“La cultura è un bene comune primario come l’acqua; i teatri, le biblioteche, i cinema sono gli acquedotti.”
Claudio Abbado (26 Giugno 1933 – 20 Gennaio 2014)
In un oscuro finire di Ottobre ricadiamo di nuovo tra le brame di un incubo. O forse, è meglio dire, ci risvegliamo nella fosca realtà che speravamo di non dover più vivere. Forse avevamo solo rimosso tutto troppo in fretta; le immagini e le sensazioni proiettate nella mente di un film tanto reale che ognuno di noi, in maniera diversa, ha vissuto. Un perenne brivido freddo sulla pelle, devastante a livello psicologico, e nei casi più gravi, per la salute e le perdite umane. Una storia, quella di questo dannato 2020, che sembrava scritta per il peggiore b-movies di fantascienza catastrofica di cui non eravamo gli spettatori, ma i veri protagonisti in balia di un crescendo nel pericolo, smarriti nella paura e nell’incertezza. Un piccolo organismo ha creato un malvagio intreccio oscillando l’ispirazione tra una virale ”Guerra dei Mondi” stile Orson Welles, le città vuote del “28 Giorni dopo” di Danny Boyle, la strambe invasioni degli Ultracorpi nelle versioni di Don Siegel del 56‘ e di Abel Ferrara del 93‘, il terrore dell’altro, del contagiato, splatter ne “La Cosa” di Carpenter, sociale in “The Mist” di Frank Dorabont su un racconto di Stephen King. Il virus ha fatto addirittura rinascere dalle sue ceneri una pellicola considerata un flop clamoroso nel 2011, il “Contagion” di Steven Soderbergh, considerato ai tempi irrealistico nel preannunciare gli effetti di una pandemia mondiale, e che nel periodo del Covid è stato riscoperto nell’e-commerce degli homevideo tra gli appassionati, ma anche tra i complottisti in cerca di supposte verità, diventando in modo eccessivo un meta-documentario per analizzare i giorni nostri. In realtà, pur con la presenza di similitudini, l’unica risposta certa l’ha avuta la casa di produzione con gli incassi extra di un dvd che sembrava destinato alle ceste del supermercato.
La realtà supera l’immaginazione. Anzi; la realtà si è fusa direttamente con la fantasia, ma ciò non la rendeva meno pericolosa. Ed è per questo che abbiamo fatto fatica a capire. Tutto appariva strano, impossibile, ma la pandemia stava accadendo intorno a noi.
Finché la primavera non ha riportato la speranza. La voglia di vivere la leggerezza di un tempo che sembra ormai così lontano non solo nel passato, ma anche dal prossimo futuro, ci ha indotto nell’errore di credere che fosse tutto finito, che la notte era preda dell’alba, e che potevamo allentare le difese, quelle regole basilari che si sono rivelate importanti nel proteggere la salute, come indossare le mascherine, lavarsi spesso le mani e restare distanziati. Il sole estivo ci ha abbagliato con un miraggio ondeggiante nei deserti della nostra solitudine, e siamo entrati in contatto con un sogno ingannatore, nella festa anticipata di una vittoria collettiva contro il nemico che teneva il mondo sotto scacco.
Il Sars Covid-19 non se n’è mai andato, e in modo progressivo, ha ripreso forza, con i numeri dei contagi giornalieri balzati sui grafici e che mettono ancora in affanno il sistema sanitario nazionale. Torna la paura. Tornano le restrizioni. Torna l’incubo dal quale non puoi svegliarti; in realtà sei già sveglio e devi restare vigile sul pericolo. Perché la vita è un film che dobbiamo vivere, ma se manca la salute, è come veder affievolire la luce del proiettore sullo schermo, con il rischio che si spenga ogni cosa per sempre.
Il 25 Ottobre scorso, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha firmato un nuovo provvedimento in cui vengono annunciate delle limitazioni più stringenti a causa del largo diffondersi del Covid -19 in tutte le regioni d’Italia. Restrizioni che colpiscono in particolare i settori della ristorazione, con chiusura di bar, pub e ristoranti alle 18, ma anche quelli dedicati al tempo libero, come palestre, piscine, ma anche cinema e teatri.
In questi giorni sono nate molte proteste tra gli esercenti che subiranno gli effetti negativi di questi provvedimenti, e tra quelle voci, si erge il mondo dello spettacolo, contrario alla chiusura dei luoghi in cui si diffonde cultura e non il contagio. Dai dati riportati da “AGIS” (Associazione Generale Italiana dello Spettacolo) risulta che nel periodo tra il 15 Giugno e il 10 Ottobre, ci sono stati 2.782 spettacoli con la presenza di pubblico stimata a 347.262 unità, e di cui risulta una sola persona contagiata dal virus, in un periodo contraddistinto dalle annuali mostre cinematografiche come i “Festival del Cinema” di Venezia e di Roma, che si sono svolti tranquillamente senza riscontrare problemi. Elementi evidenti di ripartenza in un settore già segnato da difficoltà precedenti, che ha saputo comunque rialzarsi, riportando le persone a contatto diretto con l’arte, con la presa visione di tutte le misure necessarie a rendere le sale e le strutture sicure per il pubblico e gli addetti ai lavori. Chi scrive può testimoniare di persona di aver frequentato i cinema alla loro riapertura, e anche se dopo il lockdown avvertivo molta tensione nel sostare in luoghi diversi da casa, all’interno delle sale mi sono sentito sempre al sicuro, a mio agio, con tutti i protocolli di sicurezza rispettati e che non hanno limitato l’intrattenimento.
Per questi motivi, il mondo della cultura ha inviato diverse lettere al Premier Conte, al Ministro della cultura Dario Franceschini e al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al fine di riconsiderare la decisione sulle chiusure di quei luoghi sicuri, e al contempo, di sostenere i lavoratori di un settore “a rischio estinzione”, come lo ha definito il regista Marco Bellocchio in un’intervista a Repubblica, portavoce insieme a tanti altri artisti di questa battaglia.
“Durante la Seconda Guerra Mondiale il cinema non si è fermato, anche sotto le bombe le persone hanno continuato ad andare in sala. Il cinema è un bene primario e un grande simbolo, una possibilità di sogno e di speranza.”
Hanno seguito lo stesso esempio molti altri attori attraverso i canali social, da Stefano Accorsi a Pierfrancesco Favino, Elena Sofia Ricci, Claudia Gerini, Isabella Ferrari, Vittoria Puccini, Martina Colombari e tanti altri ancora. Ognuno con l’intento di difendere le maestranze ma anche il valore della cultura.
Un lockdown della cultura che forse ne anticipa una più grande a livello nazionale, e che solo nelle prossime settimane sapremo se sarà evitato. Di certo, emerge chiara una domanda; perché in emergenza si rinuncia sempre all’arte come primo elemento sacrificabile?
“Non siamo tempo libero. Siamo lavoro e molto di più.” una delle frasi che si legge nella lettera recapitata alle istituzioni. Ed è una verità innegabile, come purtroppo è innegabile la difficile situazione che viviamo e che spinge a decisioni drastiche, non come punizione, ma per salvaguardare la salute di tutti i cittadini. L’importante sarà garantire davvero un “ristoro” a tutti coloro che soffriranno, che si erano rimessi in gioco dopo il primo lockdown, che hanno accumulato debiti ma che hanno provato a resistere rispettando le regole. Sarà necessario garantire un futuro per i cinema e per i teatri, quei luoghi che mantengono vivo il culto del sogno, e che se perduti sarà come rinunciare ad una parte della nostra anima.
Ad essere onesti però, le nostre abitudini erano già cambiate prima del Covid. Abbiamo imparato ad usufruire di film e musica su canali diversi, l’amato e odiato streaming, la possibilità di connetterci da casa e in qualsiasi momento ad una storia, una canzone, un evento, per trascorrere in tranquillità qualche ora dopo una lunga giornata di lavoro, oppure nei drammatici giorni di isolamento. Eppure, tutto questo ha portato ad allontanarci dalle sale, dal vivere sulla pelle quelle emozioni, seduti su una poltrona che sembrava la navicella di un viaggio nell’universo della fantasia.
In estate, l’arrivo di un film come “Tenet” nelle sale cinematografiche, il kolossal fantascientifico di Christopher Nolan, ha riacceso in parte l’entusiasmo del ritorno a godere del grande schermo. Una mossa coraggiosa che ha dato speranza a spettatori e produttori, pur in un momento difficile. Eppure, dai sogni ci si sveglia sempre troppo presto. Il CEO della Warner Bros, John Stankley, ha dichiarato l’uscita in sala di Tenet un insuccesso d’incassi, in quanto, molti cinema americani sono rimasti chiusi e la pellicola non ha avuto la possibilità di recuperare le enormi spese di produzione, attestate a livello nazionale a 50,6 milioni di dollari a fronte di una spesa di 200.
Siamo sempre al punto di partenza; qual è il futuro del cinema e della cultura? In un settore in cui gli incassi hanno influenze maggiori sul valore stesso dell’opera, si può sperare ancora che i cancelli dei nostri sogni si riaprano, oppure dovremmo accontentarci del piccolo schermo di casa e di una connessione potente?
Ci sono grandi case di produzione che hanno già scelto di far uscire i loro prossimi film solo sulle piattaforme digitali, vedi il recente caso “Soul”, il film Pixar che la Disney metterà a disposizione solo sul proprio servizio di abbonamento, Disney+. Un’apripista ad un nuovo modo di intendere l’intrattenimento, che rischia di causare un vuoto emotivo. L’arte che diventa prodotto, da scongelare quando si è di rientro e non si ha tanta voglia di organizzarsi per andare a vedere, a scoprire, a condividere.
La speranza, il sogno, è che tutto ritorni come l’avevamo lasciato, magari migliore. Che i cinema, i teatri e ogni luogo di aggregazione culturale torni l’oasi in cui connetterci davvero con la fibra del nostro essere. La riflessione e il divertimento. Le lacrime e i sorrisi. La vita stessa, tra caduta e risalite. L’incubo, però, è che tutto venga ancora una volta dimenticato, e che si spenga per sempre la luce. E allora, tocca a noi saper scegliere, quando si potrà, di salvaguardare un piccolo cinema o un teatro di quartiere da una serata magra davanti all’ultima serie tv di cui tutti parlano.
Lasceremo parlare il cuore e le emozioni… forse…