L’accettazione delle diversità nel romanzo di Chiara Zaccardi

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“Il mio tutto” di Chiara Zaccardi è un toccante romanzo sull’accettazione delle diversità, sulle difficoltà e sul coraggioso percorso che una simile scelta comporta.

 

“Come si fa quando non riesci a stare insieme a una persona ma non riesci nemmeno a stare senza?”.

 

Davide se lo chiede nel momento stesso in cui incontra  Cristian. Ha sedici anni quando arriva nella scuola di Parma e si fa subito notare, con la sua passione per il disegno e quella verità che non nasconde. È gay. E per questo viene messo alla gogna dai compagni. Cristian, il leader dei bulli, è campione di nuoto della scuola, ha un fisico atletico, occhi azzurri e un sorriso dannato. Cristian detesta Davide, ma poi lo bacia e tutto cambia. È il primo grande amore, immaturo e incosciente, intenso e inaspettato. L’unico e assoluto. Cristian è indifeso davanti a quel sentimento sconosciuto. Si tratta di un desiderio che non può essere fermato in alcun modo, che non conosce il senso della misura. E non sa come affrontarlo.  Cedere a quel sentimento diverso o respingerlo?

 

Il romanzo è una boccata d’aria fresca in un panorama letterario a volte ripetitivo. La forma è ineccepibile, l’italiano è perfetto. Le scene d’amore non sono mai hot. Il sesso si fa, ma si accenna appena. 575 pagine di momenti che accadono, di riflessioni profonde dei protagonisti, di dialoghi incerti, di parole che arrivano all’anima di chi legge. Un romanzo intenso e coinvolgente. Commovente quando Davide descrive la sua sensazione di non appartenenza a luoghi, persone, affetti. Di sentirsi inadeguato, non abbastanza per l’altro, di sofferenza quando Cristian tenta di difendersi da un sentimento che non comprende e non accetta ma non riesce a cambiare.

 

La strada per la consapevolezza di sé può essere molto lunga, a volte.  E chissà quante volte nella realtà qualcuno ha deciso di arrendersi. Davide non si arrende, neanche nei momenti più bui, quando tutto sembrava precipitare. E la vita lo premierà. Lasciando in noi un po’ della sua luce, anche dopo la parola “fine”.

 


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