“Lettera a mio padre”: un modo per cambiare le stelle

(Fonte foto copertna: Ritratto su Ebay)

Lettera a mio padre è una canzone scritta e cantata da Ermal Meta datata 2016, contenuta nel cd da solista “Umano” e pare spiegare al meglio la bellissima “Vietato morire”. Entrambi sono tra i pezzi piu iconici ed intimi del cantante ed hanno un filo conduttore, che si palesa nella figura “cattiva” del padre. Un modo per guardare ai drammatici episodi che hanno caratterizzato la sua infanzia con un altro spirito e un’altra filosofia. Una possibilità che il cantante, ma anche la sua stessa famiglia, si sono dati per guardare con il sorriso e da un’altra prospettiva il futuro.

I dolori ed i traumi, spesso fanno male, ma proprio nelle persone più sensibili, quelle che sembrano piu fragili possono innescare anche una forza, una voglia di rivalsa e la costante di andare avanti nonostante tutto il male che certe esperienze possono provocare. Ecco, quando l’umano dolore riesce a fare a leva ai sogni piu grandi è proprio lì che… ci attacchi le ali! Ermal è la prova vivente che tutto questo può accadere. Ce la si può fare a rialzarsi anche con fatica, esattamente come raccontano gli impegnativi testi delle sue canzoni. Lettera a mio padre racconta la sofferenza e la rabbia di quell’infanzia spezzata da botte e abusi, dalla quale ha dovuto farsi grande per forza e dalla quale, ad oggi, grazie al grande successo, grazie al suo talento e alla sua forza d’animo, è riuscito a rialzarsi e a cambiare le stelle.

Quella di Ermal è una storia di violenza, di abusi domestici e di un figlio pronto a difendere a tutti i costi la madre, quella raccontata in Vietato Morire con cui il cantautore si aggiudicò il terzo posto al Festival di Sanremo 2017; una storia che può essere fatta propria, purtroppo, da molti di quei figli che vivono in ambienti familiari violenti, con genitori pronti ad alzare le mani e madri – o padri – spesso incapaci di reagire ai maltrattamenti. Oppure assenti. Incapaci di dimostrare ai figli l’amore che dovrebbe essere quasi normale dover dare, ed invece, spesso, troppe volte, non succede. Alla base di tante storie, di tanti rapporti, la mancanza di una comunicazione che non sia quella violenta, si rivela nel deterioramento della personalità del figlio e del rapporto genitore-figlio perchè quest’ultimo, in primis, non si sente accettato e difeso dal padre, e questo porta in soggetti piu fragili il rischio di incorrere in comportamenti sbagliati, l’abuso di droga, alcool, brutte compagnie o nel peggiore dei casi il suicidio. Storie che si ripetono, storie che si conoscono e si sentono spesso. Non tutto però, finisce male ed è proprio per questo motivo che a volte si finisce pure per scrivere, e sfogare certi tormenti su carta. Magari ci nasce pure una canzone. Una bella canzone.

Ma era anche la sua storia, quella di un ragazzino andato via dal suo paese, l’Albania, a soli 13 anni, assieme alla sua mamma (lei sì, abbastanza coraggiosa da desiderare un futuro migliore e più sereno per tutti i suoi figli) e ai fratelli, lasciando un padre da lui stessa definito “una bestia” proprio nelle prime parole di questa canzone.

Il fatto di essere figlio e consanguineo del proprio “aguzzino” rende difficile anche l’accettazione di sé stessi. Ed è un percorso di consapevolezza ed introspezione che avviene con il tempo. In queste semplici righe, Ermal fa capire quanto sia importante l’essere se stessi, ancor prima di essere figli. Non è una canzone che vuole cantare odio verso una persona che si è rivelata estranea dal riconoscersi genitore, ma è un piu una visione positiva e non apparente: se si può, si può essere migliori di chi ci insegna ad essere peggiori.

L’unica cosa in comune con il padre è appunto la pelle, il sangue, ed il cognome, che però non fanno della persona qualcuno di brutto. Non c’è nulla di genetico nel saper donare amore, quello lo si impara, soprattutto, dalle botte ma anche da ferite piu profonde.                                                 

 

Ed ecco a voi, la canzone!!