si dice

Si dice quella parola con la d?

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Si dice?

Iniziamo col dire che la d eufonica è una scelta. Chiariamo questo semplice concetto. Reso lampante ciò, andiamo ad analizzare cos’è, a cosa serve e quando (nonostante quel che vogliono farci credere) possiamo usarla (e quando proprio no).

si dice

L’eufonia

Questo è un preciso fenomeno della lingua italiana. Consiste nell’accostare in maniera armonica suoni, in modo che siano gradevoli all’orecchio.

Le lettere che possono venir utilizzate con tale funzione sono la D, la I e la R, ma la D è quella che ci salta sempre di più all’occhio, più che altro perché ancora abbondantemente in uso.

Questa strana D

In italiano l’uso della D in chiave eufonica è presente sia nel parlato che nello scritto. Consiste nell’accostare nella parte finale (epitesi) la lettera D ad altre particelle nel caso in cui l’incontro tra la vocale di apertura della parola che segue e quella che l’ha immediatamente preceduta dia adito a cacofonia o, più semplicemente, difficoltà di pronuncia.

Tale fenomeno in altri contesti viene risolto con l’elusione della prima vocale (come avviene, ad esempio, con ne è che diventa n’è).

I casi

Sicuramente molto più usata in passato (vedremo perché), oggi ricorre generalmente in tre casi:

uno, nella preposizione ad (al posto di a)

due, nella congiunzione ed (al posto di e)

tre, nella congiunzione od (al posto di o)

Mentre in passato era possibile trovarla anche in

ned ()

sed (se, solo congiunzione)

ched (che, congiunzione e a volte anche pronome).

Di tali forme ormai arcaiche troviamo traccia in costruzioni complesse ancora abbondantemente in uso, come qualcheduno e ciascheduno.

L’origine

Considerando che le succitate particelle derivano dal latino ad, et, aut, quid, il suono sordo della t si sarebbe trasformato col tempo in quello sonoro della d. Tale fenomeno si definisce sonorizzazione intervocalica.

Regola generale

L’accademia della crusca riporta testualmente: l’uso della ‘d’ eufonica dovrebbe essere limitato ai casi di incontro della stessa vocale, quindi nei casi in cui la congiunzione e e la preposizione a precedano parole inizianti rispettivamente per e e per a (ed ecco, ad andare, ad ascoltare, ecc.).

Se anticamente, sotto l’influenza latina e toscana, l’utilizzo della D eufonica era considerato stilisticamente opportuno nella maggioranza dei contesti comunicativi, col mutare della lingua se ne è persa l’abitudine, in particolar modo sotto la guida delle grandi case editrici che da un certo momento in poi l’hanno praticamente abolita (ed ecco perché sta sparendo).

Nonostante questo diktat, in un regolamento standardizzato, in genere se ne limita l’utilizzo al solo incontro tra vocali identiche.

La scelta

In realtà, senza contravvenire alla regola generale della Crusca, abbiamo detto che la D eufonica è una scelta: da un punto di vista prettamente letterario-comunicativo (che è poi l’unico che ci interessa realmente) il suo utilizzo è considerato parte dello stile dell’autore: è lui a decidere se fa parte di sé o no, se e quando ci va o no, anche in riferimento alla morbosità o velocità della scena in descrizione, generando quindi anche regole diverse per situazioni grammaticalmente simili o persino identiche; e facendosi carico della responsabilità o del pregio di una scrittura più lenta, più fluente, più adeguata, più comprensibile.

È scelta di alcuni autori, ad esempio, di ometterla in fase di scrittura ma di aggiungerla in fase di lettura, per amor di chiarezza.

Ma accade anche l’esatto contrario, per amor di fluidità.

Strane eccezioni

Va inoltre precisato l’improprietà nell’utilizzo della D eufonica di fronte alla H aspirata (si scrive a Helsinki e non ad Helsinki. Tuttavia, è comunque quasi ovvio il suo utilizzo nella pronuncia dello stesso caso).

L’inghippo dell’inciso

Nonostante la sua caratteristica libera (chi scrive è fortemente a favore) è bene precisare che sarebbe da evitare anche quando fra le vocali delle due parole vi sia un’importante pausa sintattica, o ci si trovi all’inizio di un inciso. Questo per evitare che appesantisca o rallenti un testo. Se prendiamo in considerazione il fatto che, oltre alla regola delle due virgole non esiste granché altro modo per rappresentare un inciso, appare abbastanza evidente che la d eufonica si crea e colloca nella mente di chi legge (o scrive) più che nel testo stesso.

Ma quindi…

In linea di massima si suggerisce sempre di provare a pronunciare la frase per verificare l’esistenza di eufonia nell’incontro delle vocali, e di aggiungere la d solo nel caso essa produca un effettivo miglioramento.

Nonostante ciò, l’uso pedissequo e massiccio è comunque sconsigliato, onde evitare a sua volta la formazione di nuove cacofonie o polisemie (la possibilità di sviluppare più letture di significato per la stessa parola); l’ambiguità semantica causata dall’omofonia è sempre dietro l’angolo: ad ornare e adornare, ad una e aduna, ad empiere e adempiere sono cose completamente diverse, ma posseggono lo stesso suono. Tale problema potrebbe in teoria essere scongiurato dal raddoppiamento fonosintattico, ma essendo quest’ultimo soggetto alle variazioni regionali e alle varie intensità espressive dei diversi parlanti non può essere considerato una reale soluzione oggettiva (ma arriveremo a parlarne).

La I

Dove vanno tutti gli altri? Prima di tutto, anderemo in istrada

(I promessi sposi, cap. XXIX)

Decisamente in disuso, ma comunque non scomparsa, la I eufonica (o protetica o prostetica) prevede l’aggiunta di una I al principio di una parola qualora essa cominci per S impura (nell’italiano antico anche per gn) e sia preceduta da una parola terminante per consonante (ad esempio per, non o con). Questo perché, fonologicamente parlando, la S impura non appartiene alla sillaba seguente, bensì a quella precedente: diventa quindi necessaria una una vocale d’appoggio per renderne più fluida la pronuncia. È il caso di strada che diventa istrada, spiaggia che diventa ispiaggia, scherzo che muta in ischerzo. Sono praticamente tutte scomparse, ma resta tuttavia presente nella sua forma per iscritto.

La R

Quasi del tutto scomparsa, la R eufonica prevede l’aggiunta epitetica di una R alla preposizione su quando la parola successiva incomincia per U.

L’Innominato, dalla soglia, diede un’occhiata in giro; e, al lume d’una lucerna che ardeva sur un tavolino, vide Lucia rannicchiata in terra, nel canto il più lontano dall’uscio.

(I promessi sposi, cap. XXI)

Il caso

Sulla R eufonica possiamo segnalare uno strano caso di discussione. Invece della suddetta R si usa in genere, al posto di su, su di quando questa sia seguita da U (su di un cavallo anziché su un cavallo). Tuttavia i linguisti reputano errato l’uso di su di di fronte a un articolo indeterminativo; i dizionari, peraltro, in genere lo reputano corretto solo di fronte a un pronome personale (su di te). Altri, pur considerandolo un pleonasmo, ne considerano l’uso comune come ammissibile, anche se non normato dalla grammatica (uno dei tanti esempi del fatto che la nostra lingua è più che mai viva).

Lunga vita all’italiano che vive e muta con noi!