Fonte foto: Festival Ariel
I luoghi, per definizione spazio e limite, riscrivono il loro legame con la poesia attraverso il complesso concetto di Rete: addentriamoci nella questione grazie all’esperienza professionale e poetica di Alessandra Corbetta.
L’intervista
Alessandra Corbetta (Erba 1988) è dottore di ricerca in Sociologia della Comunicazione e dei Media e lavora come Adjunct Professor presso l’Università LIUC-Carlo Cattaneo. Ha fondato e dirige il blog Alma Poesia, con il quale ha curato Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla Rete (Puntoacapo Editrice 2021). La sua ultima pubblicazione in versi è Estate corsara (Puntoacapo Editrice 2022).
In un panorama reale e virtuale sempre più articolato, come si inserisce la rappresentazione poetica del sé?
“La nostra società contemporanea ci mostra chiaramente come la fortunata espressione di Luciano Floridi, che parla di dimensione dell’‘Onlife’, abbia trovato pieno compimento, in un ecosistema mediale che rende non più discernibile la sfera online da quella offline e dove, come già aveva ben teorizzato Pierre Lévy, virtuale non è in opposizione a reale ma ne delinea piuttosto, insieme all’attuale, una delle sue possibili manifestazioni. In questo coesistere di coalescenze, impossibili prima della rivoluzione digitale, il sé è chiamato a ridefinirsi, a interrogarsi nuovamente sulla propria multistrutturalità e, nel farlo, deve tenere conto della mediazione dello schermo, dell’accelerazione dei tempi, del mutato rapporto pubblico/privato, della fragilità della diade oblio/memoria; deve cioè tornare a porsi le domande di sempre (Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?) con voce altisonante, decisa.”
Su quali piani la Rete condiziona il linguaggio poetico?
“La Rete, iperonimo con il quale ci si continua a riferire univocamente a realtà tra loro molto differenti, condiziona il linguaggio a più livelli e impatta, ovviamente, anche su quello poetico. Marshall McLuhan non solo ci ricorda che il medium è il messaggio, cioè che ogni contenuto subisce l’influenza del ‘contenitore’ nel quale è inserito, ma anche che è ‘massaggio’ ovvero elemento in grado di creare condizionamenti di tipo sinestetico. Dentro la Rete il linguaggio poetico entra in un vortice cronologico che non gli è proprio, caratterizzato da un ritmo accelerato che modifica inevitabilmente i tempi di fruizione e quelli di produzione, qualora i versi vengano scritti appositamente per il Web, e lo contamina, lo ibrida con il proprio slang, lo inserisce in una dimensione dove il rapporto significante/significato si muove su binari a sé stanti.
È vero però anche il contrario, e diversi studi di sociolinguistica lo testimoniano: la poesia, soprattutto nel suo scarto linguistico rispetto alla norma, condiziona molto il linguaggio della Rete, come rimarcano anche la ricorrenza delle onomatopee, la cosiddetta ‘mentalità del minuscolo’ (D. Crystal) e la scriptio continua.”
L’antologia “Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla Rete” raccoglie diversi contributi poetici. Cosa emerge dal confronto di voci così eterogenee?
“Con questo volume di studio abbiamo raccolto testi di autrici e autori nati tra il 1938 e il 1999 relativi, in senso ampio, al tema della Rete; i componimenti sono stati divisi in base all’anno di nascita dei poeti, raggruppati per decadi, dal momento che abbiamo optato per un criterio analitico di tipo transgenerazionale. Ne sono emerse analogie ma anche profonde differenze, entrambe sia all’interno dello stesso cluster sia in cluster diversi. Sorprendente è stato notare che esiste un desiderio comune a tutte le generazioni rispetto alla disgregazione che la rivoluzione digitale ha prodotto e cioè quello di potere ricompattare l’intero, uscire dalla frammentazione; se per i più adulti esso è ritrovabile, in qualità di modello, nel passato, per i giovani è qualcosa da costruire nel futuro. Per tutti, però, è l’unica cosa che valga davvero la pena tentare di inseguire, anche attraverso la parola poetica, che torna così a farsi strumento imprescindibile per la costruzione di un nuovo umanesimo.”
Consiglieresti delle letture che hanno stimolato il tuo sguardo poetico sui luoghi?
“Nella mia ultima pubblicazione in versi [n.d.r. Estate corsara], dove il riferimento ai luoghi è costante, poiché essi diventano gli spazi ampi capaci di trattenere le impronte di ciò che siamo stati, il rimando esplicito è al poemetto che apre ‘La bella vista’ di Umberto Fiori, che infatti pongo in esergo a ogni sezione; il luogo, che non cessa mai di essere tale, diviene al contempo metafora dell’altro e del nostro modo di relazionarci a lui in quanto principale tramite della nostra costruzione identitaria. Ugualmente accade per gli spazi urbani menzionati, per i quali l’influenza maggiore è arrivata senz’altro dalla linea lombarda della quarta generazione.”
Molte poesie di “Estate corsara” hanno come titolo nomi di città, soprattutto toscane. Quali temi legano le singole tappe in una mappa della “Stagione”?
“A legare i luoghi è il tempo; per attraversarli, per potere passare dall’uno all’altro non serve una cartina che indichi la direzione esatta o la strada più corta ma la capacità di sapere aspettare il passaggio dei giorni, la resa del dolore, la chiusura della ferita. Mentre loro restano lì, immobili nella loro bellezza vitale, noi cambiamo, ci trasformiamo, siamo costretti a diventare altri da noi stessi per continuare a essere quello che siamo. Dentro luoghi fisici, facilmente additabili su una qualsiasi rappresentazione toponomastica, le identità mutano e noi ci aggrappiamo alle loro mura, alle loro strade, alle loro insegne per non dimenticare la strada che abbiamo fatto per arrivare dove ci troviamo ora.”
“Chi resta sopravvive / e traduce la memoria”: in che modo i luoghi di “Estate corsara” sono attraversati e attraversano nel ricordo?
“Il passaggio dentro e per i luoghi è un attraversamento dell’io e del noi per superarli, per potere andare oltre e cioè per poterne essere attraversati. Di fronte ai grandi dolori della vita che generano uno sconquassamento del nostro sé più profondo, accanto alla possibilità della sopraffazione abbiamo sempre quella dell’andare oltre, del fare del male ricevuto un carburante buono che continui ad alimentare il nostro viaggio. È un’operazione lunga e complessa ma l’unica che continuo a credere valga la pena tentare di mettere in pratica; e, come in ogni impresa faticosa, abbiamo bisogno di alleati: i luoghi, con la loro presenza costante e la capacità di mantenere la promessa di non tradirci e di non abbandonarci, sanno esserlo, sanno riportarci a casa.”
Salutiamo i lettori di Hermes Magazine con una tua poesia!
“Vi saluto con il testo che chiude Estate corsara:
RICOSTRUZIONE
C’è un libro, un anello, una città lontana.
C’è da ricostruire il luogo
del patto che è stato
violato. E perdonare, l’estate.
Non dalla sfera avvolta su stessa
ma dalla sfera che in sé stessa ripristina l’ordine.
Dall’uno e dopo il due. Dall’altezza dei palazzi.
Il verdeazzurro dell’infanzia.
Chi resta vince. Chi resta sopravvive
e traduce la memoria. Chi scappa
dimentica la strada. Le cose venute prima.
Scolorare i segni. L’acqua non punisce
chi è stato benedetto.”
Laureata in Lettere moderne all’Università di Bologna, collaboro con il Poesia Festival e sono redattrice di «Hermes Magazine» e di «Laboratori Poesia». I miei versi sono stati selezionati nello spazio La bottega di Poesia de «La Repubblica» (Bologna, maggio 2019), nell’Almanacco «Secolo Donna 2022» (Macabor Editore 2022), in vari concorsi poetici e per riviste on line. Nel 2020 ho pubblicato la mia prima raccolta di poesie, Cosa resta dei vetri (Corsiero Editore), e nel 2023 ho curato l’antologia Il grido della Terra (Macabor Editore).