Fonte foto: vanityfair.it
Si chiamava Mariasilvia Spolato ed è morta nell’ottobre del 2018 a Bolzano, in una casa di riposo, Villa Armonia, nel silenzio della sua stanza piena di libri recuperati da ogni dove, senza che nessuno fosse al suo capezzale a piangerne la scomparsa, se non gli ospiti della struttura e gli operatori sanitari che lì lavoravano.
Potreste obiettare che è la storia di molti anziani, ma noi oggi vogliamo raccontarvi quella di questa donna che forse non tutti conoscono e che ha dei risvolti deprecabili.
Mariasilvia Spolato, padovana, ha avuto un’esistenza vissuta in gran parte per strada e sui treni, tra le tante persone senza fissa dimora che vivono nelle nostre città. Sì, lei viveva ai margini della vita: era una barbona, ma la si vedeva in giro sempre china sulle campane della carta, a recuperare libri e riviste perché a quelli non ha mai voluto rinunciare. Le testimonianze raccolte la descrivono come una persona che si chiude negli angoli a leggere e scrivere: sempre intabarrata nella sua giacca a vento rossa e blu, con il cappello di lana calato sulla testa, estate e inverno, vagava in cerca di libri e riviste da leggere e si rifugiava nella Biblioteca civica quando faceva troppo freddo. Non si lavava, non accettava cure, non chiedeva soldi – al massimo una sigaretta- non voleva aiuti e sopportava silenziosamente i maltrattamenti di chi per strada si divertiva a tormentarla.
La vita da barboni, si sa, implica la solitudine, gli stenti e l’indifferenza di molti, ma per Mariasilvia ci sono stati anche molti maltrattamenti, persino la cattiveria di chi le andava a spegnere le sigarette addosso, perché il nostro è un paese razzista, prima di tutto con chi è in difficoltà.
La ingiuriavano, la sbeffeggiavano, la prendevano in giro, la picchiavano, ma lei niente, non un gemito, non una richiesta d’aiuto. Subiva con dignitosa rassegnazione.
Poi, negli anni Novanta, si è ammalata: una cancrena alla gamba. Viene ricoverata e per la prima volta – forse perché ormai stanca della vita di strada – permette ai servizi sociali di prendersi cura di lei. Accetta di essere ospitata nella casa di riposo “Villa Armonia”, ma mettendo ben in chiaro, combattiva come sempre, che non intendeva rinunciare alla sua libertà: e infatti ogni giorno esce dalla struttura per ritornarvi solo a dormire, in una camera affollata da libri e giornali raccolti qua e là. Ci sono voluti tre anni prima che Mariasilvia ricominciasse a fidarsi di chi diceva di volerla aiutare: e poco per volta ha iniziato a prendere parte alle attività della struttura e a scegliere – lei, coltissima- i film da proiettare; ed era sempre lei a fare le foto a tutti, riportando alla luce la sua passione più grande. Pur continuando a non parlare molto, ha iniziato anche a raccontare ogni tanto qualcosa di sé e della sua prima vita.
Mariasilvia, dunque, non era una donna comune. Aveva avuto una vita piena. Aveva studiato, laureata con 110 e lode in matematica. Era diventata poi una docente universitaria. Alla fine degli anni sessanta è stata l’autrice di manuali per studenti pubblicati dalla Fabbri e Zanichelli. Nel 1971 è stata, con Angelo Pezzana, la cofondatrice della rivista “Fuori” (Fronte Unitario Omosessuale rivoluzionario Italiano), la prima organizzazione omosessuale italiana, e poi nello stesso anno ha sfidato il mondo puritano e perbenista dell’Italia post bellica, dichiarando la propria omosessualità.
Mariasilvia Spolato è stata la prima in Italia a dare un volto a quella presa di parola che ha dato vita ai movimenti lgbt: nel 1972 ha partecipato al primo 8 marzo italiano in piazza Navona, a Roma, con un cartello che ha portato da sola che recava la scritta “Liberazione omosessuale“. È il primo atto di visibilità omosessuale in una piazza italiana. È ancora lei che mette in allarme i compagni del neonato Fuori riguardo al convegno di sessuologia di Sanremo che ha in programma la cura dell’omosessualità: la manifestazione di lesbiche e gay davanti ai locali del congresso il 5 aprile 1972 vede Mariasilvia presente in prima fila insieme a militanti arrivati dall’Italia, dall’Inghilterra, dal Belgio, dalla Francia che riescono a far chiudere anticipatamente il congresso.
Pur essendo a livello nazionale uno dei nomi di spicco del Fuori, Spolato a Roma frequenta parimenti il collettivo femminista di via Pompeo Magno. Partecipa così sia al movimento omosessuale che a quello femminista e si preoccupa di far transitare le giovani lesbiche che arrivano nella sede del Fuori romano al Pompeo Magno, dove le lesbiche erano molte e quindi era possibile una socialità, difficile invece in uno spazio a maggioranza maschile.
Amava scrivere: è stata lei a pubblicare la prima poesia lesbica del neofemminismo italiano, seguita dal libro I movimenti omosessuali di liberazione. Documenti, testimonianze e foto della rivoluzione omosessuale (Samonà e Savelli, 1972), che ancora oggi è considerato una bibbia dei diritti civili; ha collaborato anche a varie riviste di settore e ha utilizzato la fotografia – suo grande amore – come mezzo per comunicare il suo pensiero.
E proprio una foto di Spolato, lesbica orgogliosa, finisce su Panorama e determina il suo licenziamento dalla scuola statale dove insegnava matematica. L’aver collaborato con l’università e la pubblicazione di un manuale di insiemistica non sono stati sufficienti a impedire un licenziamento che alcune ricordano essere stato decretato per indegnità: le compagne che l’hanno accompagnata a verificarne le cause ricordano la foto, che aveva fatto di lei una lesbica visibile, nel fascicolo che motivava il provvedimento. Per molte lesbiche di quella generazione, questo licenziamento diviene paradigmatico della discriminazione del lesbismo, e questo epilogo assume i caratteri di un destino segnato per chi non si vuole nascondere.
E così, quel mondo ipocrita l’ha punita duramente.
È stata ripudiata dalla famiglia, licenziata dall’università e infine lasciata dalla donna che amava. Troppo per il suo animo, che è andato in frantumi. Si è rotta dentro Mariasilvia e ha preso a vivere da cane randagio fino a quando è approdata a Villa Armonia dove grazie a dei magnifici operatori, che hanno saputo aspettare che il suo amore per la vita rifiorisse, ha ritrovato un po’ di pace.
A Villa Armonia, Mariasilvia ha curato le sue ferite. Purtroppo per lungo tempo è stata ignorata, dimenticata. Solo quando è morta l’oblio che ha cancellato Spolato per lunghi anni è sembrato, almeno parzialmente, infrangersi. Questa, infatti, le ha in qualche modo restituito un riconoscimento pubblico, come pioniera del movimento per i diritti delle persone omosessuali; dall’anonimato in cui aveva vissuto la seconda parte della sua vita è tornata a far parlare di sé: numerosi articoli di giornale hanno ricordato la sua storia, il suo gesto coraggioso che ha pagato così duramente.
Oggi sappiamo bene le cattiverie che i nostri simili sanno infliggere alle persone, anche solo per una diversa declinazione dell’amore, dei pigmenti, dei cromosomi, della vecchiaia, della specie e possiamo scegliere di diventare testimoni credibili di un diverso modo di essere. Tutti uguali, pur nella diversità, da intendersi come risorsa nel confronto e non come discriminante.
Mi rimetto in gioco sempre. Cerco ogni giorno il meglio da me e per me. Curiosa, leggo e scrivo per passione. Imparo dal confronto, dalle critiche costruttive e rinasco cercando di superare i miei limiti. È così che approdo a nuove mete dopo scelte di studio e lavoro completamente diverse, quali la contabilità e un impiego in amministrazione in un’azienda privata e mi dedico a ciò che avrei dovuto fare fin dall’inizio.