Ti racconto quanto male fa: la letteratura del dolore

Fonte copertina: Disegno di Fabio Postini

Il dolore è da sempre un tema a vasto raggio che viene trattato in tantissimi modi e spiegato con altrettante parole. L’obiettivo principale di questo articolo è cercare di trovare una chiave di lettura letteraria (scusate il gioco di parole) per aiutare il lettore a comprendere come, in alcune pagine dei libri di prosa o di poesia , si possa ritrovare il mal di vivere, in tutte le sue sfaccettature, umane, fisiche ed intellettuali. Soprattutto come queste letture possano anche aiutarci nel fronteggiare diverse situazioni che creano dispiacere e sofferenza. Ma seguendo un filo armonico e logico, facciamoci dapprima una domanda:

Che cosa è il dolore?

Fonte: Citazioni Tumblr

Per dare una risposta a questo interrogativo, che contiene probabilmente un universo nelle sue molteplici risposte, tiriamo in ballo il più grande psicanalista di tutti i tempi, tale Sigmund Freud, che argomenta la sua tesi tentando di dare questa definizione di dolore nel suo scritto Il disagio della civiltà.

Riassumendo il suo pensiero, egli sostiene che il dolore fa parte della vita umana, ed il nostro organismo, essendo una struttura limitata e transitoria, appartiene ineluttabilmente ad esso. “La sofferenza” afferma ancora Freud “ci minaccia su tre parti: il corpo, destinato a deperire e per il quale scienza e tecnica si sforzano di trovare rimedi, per ridurre quei momenti che ci creano angoscia e dispiacere. La mente e le relazioni con l’ambiente e con gli individui attorno a noi. Soprattutto con le istituzioni che spesso brancolano nel buio nella regolazione di questi rapporti umani (siano essi un nucleo famigliari o addirittura uno stato)”

Inoltre, il dolore è spesso riconducibile ad una sofferenza fisica che allude a cause interne e fisiologiche ma anche a cause esterne. Ciò che inquieta maggiormente il nostro “dentro” sono le sofferenze portate dalla civiltà, anche nel caso dell’interazione non sempre bonaria con i nostri simili.

Quando il dolore ci bussa alla porta, ostacola principalmente la tensione umana alla felicità, a tal punto che una persona decide, quasi furtivamente, di ritenersi felice solo per il fatto stesso di essere scampata all’infelicità. Comunemente, evitare il dolore paradossalmente vale più che procurarsi del piacere nel ciò che ci fa paura e che potrebbe anche (ma non per forza) rivelarsi un fallimento. L’evitamento pur di non soffrire più è tendenzialmente il metodo che si utilizza maggiormente, non per essere felici, ma per non stare male. Gli uomini fanno quotidiana esperienza di dolore, e tuttavia, nonostante esso si ripresenti costantemente, non abbandonano mai il tentativo di provare ad eluderlo.

Tuttavia, lo sappiamo bene, soffrire fa parte della vita. Siamo tutti consapevoli che però “farla sotto al naso alla sofferenza” non è proprio una gran furbata, ed è per questo che in qualsiasi dolore si cerca consapevolezza, nel tentativo di dare una spiegazione, spesso postuma, all’avvenimento negativo. Esso infatti è anche un modo per porsi degli interrogativi filosofici sul senso della vita e del mondo. Un motivo per aprire la mente.  Solo capendo che non possiamo scappare del tutto da esso, riusciamo a trarne diversi benefici, tra cui una conoscenza più profonda di noi stessi e una maggiore esperienza. Soprattutto in Occidente si tende a dare un’interpretazione alla sofferenza, ed è un dato di fatto che un dolore “non interpretato” non è un dolore vivibile. Alla sofferenza, dalle nostre parti, dobbiamo sempre dare una risposta positiva. Attraverso compromessi, bilanciando scelte di vita e adattamenti.

Ma in tutto ciò la letteratura che c’entra?

“Se non ci fosse la sofferenza, l’uomo non conoscerebbe i propri limiti”

Tolstoj – Guerra e Pace

Quali sono le competenze di uno scrittore riguardo un argomento tanto ampio, quanto dibattuto? Partiamo da un presupposto banale: scorrendo antologie, romanzi, racconti, manoscritti, libri di spessore, libri di poco conto, storie, favole e fiabe, non può sfuggire al lettore di quanto queste o quelle pagine siano intrise di dolore. Si potrebbe quasi evincere che la scrittura, di per sé, nasce come modo per esorcizzare tristezza, rigettando il tutto su un foglio di carta attraverso virtù come il pensiero, la sintesi, ma soprattutto lo stile.

Illustrazione di Bruna Lima (Pinterest)

Attraverso la penna di uno scrittore non passano solo storie, ma tutto ciò che c’è dietro la facciata di un personaggio, e, se è uno scrittore di quelli che sanno arrivare al pubblico, non passeranno solo emozioni positive, bensì -anche e soprattutto- le sue angosce, i suoi patemi d’animo, le sue ansie e le difficoltà che lo affliggono. E saranno proprio quelle parti, quelle che fanno più male, a farlo entrare nel cuore e nell’animo di chi si accinge a voltare la pagina, e a renderlo sempre più affine a chi ne segue con l’indice tutta la storia.

 

È cresciuto nel dolore, questo massimo amore che mio cuore seppe: il dolce richiamo dell’umanità”

Poesia di Friedrich Hölderlin

Se potessimo abbracciare con un solo braccio la scrittura che ha portato le più grandi opere degli antichi fino agli autori contemporanei, noteremmo che il tema del dolore è il principio archetipico dell’ispirazione di un artista. Tutto nasce da una sfida. Tutto si evolve attraverso il superamento di prove, problemi e difficoltà. La letteratura del Novecento si fonda su tre principi fondamentali che sono il conservare la memoria del dolore del mondo, invitare a comprendere le cause dell’infelicità umana e offrire una consolazione attraverso la bellezza del racconto.   Il lamento diventa sfogo su carta e permette a molti di allentare la tensione dettata dall’infelicità; la memoria è invece mera garanzia di esperienza; la comprensione è principio di saggezza e la consolazione è vero e proprio antidoto terapeutico. Allo stare male, si risponde positivamente, attraverso l’arte. Ragionando converrete con me che, la letteratura, è quel “luogo” in cui è possibile rivivere il proprio o l’altrui dolore senza rimanere bruciati da esso.

Disegno di Alice Vettori

La letteratura del Novecento non definisce il concetto di dolore ma mostra le reazioni dell’uomo di fronte ad esso. Anche perché è stato un secolo davvero intriso di sofferenza, guerre, distruzioni, morte, rabbia, epidemie, dittature e scontento popolare.  Insomma la storia di quell’epoca (ma anche della nostra) è segnata da disastri, sangue e sofferenze inaudite e questo, di riflesso, ha portato molti scrittori a delineare una vastissima gamma di sentimenti negativi, affrontando attraverso la narrazione i vari volti del dolore.

Proprio per questo motivo, per concludere, e semplificare questo infinito sentire negativo, si è pensato di suddividere i temi “dolorosi” trattati in tre categorie, seguendo l’impronta psicanalitica freudiana, che ha aperto il nostro articolo: il male di vivere, la catastrofe ed il lutto.

Saranno questi i tre temi di cui tratteremo nei prossimi articoli, riguardo questo argomento così ampio, interessante e necessario

Concludo con una domanda per farvi riflettere: se foste scrittori, quale dolore non riuscireste proprio a mettere per iscritto?