Fonte foto: Globalist
È una data importante per il giornalismo musicale e non solo. Cinquantasette anni fa, venne alla luce quella che in breve tempo diventò la rivista più famosa nel mondo: Rolling Stone.
La genesi
Narra la leggenda che Angie Kucherenko, una giovane impiegata di San Francisco, tornando a casa, trovò il fidanzato della sua coinquilina intento a strimpellare la chitarra, sdraiato sul divano; il ragazzo smise improvvisamente di suonare, si alzò dal divano e annunciò: ”Voglio aprire una rivista di Rock n’ roll”. Rispose la Kucherenko: ”Rock n’ roll? Ma non è solo una fase?”.
Il giovane in questione era Jann Wenner, ventunenne universitario alla Berkeley – che lasciò prima di laurearsi – un visionario con le idee chiare. A quei tempi il giornalismo rock non era una professione, Wenner aveva capito che quella musica, non era un fenomeno passeggero. Fondare una rivista di Rock’n’Roll significava onorare le star del momento come i Beatles, i Rolling Stones, Bob Dylan, ma anche le celebrità locali; considerarli come delle figure culturalmente importanti che meritavano un giornale che li trattasse seriamente.
Wenner incontrò Ralph J. Gleason, un critico di jazz del San Francisco Chronicle, nonostante i due avessero trent’anni di differenza, legarono subito. Wenner fu colpito, oltre che dalla simpatia, anche dall’apertura mentale e dall’eclettismo dei gusti musicali del giornalista. I due si trovarono subito d’accordo nel fondare una rivista che si dedicasse al rock, che a quei tempi era un elemento unificante per il movimento giovanile, in pieno fermento hippie.
Finanziamenti e sede
Il problema iniziale dei soldi fu presto risolto, grazie a una colletta in cui parteciparono lo stesso Gleason, i genitori di Wenner, quelli della sua fidanzata e un collega di Università – cugina di un certo Robert De Niro – vennero raccolti 7500 dollari; fu preso in affitto un loft a San Francisco in Brennan Street e insieme a un gruppo di redattori volontari, si diede inizio al nuovo progetto.
Peculiarità del giornale
Già dal primo numero si capì che era un giornale diverso da altri che trattavano musica e che scomparivano nel giro di pochi mesi; Wenner e Gleason volevano una testata che, oltre a parlare di musica, si dedicasse a inchieste, che fosse una sorta di barometro non solo dei gusti musicali, ma anche delle inclinazioni politiche dei giovani di quegli anni. I fondatori ritennero opportuno che venisse utilizzato un linguaggio di strada misto a quello giornalistico.
Cosa c’era nel primo numero?
Al suo interno c’era un articolo che investigava sui soldi spariti dal Monterey Pop Festival, un altro che polemizzava con la tv di quell’epoca, perché non si dedicava a cantanti soul, una recensione in cui veniva paragonata “Are you experienced?” di Jimi Hendrix con “Fresh Cream” dei Cream e un’intervista a Donovan, in cui si parlava del cantante folk Bert Jansch, del movimento hippie e del viaggio di George Harrison a Haight-Ashbury.
La copertina
La scelta cadde su una foto di John Lennon con un uniforme da soldato, sul set di “Come ho vinto la guerra“. Era iconica, perché era un combinazione di musica, cinema e politica, i tre argomenti cardine su cui si poggiava Rolling Stone e che gli diedero il meritato successo.
Perchè “Rolling Stone”?
L’ispirazione venne da un saggio scritto da Gleason per The American Scolar dal titolo “Like a rolling stone“, la canzone scritta e interpretata da Bob Dylan.
Il successo immediato
Sin dal primo numero, Rolling Stone ha avuto un enorme seguito; ben presto, per un artista, finire sulla sua copertina, significava la certificazione della celebrità. Non furono solo musicisti a essere immortalati ma anche attori, scrittori, politici, a testimonianza del fatto che gli articoli non trattavano solo la musica, ma aveva uno sguardo a trecentosessanta gradi sull’attualità.
“Rolling Stone non parla solo di musica”, dichiarò una volta Wenner, “ma anche di tutte le cose e le mentalità che la musica si porta dietro”.
Dopo una decina di anni dall’uscita del primo numero, la sede si spostò da San Francisco a New York, il successo continuò a crescere sempre di più, tant’è che il giornale esce in tredici edizioni in altrettanti paesi; il primo numero di Rolling Stone Italia è uscito nel 2003.
Curiosità
Nei primi tempi, la maggior parte degli articoli non furono firmati, per non rivelare ai lettori l’esigua quantità di redattori. Wenner si occupava di quasi tutto: editava i pezzi, sceglieva la loro disposizione, i loro titoli, si occupava anche delle illustrazioni e delle foto.
E oggi?
Attualmente, il rotocalco non se la passa bene; già nel 2017 Jann Venner e suo figlio Gus hanno annunciato di essere costretti a vendere una parte delle azioni, questo a causa del periodo di crisi dell’editoria cartacea, in quell’anno fu venduto il 49% delle azioni, ma non fu sufficiente, visto che, nel 2018, si è resa necessaria la ricerca di un compratore che rilevasse le restanti quote.
“Amo il mio lavoro, mi piace farlo e mi è piaciuto per tanto tempo – ha dichiarato uno dei fondatori del magazine in un’intervista al New York Times – ma lasciar andare era solo la cosa più intelligente da fare”.
Lunga vita a Rolling Stone!
Nato in un torrido ferragosto del 1968 a Milano, dove vive tutt’ora.
Si considera vecchio fuori, ma giovane dentro: in realtà è vecchio anche dentro.
La scrittura è per lui un piacere più che una passione, dal momento che – sua opinione – la passione stessa genera sofferenza e lui, quando scrive, non soffre mai, al massimo urla qualche imprecazione davanti al foglio bianco.
Lettore appassionato di generi diversi, come il noir, il thriller, il romanzo umoristico e quello storico, adora Calvino, stravede per Camilleri e si lascia trascinare volentieri dalle storie di Stephen King e di Ken Follett.
Appassionato di musica, ascolta di tutto: dal rock al blues, dal funky al jazz, dalla classica al rap, convinto assertore della musica senza barriere.
Nel 2020 è uscito il suo primo romanzo, dal titolo “L’occasione.”, genere umoristico.
Ha detto di lui Roberto Saviano:”Non so chi sia”.