Liberamente ispirato al romanzo di Yoshikazu Takeuchi, “Perfect Blue” è un film di animazione giapponese uscito già nel 1997 e diretto da Satoshi Kon, famoso fumettista di Akira, allora al suo debutto come regista.
In realtà si tratta di un rosa che diventa giallo, poi thriller e infine un horror, prodotto da Madhouse, sceneggiato da Sadayuki Murai. A quei tempi prodotto in Italia da Yamato Video in VHS nel 1999 e in DVD nel 2005, arriverà nelle sale cinematografiche il 22, 23 e 24 aprile prossimi, per la prima volta in versione restaurata 4K, secondo il progetto esclusivo di Nexo Digital e distribuito in collaborazione sempre con Yamato Video, Radio Deejay e Mymovies per la nuova stagione Anime al Cinema.
La trama del film: la prima parte
Si tratta della storia della cantante Mima, una “idol” del gruppo i-pop delle Cham, che si esibiscono con canzoni smielate ma orecchiabili e hanno numerosi fan. Quando la protagonista cerca però un successo più grande, tentando la carriera di attrice drammatica nella serie tv “Doppio Legame”, avvengono una serie di fatti strani: lei riceve delle minacce e attraverso un sito “Mima’s room” scopre di essere stalkerizzata da qualcuno – che si scoprirà poi essere un suo fan della versione “idol” -che la segue ovunque e riferisce i dettagli più intimi. Già qui il rosa dei vestitini delle idol si tinge di giallo, per non parlare della tematica tanto dibattuta secondo la quale le donne che vogliono fare carriera devono sempre temere dai loro fan che si materializzi qualche personalità disturbata in grado di fare loro del male. Eppure, nelle parti seguenti, si aggiungeranno ancora altri dettagli che lo trasformeranno in un noir e persino in un thriller.
La seconda parte del film
Nonostante i successi da attrice, la carriera di Mima si complica ulteriormente quando le viene proposto di girare una scena di stupro alla presenza di un gruppo di uomini e lei accetta: è una finzione, ma comunque è una sequenza molto forte e drammatica, in cui lo shock della finzione si ripercuote, evidentemente, sulla coscienza più profonda e fino ad allora serena della pop star. Si potrebbe paragonare a quella analoga del film “Sotto accusa” di Jonathan Kaplan con le magistrali interpretazioni di Kelly McGillis e Jodie Foster. La differenza è che in quest’ultimo film la scena è solo una finzione che avviene durante le riprese cinematografiche solo da parte di un uomo – e gli altri sono spettatori visivamente partecipi – mentre lì è l’attrice che diventa la donna stuprata e lo stupro è di gruppo, del cosiddetto “branco”. Eppure per lo spettatore non cambia nulla: la macchina da presa inquadra lei, il suo sguardo, il gioco che si trasforma in violenza, la sua tristezza e infine la sua sofferenza, che si identifica per un attimo con le lacrime della sua manager Rumi che non riesce ad assistere alle registrazioni e scappa via.
La parte visionaria del film
Dopo la crudezza della scena sul set, Mima ha delle visioni sempre più frequenti in cui si rivede come cantante delle Cham: il suo alter-ego in perfetta tenuta rosa cipria la deride e la schernisce, apparendo ovunque e accusandola di avere abbandonato la “purezza” di cantante per inseguire il sogno di gloria che però ha “sporcato” la sua reputazione. Già qui lo sdoppiamento di personalità e le “epifanie” della sua coscienza creano una forte “suspense” negli spettatori: il “dovunque” delle apparizioni improvvise e l’effetto “surprise” fanno crescere la tensione emotiva degli spettatori che, come in “Psycho” confluiscono nell’horror e nel mystery: la sua casa sempre oscurata dalla tenda per non farsi vedere dal voyeur, l’acquario con i pesci improvvisamente morti, lei sempre distratta dal computer generano un crescendo che la rende una seconda Marion emotivamente fragile e per questo la preda eletta per essere uccisa in modo brutale a sua insaputa dall’assassino, appunto come avviene nel capolavoro di Hitchcock nella scena famosa della doccia. E il sangue comincia a scorrere abbondante, proprio a partire dalla morte del regista e del fotografo subito dopo che avevano finito di lavorare con lei: vari indizi per entrambi gli assassini la indicano come l’unica vera colpevole.
A questo punto entrano in scena la fragilità mentale e l’incapacità di distinguere tra finzione e realtà, che portano Mima a dubitare di se stessa. Svenimenti, incubi, le cure apparentemente amorevoli della manager, le epifanie sempre più frequenti trasformano la sua personalità inizialmente spensierata e sicura in quella di una donna instabile, malata, perseguitata, in grado di dubitare persino della sua percezione della realtà e del tempo. Alla fine si scoprirà che a complottare contro di lei era stata la sua stessa manager, Rumi, che, invidiosa e ossessionata dal successo di Mima, aveva gestito il sito che la spiava e aveva indotto lo stalker a ucciderla per recuperare la “vera” cantante pop che lo adulava falsamente. Qui dunque il thriller e l’horror si tingono di toni drammatici tipici di personalità psicologicamente disturbate, come il Norman edipicamente complessato di Hitchcock oppure l’ Hannibal Lecter di Jonathan Demme impersonato dal bravissimo Anthony Hopkins che attraverso uno stiletto rivela il suo drammatico cannibalismo. Non è un caso che il pugnale e l’arma affilata – come un coltello da cucina o un pugnale -siano scelti come arma del delitto piuttosto che una pistola o un revolver: gli schizzi di sangue, soprattutto quelli provenienti dall’accecamento dello stalker, colpiscono di più lo spettatore, soprattutto perché stridono con il rosa confetto della protagonista e della sua ombra che la perseguitano. Tuttavia potevano forse essere risparmiate le scene più cruente e sanguinarie che nulla aggiungono alla trama, bensì creano talvolta disgusto nello spettatore.
Novità, rimasterizzazione e punti di debolezza
La rimasterizzazione in 4K della vecchia pellicola conferisce sicuramente un effetto di “alta definizione video” a tutto il film, evidenziando le bellissime riprese e soprattutto la scelta del regista del campo da cui effettuarle. Il lavoro di convertire ogni fotogramma in digitale ha permesso di ridurre la “puntinosità” dei pixel tipica del digitale e rendere le immagini più omogenee e pastose.
Restano ovviamente delle “ingenuità” che dipendono dall’origine prettamente fumettistica del film: le dita dei piedi tutte unite, le ombre sui personaggi che sembrano dare all’incarnato del viso o delle spalle macchie nere o marroni assolutamente innaturali, infine il mancato movimento delle gambe quando la figura della finta “idol” Rumi vola sui tetti o rimbalza sui balconi e negli esterni. Tuttavia questo attiene alla “matrice di fabbricazione” del film che nasce e si nutre dei fumetti, peraltro, straordinariamente innovativi per l’epoca, ideati dal regista stesso Satoshi Kon. E’ filologicamente corretto lasciarli tali, anche perché raccontano l’origine dell’animazione.
A chi è destinato
Certo che se ci si aspettava un cartoon per giovani adolescenti, il film non rientra affatto in questo genere. Anzi, per la violenza di alcune immagini non può assolutamente essere destinato a loro. Gli spunti, invece, per affrontare numerose tematiche di estrema attualità tra gli adulti ci sono e sono anche validi per dare origine a un buon dibattito: sete di gloria, alienazione, sdoppiamento di personalità, stalker, violenza di genere, invidia e concorrenza sleale negli ambienti femminili più “innocenti”, giallo, thriller, noir e devianze psicologiche. Tutto questo rende straordinariamente avveniristico e d’avanguardia questo “Perfect blue”, che stupisce ancora oggi come 27 anni fa!