Se c’è un attore che ha iniziato la sua carriera partendo dal suo apice quello è proprio Marlon Brando.
Il giovane sex symbol americano che masticava le sue chewing gum nel film di Elia Kazan Un tram chiamato desiderio nel 1951. Erano proprio i tempi in cui l’America portava i suoi modelli nel mondo. Nelle sale cinematografiche si ripensavano il look e lo stile di vita dei giovani, e Marlon Brando s’era preso di buon grado la responsabilità di rivestire il ruolo di esempio. Non si trattava certo di un bravo ragazzo, o un personaggio sceso dall’alto di una lontana torre d’avorio. Marlon Brano impersonificava il duro che proveniva dalla strada, il sottoproletario che però dalla vita aveva acquistato l’esperienza, il bello dalle labbra carnose, muscoloso e misterioso. È come se il personaggio di Stanley Kowalsky gli fosse rimasto appiccicato addosso. Forse all’epoca gli spettatori non erano molto educati nel distinguere l’attore dal personaggio (e forse ancora oggi non l’hanno imparato). C’è da dire però che se Marlon Brando ebbe un tale successo, fu grazie al fatto che fu un attore che studiava molto. Iniziò infatti a studiare recitazione nel 1943 con Stella Adler, approfondendo il Metodo Stanislavskij.
Chiaramente si distinse per la sua intelligenza e per l’importanza che dava all’analisi dei testi, l’elaborazione dei sottotesti e l’interiorizzazione emotiva dei personaggi. Fu definito un attore magico, come nella tradizione delle discipline di arte drammatica si distingueva dall’attore mimico che invece tende a cambiare con il personaggio. Lui invece era sempre sé stesso. Entrava perfettamente nella parte, vedevi in lui Emiliano Zapata, Terry Malloy, Fletcher Christian. I suoi personaggi erano perfettamente coerenti con sé stessi e la storia, erano approfonditi, ma sempre appariva lui con la sua presenza ai limiti dell’invasivo. Desiderato dalle donne e segretamente da molti uomini. Vedere un film interpretato da Marlon Brando era diventato quasi il pretesto per vedere lui, la star.
Il declino di Marlon Brando
Questo protagonismo dell’attore assume un lato affascinante anche nel suo declino. Perché con film come Gli ammutinati del Bounty, o a Sud Ovest di Sonora, negli anni sessanta le sue capacità non erano certo scese, anzi, ma il successo iniziò a interessare solo più la critica. Si tratta degli anni ‘60 e pareva che Marlon Brando stesse decadendo.
Questo fascino io lo riconosco in quello che sarebbe stato il motore della sua rinascita. Già perché Marlon Brando è sempre stato magico. Non a caso un cantautore italiano diceva “Marlon Brando è sempre lui”. C’è da dire però che quando si è riproposto negli anni ‘70 era cambiato. Era cinquantenne, sempre bello e con più fascino. E anche in questo caso questo andava a rivestire i suoi personaggi. Ad esempio Paul in Ultimo tango a Parigi così tormentato dal desiderio di abnegazione della propria identità. Antisociale perché odiato, appartato a mostrare di sé il suo lato più selvaggio chiuso nelle mura insieme a Jeanne interpretata da Maria Schnider. Pare che quello stesso modello che tramite lui si proponeva negli anni ‘50 ora venisse decostruito a partire da sé stesso. Marlon Brando come un dio hollywoodiano che prima crea e poi distrugge. Proprio come Paul che per tutto il film si rifugia in un mondo in cui le regole non sono quelle comuni, che preferisce non avere storia, essere fuori dal tempo, onnipotente, ma che quando incontra le avverse condizioni materiali, si disgrega, fino a far precipitare il desiderio di Jeanne che incapace di accettare lo squallore quotidiano di cui lui è investito, gli spara. Ma anche in quella decadenza lui continua a conservare la sua bellezza. Quella tenerezza che viene fuori, quell’umanità, è la stessa per cui il pubblico è sempre stato pronto a sparargli. Il modello del ragazzo inscalfibile, dal cuore di pietra, crollava e con esso lo sguardo dei suoi ammiratori. Ma proprio in quella decadenza lui, Marlon Brando, è riuscito a riconquistare il suo status, rinnovando lo stesso desiderio, così come si chiamava il tram che lo avrebbe portato al successo.
Era il 1972 e oltre a Ultimo tango a Parigi usciva anche Il padrino. Un nuovo Marlon Brando, ora diventato un diverso tipo di cattivo. Più maturo, più marcio.
Fino ad arrivare al 1979 dove vediamo un colonnello Kurtz grasso, di una bellezza sepolta ma ancora vivida. Avvolto nell’oscurità, come se insieme a lui anche l’interprete iniziasse a tenere lontana la luce.
Il suo ultimo ruolo è il padre di Superman poi muore nel 2004. Di lui rimane la sua storia come un pilastro. Quell’uomo così attraente perché così infelice. Quel grande maestro che non poteva insegnare nulla perché era impossibile per chiunque altro essere come lui.
Luca Atzori, laureato in filosofia, ex direttore artistico del Teatro Piccolo Piccolo, Garabato e membro fondatore del Mad Pride di Torino. Drammaturgo, attore, poeta, cantautore. Autore dei libr: Un uomo dagli occhi rotti (Rizomi 2015) Gli Aberranti (Anankelab 2019), Teorema della stupidità (Esemble 2019) Vangelo degli infami (Eretica 2020) e dei dischi Chi si addormenta da solo lenzuola da solo (2017), Mama Roque de Barriera (2019) Insekten (2020) Iperrealismo magico (2020) Almagesto (2021).