comporlo. Quadro che “progetto” a partire da immagini cercate da internet, elaborando poi uno schizzo personale dove comincio a predisporre anche le tonalità del quadro e i giusti colori per esaltare quel volto. Una volta completato lo schizzo, riporto il disegno su una grande tavola, e mi dedico alla scelta degli oggetti di plastica che userò per “dipingerlo”. Amo molto l’utilizzo dei giocattoli, perché a mio parere sono gli oggetti di plastica che custodiscono più ricordi e memorie anche inconsce, come quelle legate all’infanzia. Cerco, ogni volta che realizzo un’opera, di inserire oggetti il più possibile inerenti il soggetto rappresentato, ad esempio, mi capita di catalogare gli oggetti che trovo per tematiche (musica, animali, moda…) e poi di utilizzarle sulle opere per dare anche un valore aggiunto. La materia prima si piega al soggetto che devo rappresentare, la ricerca, a volte, diventa veramente estenuante perché è difficile trovare più materiali e oggetti diversi che hanno in comune la stessa nuance di colore. Il comune denominatore di tutte le mie opere è la varietà di materie plastiche utilizzate, quindi non basta prendere un solo oggetto del colore giusto e spaccarlo in più pezzettini; i pezzettini devono provenire da oggetti diversi e quindi, piuttosto, scelgo di assemblare diversi colori, quasi “mischiandoli” alternando i pezzettini per ottenere una determinata tonalità. Ad esempio, viola chiaro e nero per ottenere il viola scuro. Un misto di rosso e blu per ottenere il viola. Ma i pezzettini ovviamente non sono tubetti di colore e non si mischiano come si potrebbe pensare. È un procedimento molto difficile che richiede anni di esperienza. Poche volte posso concedermi il lusso di “scegliere” il soggetto o il suo colore in un determinato modo in base alla materia prima, e se lo faccio si tratta per lo più di opere molto personali, nelle quali scelgo di concedermi l’utilizzo di un colore che, in quel momento, mi fa stare bene.

Si definisce più artista o ambientalista? O semplicemente l’artista di oggi non può essere insensibile all’emergenza ambientale?

Ciò che dico sempre ai miei incontri, soprattutto con i più piccoli, è che attraverso le mie opere non potrò certo salvare il mondo o gli oceani dall’inquinamento, ma sicuramente posso mandare un messaggio attraverso il mio piccolo contributo e sensibilizzare le persone su questo importante tema. Non solo l’artista, ma l’uomo di oggi non può essere insensibile a queste tematiche. Io ho iniziato a parlarne più di 10 anni fa, quando ancora l’argomento non era così “popolare” ma non per questo mi definisco, ambientalista; semplicemente cerco di fare il possibile per l’ambiente, attraverso il mio lavoro di artista, ed è a mio parere ciò che dovrebbero fare tutti nei piccoli gesti e attraverso la loro attività di ogni giorno, indipendentemente dalla professione svolta.

Lo si può fare anche attraverso piccoli gesti quotidiani nel tempo libero, come dividere i tappi dalle bottiglie o raccogliere qualche rifiuto a terra durante le passeggiate. Come diceva Madre Teresa di Calcutta “Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno.”

Come umanità, abbiamo ormai capito che il mondo, tra crisi ambientale, economica, e pandemica, non poteva certo andare avanti così. Sono certa che, a partire dagli organizzatori di grandi eventi, si capirà come ottimizzare le risorse, e oltre a porre attenzione a materiali e mezzi sostenibili dal punto di vista ecologico, si punterà a soluzioni che implichino una sostenibilità economica, senza dimenticare che “sostenibilità” significa anche “sostenersi a vicenda”. Quando senti termini come “svolta green” o “transazione ecologica”, io cerco di pensare a qualcosa di concreto. Spero lo facciano tutti. Solo così si potrà ripartire insieme.