Francesca Morvillo: 47 anni per sempre

Sono nata il 14 dicembre del 1945, oggi avrei 75 anni e sarei vicina ai 76. Non so che aspetto avrei oggi, forse sarei invecchiata accanto all’amore della mia vita, ho scelto un amore difficile, non che il mio lavoro fosse, poi, un lavoro facile.

Ma non vi ho ancora detto il mio nome. Mi chiamo Francesca Laura Morvillo e avrò 47 anni per sempre.

Mio padre si chiamava Guido, fu sostituto procuratore a Palermo e io ho seguito le sue orme. Sono stata giudice del tribunale di Agrigento, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minori di Palermo, Consigliere della Corte d’Appello di Palermo e componente della Commissione per il concorso di accesso in magistratura.

Dicono fossi brava con i giovani, non so, io credevo nel mio lavoro e mettevo tutta me stessa nella ricerca delle modalità più idonee per aiutarli a superare i periodi di crisi. Volevo restituire ad ogni ragazzo la dignità che è propria di ogni essere umano.

Sono stata anche docente presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’ateneo palermitano, ero docente di Legislativa del minore nella Scuola di Specializzazione in Pediatria. Ma non sono stata solo un magistrato, sono stata anche una moglie e non ero felice, infatti, il mio matrimonio è finito; il 1979, però, accadde qualcosa che cambiò la mia vita per sempre. Nel 1979 il giudice Cesare Terranova fu ammazzato da Cosa nostra. Erano le 8:30 del mattino quando l’auto di scorta del giudice Terranova arrivò sotto casa sua per portarlo al lavoro. Il giudice si mise alla guida, accanto a lui sedeva il maresciallo di Pubblica Sicurezza Lenin Mancuso, l’unico uomo della sua scorta che lo seguiva dal 1963 come un angelo custode e che morì con lui quel giorno.  

In quello stesso anno, Rocco Chinnici, magistrato che istituì il pool antimafia, chiese ad un giovane magistrato, approdato a Palermo, dopo la fine del suo matrimonio, di prendere l’eredità del giudice Terranova, il giovane magistrato accettò e passò, così, all’Ufficio Istruzione della sezione penale.

In quell’anno durante una cena, conobbi quel giovane magistrato, Giovanni Falcone. Quell’anno la mia vita cambiò per sempre, quell’anno non sapevo ancora cosa ne sarebbe stato di me e della mia vita in futuro, quell’anno conobbi l’uomo della mia vita, che sposai dopo otto anni.

La vita mia e di Giovanni non è stata una vita facile, la mafia era una realtà e noi eravamo sempre accompagnati dalla scorta, ma io e mio marito volevamo poter trasformare il Paese, eravamo armati di leggi e di fede nel nostro lavoro, eravamo uniti da questo sogno e stavamo lavorando per realizzarlo. Noi ci credevamo davvero. Si viveva sotto scorta e non vi nascondo che, per invidia, qualche collega, ci attasse, magari fingendo di dare sostanza critica alle loro accuse, ma noi, insieme, eravamo forti, noi, insieme, eravamo in grado di resistere a tutto.

Vi confesso, però, che qualche attimo di libertà riuscivamo a “rubarlo”, capitava che a Roma, qualche volta, riuscissimo a fare brevi soste senza scorta, e capitava anche quando si andava all’estero, dove non avevamo alcuna protezione.

Nel 1982 ammazzarono Calogero Zucchetto, nel 1983 ammazzarono Chinnici, nel 1985 ammazzarono Beppe Montana e Ninni Cassarà e due mesi prima che le nostre vite venissero spente, in un’assemblea dell’Anm un magistrato disse: “Falcone è un nemico politico”.

Ecco, anche di questo era fatta la nostra realtà, di morte, di accuse ingiuste, ma io e Giovanni eravamo armati del nostro amore, di un sogno comune, io e mio marito eravamo forti insieme.  

Però una cosa ve la devo dire, dopo quell’assemblea Giovanni pensò di divorziare e sapete perché? Perché mi amava e voleva proteggermi, pensava che così mi avrebbe salvata, salvata dal fango che come un fiume in piena lo stava investendo, salvarmi dalla mafia che lo aveva preso di mira, salvarmi dal livore delle persone “perbene”, ma alla fine, non ci lasciammo, alla fine rimasi con lui, insieme nel bene e nel male com’è sempre stato.

E, alla fine, morimmo insieme.

Lo ricordo quel giorno. Era il 23 maggio del 1992, in Sicilia faceva già caldo.

Giovanni voleva guidare, all’epoca era d’uso comune che gli scortati guidassero.

Il giudice si mise alla guida, accanto a lui sedevo io, sul sedile posteriore era seduto il suo autista. Giuseppe Costanza.

Sembravamo una coppia normale che stava tornando a casa, ma sul sedile posteriore avevamo un agente di scorta e la nostra auto si trovava al centro, fra due auto che ci stavano scortando.

Eravamo sulla strada che da Punta Raisi porta a Palermo, Giovanni era sovrappensiero, la mente era affollata di preoccupazioni, Costanza chiese a mio marito di poter avere le chiavi di casa e Giovanni, sovrappensiero, fece un gesto pericoloso perché l’auto spegnendosi frenò di colpo mentre era in piena velocità, sfilò le chiavi dell’auto per porgerle all’autista, che però gli fece notare quello che aveva fatto, mio marito fece in tempo a scusarsi e, quelle, furono le sue ultime parole. Un gesto di distrazione che salvarono Costanza.

Brusca ci osservava da lontano e vedendo l’auto rallentare temette che gli agenti avessero saputo qualcosa, così attivò l’ordigno prima del previsto. Quel gesto di Giovanni fatto per distrazione, e forse perché la mente era affollata da preoccupazioni, salvò la vita a Costanza che era sul sedile posteriore perché l’auto rallentò e l’esplosione non la prese in pieno.

Ci schiantammo contro un muro di cemento e catrame, il tritolo aveva reso l’autostrada verticale.

1000 kg di tritolo.

E fu il caos, e fu morte.

Dov’è Giovanni…

Giovanni Falcone si spense un’ora dopo. Alle 23 dello stesso giorno sono volata da lui.

Mi chiamo Francesca Laura Morvillo, avrò 47 anni per sempre e detengo un triste primato. Sono l’unico magistrato donna morta in un attentato.

Giovanni, amore mio, sei la cosa più bella della mia vita. Sarai sempre dentro di me così come io spero di rimanere viva nel tuo cuore, Francesca“.