Il nuovo film di Spike Lee stavolta esce direttamente su Netflix per raccontare con passione e totale libertà creativa la contemporaneità. Mentre in America si susseguono le manifestazioni del BlackLivesMatter, si chiede giustizia per l’omicidio di George Floyd da parte di una polizia violenta e razzista, e si lotta per abbattere le diseguaglianze sociali di una nazione dalle storiche contraddizioni, il regista di “Fa la cosa giusta” e “BlacKkKlansman” crea il suo personale manifesto antirazzista.
Attraverso lo sviluppo da “colpo del secolo” o “HeistMovie”, seguiamo il ritorno in Vietnam di un attempato gruppo di reduci afroamericani che si riuniscono per recuperare una cassa pieni di lingotti d’oro sepolti nella giungla e i resti del loro “fratello” morto in guerra, leader eroico e spirituale di un gruppo di soldati sacrificati per onorare la bandiera a stelle strisce, mentre sul suolo amico, la loro stessa America, si adopera in violenze e omicidi sui cittadini di diversa etnia. Un espediente che serve per connettere il passato e il presente, tra i discorsi di Muhammed Alì, Martin Luther King, Malcom X, Angela Davis, i pugni alzati dei campioni olimpionici Tommie Smith e John Carlos, e tra i ricordi di una guerra inutile e le conseguenze sulla vite dei sopravvissuti.
Lee non ci mostra degli eroi idealisti o muscolosi alla Rambo, ma degli uomini comuni, fallibili, feriti, che trascinano colpe e traumi mai superati, e non si schiera dalla parte di nessuno, perché la Guerra unisce il dolore di tutti e lascia solo macerie dietro di sé, umane e materiali, e solo l’amore, il perdono e l’impegno per le cause giuste riescono a riportare un po di pace in animi scavati dal dolore e dalla paura.
Da 5 Bloods gioca con il cinema in modo sapiente, e punta il dito contro una “Hollywood” che ha colpevolmente raccontato la storia a modo suo, omettendo la realtà e sviluppando visioni falsamente vincenti negli ideali di personaggi esclusivamente bianchi. Eppure negli 60 gli afroamericani rappresentano l’11% della popolazione totale, ma in Vietnam vengono spediti per primi primi, una fanteria destinata al macello attestata al 35% delle forze armate statunitensi. Nonostante questo, nelle storie di celluloide e nelle commemorazioni sono state rimosse le gesta di soldati coraggiosi solo per il colore della loro pelle. Spike Lee, allora, gli ridà giustizia; scrive e dirige la sua personale “Apocalypse Now”, in modo ironico e brutale allo stesso momento, e apre finestre temporali tra le immagini in 4:3 sfocate, sature e nervose come un documentario girato sul campo tra sangue e proiettili, a un 16:9 che osserva un Vietnam moderno, occidentalizzato, con una natura che si p ripresa i suoi spazi, cresciuta sullo stesso suolo in cui caddero corpi dilaniati.
Da apprezzare la prova di Delroy Lindo, un soldato attivista politico per i diritti dei suoi “fratelli” negli anni 60, oggi un reduce razzista che vota Trump e che non sopporta il figlio. Lui è il filo che unisce la follia e il dramma di tutte le guerre e di tutte le diseguaglianze. Un uomo violento e irascibile, tormentato dai sensi di colpa, che discende nell’abisso in cerca di redenzione e che si è sentito abbandonato dal suo stesso paese.
Da 5 Bloods è un film dai temi potenti, attuali, universali, eppure troppo carico di toni e di situazioni, con una colonna sonora troppo invadente e un racconto dilazionato in 150 minuti che rischiano a volte di far perdere il controllo sui personaggi e la storia. A volte ci si sente un po smarriti, confusi, proprio come i protagonisti persi nella giungla, forse volutamente. Si avverte però tutto il trasporto emotivo di un regista che come sempre fa sentire la propria voce in modo netto, con uno stile riconoscibile, dirompente, anche al costo di eccedere.
Ed è proprio nella sua imperfezione il vero pregio, quel dito puntato contro quei film esteticamente perfetti sulla guerra persa, che non riescono a raccontare tutta la verità sul Vietnam e sull’orrore… L’orrore…
Voto 3,5/5