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Si dice…cioè…io…ma che è ‘sta roba?

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Si dice che non si possano costruire frasi complete senza una corretta sintassi grammaticale e logica.

The king!

Signore e signori, eccolo: il re indiscusso della scrittura, il principe dei dialoghi, il segreto della comunicazione umana: l’anacoluto!

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L'avete pensato anche voi, confessate.

Sì, mi rendo conto, ha un nome un po’ ambiguo. C’è una barzelletta che racconta di una scrittrice che si presenta a un editore aspetta, mi ricorda qualcosa e dopo tante parole questi le chiede: “ma lei lo fa l’anacoluto?”, lei ci pensa un po’ e poi risponde “no, però so fare certi giochetti con la bocca che…ha capito, no?”

(Se realizzassi questa striscia probabilmente sarebbe l’ultima che vedreste; è per questo che Giambertugo è un uomo credo ed è sempre per questo che le sue risposte non sono mai così esplicite)

La barzelletta fa ridere per due motivi

Probabilmente però ne avrete capitolo solo uno: quello che nota come il termine anacoluto somigli a una particolare pratica erotica/pornografica. esperti

L’altro lo capiscono solo gli scrittori e gli esperti nella lingua italiana. Ed è il fatto che “no, però so fare certi giochetti con la bocca che…ha capito, no?”…è un anacoluto!

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Tognazzi glie spiccia casa a Giambertugo.

Analizziamo questo anacoluto

L’anacoluto, detto anche tema sospeso o nominativus pendens, è una figura retorica letteraria nella quale, semplicemente, non viene rispettata la coesione tra le varie parti della frase, che pertanto appare sconnessa, montata a caso, eppure nonostante ciò, non per questo non funzionale. Anzi!

In esso infatti un elemento della frase (in genere il primo, quasi sempre il soggetto) appare, nel confronto con gli elementi che lo seguono, contemporaneamente campato in aria e messo in rilievo, perfettamente esplicato nel doppio anacoluto manzoniano:

Io, purtroppo, mi sembra che non ci sia nulla da fare; quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro.

Come è evidente, qualcosa è sconnesso dal resto della frase, non c’è continuità apparente tra soggetto e la frase che vi si costruisce in seguito.

Eppure, pur mancando la coerenza logica, e con somma rabbia di ogni maestra di grammatica scolastica, il messaggio è forte è chiaro. La frase funziona, il compito comunicativo della stessa è perfettamente compiuto.

La maestrina li odia

Davvero. spesso perché non li capisce.

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Interessante, nevvero?..

Impara le regole, e poi infrangine qualcuna, dice un ottimo proverbio. Significa che le regole sono fondamentali, ma che non si sono SOLO le regole. queste servono a far funzionare le cose, ma qualunque altro metodo riesca a farle funzionare meglio anche contravvenendo alle stesse va benissimo.

Non bisogna mai dimenticare che il linguaggio è solo un mezzo perché si avveri la comunicazione. E qualunque cosa riesca a renderla più funzionale non fa altro che accrescerne la funzione.

L’anacoluto è quindi la classica eccezione che conferma la regola (e di fatto va a diventare una nuova regola. Che va usata in affiancamento a tutte le altre, eh. Mo’ non è che perché siete ignoranti allora siete geni della comunicazione).

Ma perché li odia?

Bisogna chiarire una cosa: se è vero che la maestra di grammatica odia profondamente l’anacoluto e anzi lo marcherà sempre come errore, il docente di letteratura lo loderà come eccellente uso dello strumento lessicale. Perché questa cosa? Beh, ma è chiaro: perché la prima insegna le regole e le incastra esattamente come se fossero un libretto di istruzioni dell’Ikea, e si ferma lì; il secondo invece le usa per il loro scopo comunicativo e sa perfettamente che le regole devono servire a uno scopo, altrimenti sono solo fini a se stesse.

L’anacoluto nella comunicazione, quindi

Si tratta di una figura retorica che si trova soprattutto nella narrativa, quindi sì. Questo perché esso rientra nelle mimesi del parlato, laddove nella narrativa per rendere più reale il descritto si travalica la correttezza grammaticale per riuscire ad avvicinarsi il più possibile alle espressioni tipiche del parlato, avvalendosi della forza contestuale del salto logico.

Esempi illustri

Non è chiaramente una caratteristica tipica manzoniana (che pure li adorava), né di qualunque buon scrittore odierno: ne hanno fatto uso Tucidide, Tito Livio, Cicerone, Catone, Machiavelli, Boccaccio, Verga…

Dimenticavo

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Ah, già!

Giusto, il che polivalente con cui abbiamo costruito l’anacoluto della striscia.

Si tratta dell’uso del che come connettivo generico, vale a dire come elemento grammaticale che mette in connessione due enunciati diversi, ma che all’interno della frase non possiede una sola e definita funzione.

Poi non dite che non vi spiego le cose.